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CATERINA II DI RUSSIA.
Regnò dal 1762 al 1796
Caterina II
di Russia, che in russo sarebbe Yekaterina Alexeyevna, in realtà si chiamava
Sophie Friederike Augusta e con un nome così anche se per combinazione
nata in quella che allora era Polonia, non poteva non essere prussiana. Suo
marito Karl Ulrich de Holstein, la regione della belle vacche da latte
conosciute in tutto il mondo, anche lui era tedesco. Però invece di rimanere
tra i muggiti nella sua nativa Holstein, quest'uomo che poi si mostrò
insignificante e pericoloso, fu chiamato dal destino al trono Russo dove arrivò
tenendo per mano la sua giovane sposa.
Come è
possibile che una coppia di tedeschi, nobili ma quasi sconosciuti, arrivassero al
trono di Russia? La risposta sta nei vari andare e venire dell'araldica europea
dove i giovani rampolli si sposavano tra di loro ed alle volte si passavano
certe caratteristiche ereditarie come l'emofilia, quasi responsabile della
rivoluzione sovietica, o la fimosi del pene di Luigi XVI, quasi responsabile
della Rivoluzione francese; o il labbro sporgente degli Asburgo, responsabile
di simpatiche caricature.
Sophie era
la figliola di un principe tedesco, principe, si, ma sconosciuto; e sua mamma
anche lei tanto fece che riuscì farla sposare con con questo Karl Ulrich di
Holstein, che al momento non aveva molto salvo le mucche pezzate, ma che era
anche il figlio di Anna Petrovna, prima figlia di Pietro il grande di Russia.
Quindi erede al trono di Russia.
Quando la
prussiana Sofhie arrivò nei suoi venti anni in Russia con i suoi occhi azzurri,
capelli d'oro e molti sogni nella capoccetta, dovette trasformarsi da luterana
in russa ortodossa e cambiare nome; rimanendo un dubbio su come i vari
sacerdoti delle varie sette Cristiane potessero accettare questo cambio di
religione per motivi politici e non per convincimento intimo come si suppone ci
dovrebbe essere stato. Comunque non volle essere da meno di suo marito che
aveva cambiato il suo Karl Ulrich in Pietro. E lei cambiò il suo in Caterina,
aggiungendo, per grazia, il titolo di Gran Duchessa.
A quei tempi
lo Zar non era lo Zar ma una Zarina: Era Isabel-Elisabeth seconda figlia di
Pietro il Grande ed era stata costei a volere in tempi anteriori una certa combutta
dove entrava anche Federico II di Prussia; ossia volle che la moglie del futuro
Zar, Karl Ulrich fosse questa ragazza prussiana bruttina ma sveglissima. La
imperatrice Isabella aveva posto grandi speranze su Karl, figlio della
amatissima sorella Anna Petrovna ma fu delusa quando poi lo vide così
brutto, debole, assolutamente non all'altezza del Trono. Ma ne era l'erede.
Questa
figlia di Pietro il Grande, che governò per circa venti anni e che ebbe anche
certi meriti, aveva però anche il desiderio di piaceri, di lussi e l'ambizione
di rivaleggiare con la corte di Versailles, che stava di moda; e vuotò il
tesoro di Stato.
Intanto la
Gran Duchessa Caterina, nonostante i vari titoli roboanti e la designazione
come futura moglie dello Zar, stava passando la bellezza dei suoi 18
tristissimi anni di vita coniugale, stufatissima di tutti e più di una volta
umiliata e trattata male dall'inetto marito. Nella Corte la guardavano con
certo sospetto ed il Karl-Pietro nonostante le metamorfosi del nome rimase quello
che era, un povero infelice testardo, ubriacone, probabilmente impotente,
neurotico. E bruttissimo.
Invece
Caterina era sana, forte, non bella però con una enorme charme, colta,
intelligentissima, energica.
Non poteva non succedere quello che successe. Quei tristi
18 anni di infelice matrimonio Caterina li sopravvisse anche grazie a tre
amanti, per lo meno tre e che furono padri di altrettanti figli illegittimi,
includendo Paolo, molto probabilmente, l' erede al trono e che sarà a suo tempo
lo Zar Paolo I.
All'arrivare al 18º anno di matrimon di Caterina,
finalmente la Zarina Elisabet-Isabella morì. E la corona della Santa Madre
Russia passò, come previsto, al ex tedesco Karl Ulrik di Holstein, diventato
Pietro III. Il quale nuovo Zar immediatamente formò un'alleanza con Federico II
di Prussia e mai fece nessuno sforzo per dissimulare la sua ammirazione per la
nativa Germania e il suo gran disprezzo per i russi e la loro cultura. Fece una
quantità di stupidaggini.
Invece con Sophie, da tempo Caterina, era successo
tutto il contrario. Aveva imparato ad amare la Russia, la sua gente e molto
sinceramente, non per convenienza politica. E questo il popolo lo percepisce.
Era una persona di cultura, leggeva molto, si informava e cominciò ad essere
molto bene considerata sia Mosca come a Pietroburgo, la Venezia del Nord come
la si chiamò ad un certo momento. E benvoluta ed apprezzata dalla dalla Corte e
dagli elementi più illuminati del Paese. Ma anche, importatissimo, aveva
l'appoggio militare. In speciale il reggimento di stanza a San Pietroburgo era
agli ordini del giovane e bello e coraggioso militare Gregory Orlov, garda caso
amante di Caterina. Un bell'asso nella manica. E non ci fu nessun problema con
un salutare colpo di Stato dove Caterina con tutti gli onori nella
Cattedrale di Kazan fu proclamata Imperatrice ed Autocrata di Tutte
le Russie... sempre Santissime.
Al povero Pedro III, con una testa non a misura di una
corona, non rimase altra possibilità che abdicare e lasciarsi tranquillamente
assassinare poco dopo. Caterina non ne ordinò la morte ma nemmeno mosse un dito
per evitarla.
E dal punto di vista politico e considerando poi i grandi
meriti della Zarina, ne ebbe tutte le ragioni. Anche nel discutibile periodo
della Unione Sovietica i suoi meriti furono sempre riconosciuti.
E da allora cominciò il suo periodo di regnante che durò
la bellezza di 34 anni, con il titolo di Caterina II, la Grande.
Già dagli inizi Caterina cercò di fare della sua
amata Russia una nazione forte e prospera. Sognò instaurare un periodo di
ordine e giustizia.
Però il problema più pressante era l'economico. La figlia
di Pietro il Grande con i suoi deliri di grandezza aveva lasciato praticamente
vuote le casse dello Stato. Caterina le riempi ancora una volta... e a scapito
di chi possedeva una terza parte di tutte le terre : la Cristianissima Chiesa
Ortodossa Russa che, per raggiungere la tanto sbandierata virtù della
moderazione, aveva intanto ammassato ricchezze durate secoli. Caterina
lasciò intatte le intoccabili barbe né si interessò alle litanie dei chierici,
ma li trasformò in funzionari pagati dallo Stato. Bel colpo. E poi volse gli
occhi attenti al problema della Polonia, piccolo stato bramato dai poderosi
vicini.
Come lo risolse? Nel suo archivio di amanti ne scelse uno,
un polacco, Stanislao Poniatowski, che sará o era già padre della
sua figlia illegittima Anna e lo trasformò in Re di Polonia.
E con la Caterina abbiamo un chiaro esempio di come
i politici spesso auspicano e predicano belle verità umanitarie e di giustizia
sociale quando sono ancora all'opposizione; ossia ancora senza potere politico
e da giovani idealisti. Però quando arriva loro lo scettro del potere, si
rendono conto che una cosa è dire le cose ed altra è farle veramente. Che una
cosa sono le idee dei filosofi ed altre sono le realtà. Così che spesso
cambiano di atteggiamento. E magari non per mala fede, ma perché si rendono
conto che cambiare l'establishment è una riforma niente
affatto facile né di veloce attuazione. Tra il dire e il fare c'è di
mezzo il mare, sentenzia un vecchio detto italiano. Caterina da giovane e
in buona fede si era emozionata ed ammirava le idee liberali di pensatori
francesi ed inglesi che stavano di moda nell'Europa intellettuale della sua
epoca. Cosi che appena le fu possibile da Imperatrice dette certe"Istruzioni
Generali" per correggere le molte ingiustizie sociali in Russia:
che tutti gli uomini dovevano essere uguali di fronte alla legge; che bisognava
proteggere il popolo e non opprimerlo; che si doveva eliminare la pena di
morte; eliminare la tortura nelle carceri; eliminare assolutamente la servitù
della gleba.
La Commissione studiò e studiò e non concluse un bel
niente. E sia la Commissione come la stessa Imperatrice si resero conto
delle enorme difficoltà al tradure le teorie in pratica.
Ogni nazione ed ogni stato, secondo la propria formazione
ed abitudini, hanno bisogno della loro propria forma ottimale di governo.
Credere di poter imporre la stessa forma di governo in Inghilterra come nel
Congo o in Sicilia è un errore ed una stupidaggine. Inglesi congolesi e
siciliani, anche se tutti sono uomini, è anche vero che lo sono con differenze
ben determinate delle quali bisogna tener conto. L'economia della Russia era
ancora basata in un 95% nella terra e nella servitù della gleba. I proprietari
terrieri non potevano mai accettare felicemente la libertà dei loro servi. La
ricchezza di un nobile non si misurava solamente sulla superficie e qualità
delle terre, ma anche sul numero di "anime" che la coltivavano
e ci vivevano con le loro famiglie.
E le belle illuminate Istruzioni di Caterina rimasero
tanto poco illuminate che nessuno le vide mai. Non solo, perché frattanto la
nostra Caterina col passar del tempo poco a poco stava cambiando di parere su
molte cose; e col tempo si dedicò a costruire un sistema che lei stessa, da
giovane, aveva qualificato inumano. Imporrà la servitù della gleba in
Ucraina, dove non era mai esistita. E cominciò a distribuire quelle che si
chiameranno Terre della Corona tra i suoi amici, favoriti e ministri ed altre
persone che per qualsiasi motivo voleva premiare. Cosi che al finale del suo
regno i contadini stavano peggio di prima. E Caterina, donna intelligente,
captava benissimo lei stessa il cambiamento tra la Caterina di prima e quella
di poi.
Chissà... proprio per la frustrazione per non poter
applicare quelle norme che ella stessa aveva tanto decantato, Caterina si
dedicò alla Turchia.
L'Impero Ottomano di Costantinopoli-Istanbul era da
sempre il nemico tradizionale della Corona Russa. Il sogno dei Russi era arrivare
al Mar Nero, antico Ponto Euxino, con acceso al Mar Egeo e finalmente al tanto
desiderato Mediterraneo. La guerra di Turchia chissà offrì a Caterina una buona
scusa per frenare un poco senza troppo patenti contraddizioni le sue anteriori
idee liberali. Le scuse per la guerra furono un'epidemia e una rivolta dei
Cosacchi.
L'epidemia produsse scontento a Mosca. Non si sa perché
ma ogni volta che succede una catastrofe come un terremoto o una epidemia, la
gente dà la colpa di questo al governo. Il che molte volte può essere vero nel
senso della prevenzione; ma che ci può fare un povero diavolo di governante se
improvvisamente comincia a piovere a dirotto ?
C'è un detto ironico italiano che si spiega da
solo: Piove? Governo ladro! Sia come sia, si forma lo scontento...
il mugugno direbbero i genovesi esperti in questo. Ed il
governante deve ricorrere spesso ad azioni eccezionali per far fronte alla
eccezionalità dell'emergenza e come prima cosa la disciplina. Cosa che a tutti
secca.
E così successe con Caterina.
La seconda scusa fu una rivolta di Cosacchi per la quale
si dovette ricorrere a misure drastiche. La questione ha del comico: un antico
ufficiale dei Cosacchi del Don, di mente sognatrice come molti slavi, un bel
giorno pretese di essere niente di meno che il defunto Zar Pietro III, ex Karl
Holstein, ex marito di Caterina di Russia, tedesco di origine, morto in
circostanze misteriose dopo la sua abdicazione al Trono a favore di sua moglie
che sarà proclamata Imperatrice di Tutte le Russie. Lo Zar Pietro III, ex
marito di Caterina enigmaticmente morto subito dopo la sua abdicazione, si era
intanto trasformato nell`immagine popolare in una enigmatica figura di fantasma
misterioso da apparizioni fantascientiche.
Cosi che i romantici
ed ignoranti crudeli sognatori che erano i Cosacchi del Don, dai
loro Monti Urali cominciarono a crescere, a spargersi, a seminar terrore e si
apprestavano a un bella Marcia su Mosca. Per fortuna di Caterina la guerra di
Turchia era finita proprio in quei giorni e lei potette mandare le sue truppe a
domare e distruggere completamente la ribellione. Conseguenze? Morte e
desolazione, ovviamente. Ma la ribellione fu schiacciata.
Ed anche in questo caso Caterina si rese conto che alle
volte è meglio essere temuti ed agire con mano dura, senza remissione.
Tutto questo era in contrasto, naturalmente, con gli antichi iniziali principi
liberali dell'Imperatrice. Altra contraddizione tra le due Caterine, della qual
cosa ne era consapevolissima.
Però con la guerra di Turchia non fu solamene la Russia
a guadagnarsi la Crimea, per poter godere del clima molto più
dolce di quella regione; anche Caterina ottenne qualcosa di personale,
molto personale: l'affetto, la stima, la considerazione, l' amore e la passione
di Gregory Potemkin che sarà suo amante. Però non un amore passeggero,
capriccetto sessuale come era solita avere ed avrà anche dopo. Ma uno molto
speciale e chissà forse anche come taluni dissero, una specie di marito
morganatico. Caterina non mischiava mai il picere con il suo lavoro serio di
Imperatrice. Ma Potemkin fu l'eccezione. Era un uomo molto intelligente,
abilissimo, diplomatico sperimentatissimo, gran sognatore anche lui e
sinceramente affezionato a Caterina.
L'annessione di Crimea, per esempio, fu opera
dell'audacia e visione di Potemkin. Ed ancora lui fu gran direttore di
scenografie: durante il famoso viaggio dell'Imperatrice Caterina da Mosca
fino in Crimea per prendere possesso delle nuove provincie, fu organizzato da
Potemkin una scenografia da Mille e una Notte. E lo fu al punto di fare
costruire pareti di legno per simulare scene di vita allegra anche nelle zone
più povere che attraversava la maestosa carovana imperiale con tutti i suoi
regali ospiti. Perché in allegra e regale compagnia c'erano diplomatici e nobili
di altissimo rango fino ad arrivare all'Imperatore d'Austria e il Re di Polonia
che la accompagnavano in quella che poi si chiamò la Flotta di Cleopatra! Era
culto della Personalità bello e buono e Caterina si stava trasformando in
statua: il cancro dei grandi.
Però già durante gli ultimi anni di Carolina cominciavano
a sentirsi in tutta Europa le canzoni di libertà della rivoluzione francese,
che paradossalmente si diffonderanno in breve ad opera di un grande Imperatore
autocratico. Anche lui, poi, con il cancro.
Nonostante le sue simpatie giovanili per l' Illuminismo,
Caterina non poteva dimenticare che era come si era già definita da sè stessa
una volta: Io sono un'aristocratica e questa è la mia
professione. Così che quando lo scrittore Radishef pubblicò qualcosa
criticando severamente gli abusi contro i servi della gleba, i funzionari
dell'Imperatrice lo misero in prigione e lo condannarono a morte. Non si
scherzava a quei tempi. E quel signore, per ironia della fortuna, nei suo
scritti vagheggiava le stesse cose e cambiamenti di Caterina, 20 anni prima,
quando aveva dettato le sue famose Istruzioni Generali. Chissà fu per questo
chissà no, pero a Radishef arrivò il perdono imperiale da parte
dell'Imperatrice, perdono che non era stato richiesto. E questo fu dovuto a una
certa sensibilità speciale che definirei tipica femminile. L'Imperatrice lo
esiliò perché doveva pur punirlo in qualche maniera, ma gli salvò la vita. Poco
dopo questo anche in Polonia cominciarono agitazioni esigendo più libertà ed una
costituzione. Ed Ucraina stava incamminandosi nella stessa direzione. Tutta
l'Europa cosciente era in realtà in fermento. E così, per ordine della ex
liberale Caterina, l' Orso Russo con una sola zampata annetté l'ovest di
Ucraina.
Anche la Polonia non era tanto contenta con Koscuszko che
poi sarà eroe nazionale.
Per risolvere una volta per tutte le varie agitazioni
polacche, l' Imperatrice, come brava donna di casa, invitò a cena l' imperatore
d'Austria - a quei tempi Maria Teresa - il kaiser di Prussia e il piatto con la
Polonia fu tranquillamente diviso in tre, sparendo dal tavolo e dalle mappe
d'Europa. Polonia non esisteva più. I tre amiconi avevano buon appetito.
Qual'è l'opinione dei posteri su Caterina? I Russi la
adorano e con certo superficiale stupore la idolatravano anche i Sovietici.
Indubbiamente il sogno di abolire la servitù della gleba
rimase un sogno e probabilmente la situazione di quei poveretti era peggiore al
terminare il suo periodo di lungo regno.
Però è anche vero che ebbe i suoi gradi meriti. Ovvio che
alcuni di questi meriti lo erano solamente dal punto di vista degli aumenti di
territorio, con o senza ragione, secondo i tempi. All'arrembaggio, insomma. E
così Caterina potè realizzare l'antico sogno dei Russi di prendere la tintarella
in Crimea rinfrescandosi con angurie e vodka. Applausero i Russi dei sui tempi
ed i Sovietici dopo, con le loro pacchiane vacanze estive di proletari
comunisti, rumorosi e cafoni. Potè annettere anche parte di Polonia ed Ucraina,
come già detto. Riorganizzò decine di Province Russe, costruì centinaia di
città o cittadine, ampliò quasi tutte le vecchie città.
Oltre alle vittorie militari che allora erano foriere di
innegabili elogi, la sua Corte era frequentata da personaggi importanti
dell'epoca. Si scriveva e carteggiava con celebrità politiche e letterarie
come Voltaire e Diderot. Difendeva la letteratura ed ella stessa si
dilettava a scrivere qualcosa. Fondò e finanziò parecchie riviste letterarie e
costruì varie scuole.
Cosa si può pretendere di più da un Monarca del
Settecento? La sua vita personale?
Va bene. Fu molto criticata. Ma perché era donna.
Certamente non era una beghina ne' una timida. Sapeva quello che voleva. Era
decisa. Non aveva nessuna intenzione di essere troppo schiava delle convenzioni.
Gli altri si, magari. Ma non lei. Lei no. Lei era speciale ed era vero. È
saputissimo che dopo l' affaire con Potemkin ebbe altre dozzine di amanti.
E ?...Che ti frega?
Non poteva ne' voleva perdere tempo. Le piacevano i bei
ragazzi, giovani ufficiali. E a quale donna sana e valida non piacciono? A
quale uomo non piacciono le belle ragazze? E tutti i Re e Ministroni baffuti di
Europa, non erano forse pieni di amanti e puttanelle?
Cosi che questa simpaticona di romantica aristocratica ed
autocratica Imperatrice aveva una amica, dama di corte, incaricata di provare
prima nel suo letto le capacità amatorie dei giovani ufficiali candidati
al tête-à-tête con la sovrana; e se li approvava e se
dava il suo assenso, erano ammessi all'Alcova Imperiale.
Il merito o demerito di un capo di stato, Re, Ministro, o
Presidente o che sia, dipenderà per caso al suo appetito sessuale?
E perché dovremmo ancora avere altri pesi ed altre misure
per le damigelle? Quanto ci vuole perché si capisca veramente che siamo uguali
e che se c'è una differenza va a tutto vantaggio del sesso cosiddetto debole?
62/
GIUSEPPE GARIBALDI
Chi non sa in Italia chi era Giuseppe Garibaldi? Lo
abbiamo studiato tutti nelle scuole, lo abbiamo sempre visto giovane bello,
biondo, occhi azzurri, spavaldo con la camicia rossa e i pantalon
turchin. Tutti gli italiani vorrebbero essere un po' Garibaldi e un
po' Berlusconi, anche se non lo dicono. Garibaldi per la simpatia eroica e
Berlusconi per i suoi soldi e le belle donne dappertutto! Ma non lo
diciamo... off limits.
Naturalmente anche io come tutti i ragazzetti ne sentii
parlare nella scuola a suo tempo, a suo molto tempo fa, quando era
di moda la camicia rossa ma anche la camicia nera. Noi italiani ci innamoriamo
del colore della camicia e poi magari rimaniamo senza camicia.
Poi, più grandicello, 20 o trent'anni dopo, mi capitò
sottomano il Giuseppe Garibaldi di Montanelli. Mi piacque tanto il suo libro,
che lo lessi più di una volta, divertitissimo, soprattutto per le sue
birichinate. Ed adesso, che scrivo di lui, non ricordo più se quello che scrivo
lo lessi da Montanelli o nel Libro Pontificale o chissà dove. In ogni
modo, tutto quello che leggiamo o sappiamo e ricordiamo, lo abbiamo letto e
studiato da qualcuno al quale abbiamo creduto e poi ridiciamo le sue cose
fagocitate in noi credendo che siano farina del nostro sacco. E magari ce le ha
raccontate la mamma o la nonna.
È un plagio se io racconto a miei nipotini le stesse
favole che mi raccontava mia nonna?
Orbene, il Garibaldi nostro fu un personaggio
affascinante. Ancora di più di Don Giovanni o Robin Hood, anche perché questi
due non esistettero mai. Di lui, per motivi differenti si innamorarono uomini e
donne del Vecchio e del Nuovo Mondo. Un carisma, una personalità tremenda,
quasi inconscia e semplice e per questo ancor più affascinante.
Su di lui si è scritto moltissimo in tutte le lingue e
non voglio ripetere cose e date che si possono trovare in qualsiasi libro
romanzo o biblioteca. Ma di Garibaldi preferirei scrivere alla garibaldina e
come sempre nel mio sistema di cercare e sottolineare le stravaganze, il
comico, il divertente, l' irriverente del personaggio speciale che lui è sempre
stato, senza assolutamente volere mancare di rispetto al grande uomo che era ma
senza trasformarlo in statua da venerare come un santo con gli occhi rivolti
chissà dove. Ma siamo matti?
Vediamo allora le sue birichinate, che non erano azioni
ne' oneste ne' disoneste, ma semplicemente espressione di un carattere
esuberante e generoso, un po' teatrale come tutti gli italiani e che in un
certo senso voleva menar le mani contro chi, secondo lui, era doveroso e
patriottico si menassero. E le menò. La qual cosa contribuì non poco alla
indipendenza di due paesi tanto lontani tra di loro e tanto vicini, come l'
Uruguay e l' Italia. Con alcune schiaffeggiate anche in terra di Francia tanto
per far incazzare i ligi prussiani come Bismark.
Nacque a Nizza, nella bellissima Côte Azul di
Francia, in un momento che Nizza era francese. Era Nice e non
Nizza. Destino delle città di confine che cambiano nome secondo gli andirivieni
delle guerre. Gli autentici, i locali, gli indigeni, non parleranno se non
ufficialmente una lingua o l'altra ma sempre esisterà il loro dialetto,
qualsiasi sia il colore della bandiera. Quindi Garibaldi parlava perfettamente
italiano e francese ed il dialetto nizzardo; e lo spagnolo lo imparerà a
parlare con il suo bell'accento ligure insieme alla passione nuova per il Mate,
il Te misterioso degli Uruguaiani.
Era un esuberante giovane biondo rossiccio, con ingenui
occhi chiari e un bella vice di tenore. Simpatico, generoso e sempre senza un
soldo. Mai dette importanza ai soldi. E mai li ebbe. Però con il suo charme personale
si comprò mezzo mondo. Specialmente il femminile, come guerrigliero romantico e
formidabile. Cospirò contro il Re, contro il suo Regno di Sardegna e Piemonte.
E fu proprio questa famiglia Savoia, mezzo piemontese e mezzo francese, che
poco dopo cominciò a conquistare con guerre e plebisciti tutta la penisola,
meno Roma, riservata ai Papi. E si coronarono Re d' Italia. Con la bandiera
bianca rossa verde inventata da Napoleone. Contro questo Regno ancora in formazione
cospirò Garibaldi da giovane repubblicano, mezzo anarchico e mangiapreti. Lo
scoprirono e lo condannarono a morte. E da allora cominciò la sua vita
rocambolesca.
Pero si salvò. Meglio detto:lo salvarono. Chi lo salvo?
Una donna, la prima di una lunga serie di donne che furono dolce e alle volte
furioso contorno della sua vita. Una donna del popolo di Genova, una
fruttivendola, che approfittando l'assenza del marito che sicuramente si
sarebbe apposto, si senti in dovere umanitario di nascondere il bel giovane in
casa sua. In casa o nel letto, non si sa. Primo vantaggio di essere giovane e
bello. Se poi il giovane focoso parlasse dei diritti dei popoli o altre cose,
questo non è riportato. Solo che lo salvò.
E molti anni dopo, quando Garibaldi già tornato
dall'America sarà un personaggio famoso, deputato in Italia ed anche in
Francia, Sì, io son quel desso...rispose ad una lettera
di una donna genovese che ricordava l'avventura lontana e si domandava se lui
era proprio lui, il giovane che scappava e che lei aiutò. Io son quel
desso. E fece che le fosse concessa una pensione per avere
contribuito patriotticamente alla causa d' Italia. Chiusa la
parentesi futurista.
Ed in quella occasione lontana, il giorno dopo,
mascherato con i vestiti poveri del marito fruttivendolo e forse cornuto, con
un ultimo bacio scappò dalla casa ospitale e fu ad abbracciare sua mamma,
sicuro che non la avrebbe vista mai più. Ed invece la vedrà, felice, 15 anni
dopo, di ritorno dalle sue avventure latino americane che lo avranno trasformato
in personaggio di leggenda.
Lasciò Nice che intanto era ritornata
Nizza italiana e si rifugiò in Francia, Marsiglia. E li vede, in una edicola,
il suo ritratto nel giornale locale con condanna a morte per delinquente
rivoluzionario. Aveva fame, va in un ristorantino lì vicino. Seduto al tavolo,
viene riconosciuto per la foto ed avvicinato da certi giovani francesi con arie
minacciose. Ma il pericoloso criminale parlava perfettamente francese, era un
tipo simpatico. E poco dopo tutti i giovani cominciarono a cantare insieme
canzoni francesi di libertà e gioventù. E che si fottano i vecchi ed i
Re.
Però che il bellissimo eroico e crudo inno nazionale
fosse nato a Marsiglia, non esimette la città del contagio del terribile
colera in quei giorni. Tutti terrorizzati. Ma il condannato a morte, senza
paura e senza nessuna ricompensa, si offre volontario forse indossando le vesti
lugubri della Buona Morte. Ma ho letto anche un’altra versione di questi
fatti. Molto meno eroica e niente romantica. E non ci voglio credere.
Poco dopo, conobbe una vecchio marinaio che non era morto
per il contagio e il nostro Garibaldi ottenne il comando di in Brigantino
Turco. E poi sarà di un fregata a Tunisi. Gli andava bene. Era espertissimo
marinaio.
Però anche qui lessi di un’altra versione ancora, che lo
vuole Pirata a soldo di Pirati. Ed a questa versione credo e non credo.
Sulla guerra dal 39 al 45, ho letto tante versioni differenti di episodi
che personalmente ho vissuto, che adesso non mi fido quasi più di nesuno. Le
gente ricorda quello che vuole e spesso in male fede.
Torniamo a Garibaldi.
Garibaldi era anche uno spirito inquieto e voleva
qualcosa di più che i brigantini turchi. Voleva andare in Nord America. Ma
finalmente accettò di andarsene con un brigantino diretto a Rio de Janeiro. Non
era America del Nord, era America del Sud ma era sempre America.
E cominciò la su avventura latinoamericana.
Arrivò a Rio de Janeiro che aveva 29 anni. Rimarrà in
America, tra Brasile e Uruguay, per 12 anni.
E lì, in America, cominciò la sua leggenda, con azioni
che avevano un poco di banditesco, pirateria, galanteria con le donne, di
eroismo e di folklore da birbantello che irritavano enormemente personaggi
seri, specie se politici o militari che vedevano in lui solamente un
pagliaccio ma pericolosissimo...perché piaceva! Bismarck lo odierà e la
flemmatica Londra cadrà in estasi con una sua visita. Ma questo succederà molto
più avanti.
Ecco qui alcuni raccontini per illustrare il personaggio.
In Brasile, assaltò e svaligiò tipo arrembaggio un nave
carica di caffè. In Brasile non poteva essere che caffè. Fu un atto di
pirateria. A Garibaldi, con la spada sguainata e urlando come un ossesso,
mancava solamente tapparsi un occhio con la pezza nera, alla pirata dei
Caraibi. Eppure, sì, era un atto di pirateria bella e buona ma contro i
Braganza, la famiglia straniera che regnava in Brasile, ai tempi quando i
ribelli e poi patrioti del Rio Grande stavano guerreggiavano inneggiando alla
libertà ed indipendenza. E Garibaldi si sentì in dovere di partecipare, a
rischio della vita, alla lotta dei patrioti contro gli odiati stranieri! Fuori
lo straniero! era un grido di gioventù coraggiosa che lo entusiasmava.
Saltò all'arrembaggio, spada sguainata, sguardo di fuoco.
Conquistata la nave ordinò ai marinai di andar via in scialuppe salvavita: loro
non erano responsabili, erano figli del popolo. E liberò gli schiavi negri e si
appropriò di tutta la mercanzia: l'odoroso caffè del Brasile. Il caffè lo
vendette a terra a un commerciante furbetto che, dopo averlo ben stivato nella
sua bottega, con la scusa dell'azione illegale non voleva più pagare la somma
pattuita.
Capirai! Il trafficante non sapeva con chi stava
mettendosi. La stessa notte, pistole in pugno, un furibondo Garibaldi apparso
come un fantasma a tirarlo giù dal letto per i piedi, gli ingiunse secondo i
canoni un bel O la borsa o la vita...
Se la fece addosso, il tipetto e pagò la differenza che
mancava. Ne’ un soldo di più ne' uno meno.
In un'altra occasione, sempre in Brasile, scese a terra
per cercare qualcosa da mangiare per i suoi marinai. Entrò in una Fazenda.
Nel portico della Casa, vide qualcuno dondolandosi in una
bella amaca. Si avvicinò, sospettoso. E chi vide fu una bella donna giovane che
stava leggendo un qualche libro. Si avvicinò, tranquillizzato e cortese. Chiese
alla bella dama se poteva vendergli una vacca per i suoi marini affamati. La
signora guardò l'uomo. Sicuramente Garibaldi, capelli biondi al vento, aveva
nei suoi occhi azzurri quella involontaria tipica espressione che hanno gli
uomini quando guardano una bella donna. La donna continuava a guardarlo. Ed in
un italiano quasi perfetto gli disse di sì, però che bisognava aspettare il
marito, che sarebbe tornato il giorno dopo. Non sappiamo cosa pensò Garibaldi,
però il fatto è che per poter adempiere al suo dovere di procurar cibo ai suoi
marinai, rimase tutta la notte ospite della bella italo-brasiliana.
Fu un scrificio? Facendo cosa? Garibaldi raccontò molti
anni dopo, serissimo, a Dumas, che si misero a leggere insieme le poesie del
Petrarca.
Con un'altra occasione di coraggio sfegatato
guadagnò l'ammirazione di Bento Gonçalves, massimo rappresentante della
Repubblica di Rio Grande. In una laguna, la Laguna de Patos, sempre in Brasile,
Garibaldi stava per di lì all'agguato con i suoi marinai tutto fare ed un paio
di barconi, per prendere d'assalto i malcapitati velieri dei Braganza che
passavano per di là. Dava l' assalto e poi si nascondeva tra i meandri della
laguna. Brigante assaltatore o patriota eroico secondo i punti di vista. Le
truppe reali del Brasile non lo stanavano mai. Ora si dà il caso che un bel
giorno il nostro biondino era rimasto solo nel covo, solo con il cuoco,
aspettando che tornassero i marinai andati per chissà quale missione, magari a
donne...chissà corteggiandole, chissà violandole...chissà. Si usava molto anche
in quei tempi. Come i Romani con le Sabine. Come certe sette di fanatici
oggidì nel bel paese delle Mille notti e una notte.
Ad un certo momento fecero apparizione gridando
come matti un cinquantina di "soldati ufficiali" del Governo Reale
del Brasile. Quel contingente era in realtà di mezzo soldati e mezzo pirati
anche loro. Li comandava un certo Moringue: anche lui tre quarti di pirata e
terrore della zona per tutti. Cosa fare? Erano solo due uomini a difendersi. Ma
uno dei due era appunto il nostro Garibaldi. Il quale ordinò subito deciso allo
spaventato cuoco panzone che doveva caricare fucili e fucili come se
avesse il pepe in culo, gli gridò in dialetto di Nizza; ed il cuoco capi.
Ed il nostro matto da legare cominciò a sparare come un indemoniato saltando
come un grillo da una parte e dall'altra dell'accampamento. Insomma fece un
casino della madonna con tutte quei fucili che gli caricava il cuoco, al punto
che gli ufficiali "reali" si convinsero che la banda di Garibaldi
fosse tutta lì, nel covo. E si ritirarono prudentemente per non avere problemi
con dei quasi colleghi.
E fu una gran festa di allegria e risate quando i
marinari tornarono dalla loro missione e si resero conto della giocata.
Che poi nella baraonda uno del marinai, anche lui
euforico, abbia perso il buon cammino e sia sfumato con i soldi della cassa,
questo è un piccolo dettaglio che non interessa alla Storia.
In un altro momento, sempre in Brasile e chissà senza
rendersene conto, imitò per la spettacolarità una azione degna di Annibale. Era
il tempo che stava in agguato nella ormai diventata famosa Laguna de los Patos.
Pero un bel giorno i Braganza, stufi di essere pirateggiati, si misero di
traverso con navi o velieri che fossero e gli impedivano l'uscita al mare.
Ossia lo volevano tenere inchiodato -- così credevano -- nella benedetta laguna
aspettando che si trasformasse in tomba per il fuorilegge e la sua masnada.
Che fece Annibale? Trasformò i suoi marinai in falegnami,
costruì due grandi specie di camion con 8 ruote di legno ciascuno, vi caricò
sopra i due barconi che aveva per gli arrembaggi, chiese in prestito a
dei locali cinquanta buoi e con una marcia forzata per terra di cento
chilometri, raggiunse il suo mare e la libertà! Era un'azione impensabile, un
lampo di genio di arte militare. Bento Gonçalves, strabiliato e felicissimo,
premiò Garibaldi con 900 vacche. E dal Brasile il nostro eroe se le portò
camminando fino a Montevideo.
Se le portò? A Montevideo arrivò senza un soldo e senza
vacche, perché i capataz brasiliani se le andavano piluccando
strada facendo. Per amor di Patria, naturalmente.
Ed in Montevideo, al suo dovuto tempo, si trasformerà in
Generale. Ed oggigiorno la città lo ricorda con una bellissima statua, vicino
al porto, vicino al suo mare. Che poi non è mare ma fiume. Ma sono quisquilie.
No importa. E sempre acqua navigabile. E c'è una strada bella grande e lunga,
un boulevard Josè Garibaldi. Ed inoltre un Museo che ricorda
le sue gesta.
In altro momento ricevette l'ordine di salvare la Patria
Uruguaia. Non ricordo quale generale uruguaiano, forse Rivera, gli aveva dato
l' ordine di trovare cavalli, una buona quantità di cavalli, per rifocillare la
decimata cavalleria uruguaiana. E con qualunque mezzo. Garibaldi parte in
tromba. Si trasforma in ladro di cavalli. A Gualaguaychù , lassù lontano, il
cuatrero-abigeo li trova, li vede, li prende. Di ritorno passa per Colonia do
Sacramento: così si chiamava allora perché era ancora portoghese. Costì
autorizza i suoi affamati garibaldini a rifocillarsi nel refettorio di un bel
Monastero. Le monachelle funzionavano come spaventate cameriere ed il prete,
più spaventato ancora, come cuoco. Qualcuno poi disse che per un certo rispetto
i garibaldini si tolsero la camicia rossa e si vestirono da preti. Non ci
furono proteste.
Altri, invece, dissero che si sentivamo le urla di
ragazze correndo seminude per le stradine di Colonia per fuggire dalle brame
dei garibaldini. Chissà.
Comunque, dopo nove mesi i sacerdoti ebbero il loro da
fare con vari battesimi.
E la sua fama crebbe ancora per varie battagli vinte
miracolosamente nella zona di San Antonio.
Un buon giorno lui era quasi solo con solamente 700 dei
suoi folklorici garibaldini. Dico quasi solo per il paragone con il nemico, in
questo caso l' argentino Generale Urquiza, che aveva ai suoi ordini la bellezza
di 7000 soldati. Proporzione di uno a dieci. Dieci volte superiori. Il generale
argentino aveva apostrofato i garibaldini come briganti e cuore di
gallina. Bene. Le camicie rosse, punte nel vivo dell'orgoglio machista e
guidati da un Garibaldi ossesso, si armarono di santo ed incosciente coraggio e
fecero retrocedere i 7000 soldatini argentini. Come abbiano fatto non si sa. Ma
da allora fu chiamato l' eroe di San Antonio.
Poco dopo tocca a un'altra brigata argentina aumentargli
l'aureola di miracoloso e imprevedibile furbo fortunato. Fu contro il Generale
Medina. Garibaldi nemmeno sapeva quanti uomini avesse costui. Però con
l'intuizione diabolica e l'innocente e incosciente coraggio dell'eroe, lo
attaccò. Così, senza sapere contro quanti combatteva. Lo seppe poco dopo. Erano
molti di più dei suoi. Sapeva bene che il nemico e le donne bisogna prenderli
di sorpresa. Ed inventare sempre. Cosi che si fermò in un quadrato feroce
difensivo. Il sole stava volgendo al tramonto. Sapeva che l' arte militare
consigliava il ritiro delle truppe durante la notte. Finse un riposo per le
truppe. Gli unici a russare stanchetti furono gli argentini ossequiosi alle
norme e sicuri della superiorità numerica. Ma i garibaldini, in punta di piedi,
scarpe in mano ( quelli che le avevano) passarono sigillosi e trattenendo le
risate tra i dormiglioni. La mattina dopo, cerca di qua e cerca di la, il
Generale Medina burlato sbattè via rabbioso quelle catenelle con le quali già
assaporava il suo ritorno da eroe con il bandito incatenato al suo carro di
vincitore.
Invece fu Montevideo a sapere dei suoi successi
"garibaldini". Lo ricevettero entusiasti a bracia aperte. Gli
uomini. E le donne, bene, in verità, cosa aprirono non si sa. Però il governo
uruguayano, contagiato d'entusiasmo, in decisione fulminante colse l'
occasione per promuoverlo subito da Colonnello a Generale.
Che fece Garibaldi? Ringraziò commosso e disse di no.
Tipo strano, vero?
Con il tempo riceverà una bellissima spada d'oro.
Regalo od Onorificenza Uruguaiana?
No. La fama delle sue gesta si era sparsa in Europa e in
Italia. Forse anche un pò ingigantite dall’Oceano. Ma la spada era il
regalo di patrioti italiani, ancora sotto bandiere straniere, che lo
imploravano perché venisse a combattere per l'indipendenza completa della sua
Patria. E quella spada lucente d'oro era la unica decorazione nella sua povera
casetta a Montevideo.
In una occasione una commissione di uruguaiani erano
andati a visitarlo, di notte, in quella stessa casetta. La sua stanza era al
buio. L'eroe di Sant'Antonio non aveva neanche i soldi per comprarsi un
candela. Sarà stato vero?
Ma vero o non vero da qualche parte devo averlo letto.
Non me lo sono inventato.
Ma ho letto anche il contrario.
Verso la fine del 1948 lasciò America e Montevideo. Tornò
in Italia. Con Anita, la sua bella procace brasiliana e fedelissima donna e poi
moglie. Gelosissima sempre. Credo che lo precedette. E con un cane. E con un
servo negro e tre sacchi di mate, il Te dell'Uruguay. E
naturalmente qualche marmocchio.
L'arrivo a Genova fu apoteosico, a dir poco. O a Nizza.
Ma è lo stesso.
Specie per gli italiani del popolo e i giovani
intellettuali. Gli aristocratici, le persone di alta classe sociale non
dissimulavano i loro forti dubbi, come del resto anche poco dopo lo stesso
Cavour, il vero cervello dell'unificazione italiana. Cosi come Garibaldi ne fu
il cuore.
C'era una certa antipatia, chissà anche invidia, per un
popolano, ex mozzo di marinaio, senza studi ordinati ma parecchie letture
raffazzonate alla bene e meglio. Che in gioventù aveva fatto anche il pirata
con i pirati turchi. E che consideravano alla stregua di un capo tribù
sudamericano, un cacique, come più o meno si considererà più tardi
un Pancho Villa, eroe, bandito, pirata e macho. Si, maledettamente
simpatico e un carisma eccezionale.
Un uomo che poteva anche essere utile ma anche
pericoloso, da trattarsi con grandi abbracci ma anche con i guanti, del quale
eventualmente servirsi provvisoriamente finché la folla lo adorava, ma da
liberarsi di lui e delle sue smargiassate appena possibile.
Cosa fece in Italia?
Anche qui, roba da matti. Cose incredibili.
Combattè contro il Papa per conquistare Roma e
trasformarla in Capitale d'Italia e non soggetta agli Stati Pontifici. E riuscì
per breve tempo, con Mazzini, a costituire una delle tante effimeri Repubbliche
Romane. O Roma o Morte!.
Il Papa, Pio IX, Mastai Ferretti, scappò a Gaeta, ancora
sotto i Borbonici, travestito da monaco in un carrozza prestata da una nobile
romana. Ed in quell'occasione fu che Garibaldi apostrofò il Mastai Ferretti
come "quel metro cubico di merda". Un po' forte ma così disse.
Chissà se i montevideani, quando assaporano il loro dolce che chiamano pio
nono, lo riallacciano alla camparazione garibaldina. Poco dopo, pero,
fu il momento del triste evento quando il sogno della Repubblica Romana sfumò e
Garibaldi dovette fuggire da Roma inseguito alla bellezza di 4 eserciti. Riusci
a sfumarsi. Ma nel viaggio, disastroso rocambolesco e faticosissimo, la sua
Anita si ammalò e lo lasciò per sempre. Morì tra le sue braccia.
Ma ancora prima, molto tempo prima, quasi appena arrivato
dall'America con ancora i quattro cuattro sacchi del Te mate Uruguayano; in
quei tempi, insomma, aveva combattuto in un' azione incredibile. Ed il fatto lo
lanciò a fama internazionale.
Finalmente in Italia, combatté praticamente
solo con i suoi leggendari raffazzonati 1000 garibaldini, partendo di
nascosto da Genova (Quarto) contro l' Impero Spagnolo, niente di meno.
L'impresa infiammò italiani, siciliani, il mondo intero, romantici ed
intellettuali dappertutto. Ed in una sola corta epica guerra liberò Sicilia e
Napoli e tutto il sud Italia da secoli di dominazione straniera. Dominazione
straniera che anche se ebbe, come realmente fu, dei bellissimi lunghi momenti
di arte e di cultura, è anche vero che lasciò in tutto il sud Italia una
terribile situazione di miseria, fanatismi, banditismi, religiosismi superstiziosi,
mafie. Ed il tutto molto peggio di come, paragonando, stavano le altre
regioni d'Italia del Nord. Anche l'Italia del Nord era stata ed era preda di
dominazioni straniere. Ma lassù, invece, nel Nord, le riduzione o mancanze di libertà
erano parzialmente compensate dalle magnifiche amministrazioni dell'Impero
Austriaco.
C'è un certo paragone che si può fare tra nord e
sud d'Italia con Nord e Sud America. Forse è un po' fuori tema ma lo dico lo
stesso.
I bianchi anglo sassoni protestanti ( i
W.A.S.P.) andarono in Nord America per sfuggire a persecuzioni, formarsi oltre
oceano una nuova patria e si portarono dietro le loro famiglie, padri, madri,
moglie e figli, le loro abitudini e credenze religiose. Ed anche le loro
manie di tante sette religiose, più o meno fantasiose. E si trapiantarono in
terre americane. Volevano migliorare la loro situazione economica e non ebbero
mai la intenzione di mischiarsi con i pellirossa. Ne' cercarono di fare
proselitismo della loro religione a soggetti che consideravano inferiori.
Gli Spagnoli invece andarono in America anche loro per
migliorarsi economicamente, far fortuna, ma non con la mentalità del colono che
dice Adesso questa è la nostra nuova terra patria. Cominciamo a
seminare il grano. Ringraziamo Dio. Gli spagnoli andarono quasi sempre
da conquistatori per vedere cosa c'era da portar via. Non per fermarsi. Non per
colonizzare. La famiglia la lasciavano in Spagna; ed in America per sollazzarsi
prendevano le indio-americane e formarono con o senza famiglia un popolo di
bastardi. E lì si formerà la vera nuova razza americana: il negro, il bianco
europeo e l'amerindio.
Le tre culture, come dicono in Messico. Il Creolo è
un'altra cosa. Il creolo, il criollo è il figlio di
bianco europeo nato in terra di India.
Nel sud America ci sarà il fanatismo prepotente della
chiesa cattolica apostolica romana, la religione di stato della madre patria.
Nel nord America ci sarà lo stesso fanatismo religioso,
forse ancora più accentuato perché preso un po' più sul serio, prodotto dai
fanatismi calvinisti ed altri propaggini del Protestantesimo in generale.
Ma ritorniamo al nostro Garibaldi e alle conseguenze per
la liberazione del Sud con la sua impresa dei Mille che fu, come detto, un
formidabile evento storico.
Garibaldi aveva vinto. Aveva stravinto. Garibaldi
entusiasmava. Parlava il semplice linguaggio della gente, del popolo e
produceva gelosie anche nelle alti classi militari. Stravinse anche in certe
elezioni e lo mandarono al Prlamento, dove si presentò con il suo famoso
caratteristico mantello latinoamericano e suo bel berrettino rotondo da
marinaio, che lo aveva sempre caratterizzato, con grande scandalo muto dei
deputarti più formali, che chissà se lo aspettavano in cravattino.
Certo che era istrionismo, ma in fondo era un istrionismo
benevolo che non faceva male a nessuno. Solo faceva andare in bestia i suoi
nemici.
E venne anche Teano, il famoso incontro di Teano. dove
molti rimprovereranno a Garibaldi di essersi piegato alla casa Savoia. In realtà
fu così, ma Garibaldi fece bene. I tempi non erano ancora per un repubblica ed
il popolo ancor meno preparato per una democrazia; e forse non lo è
ancora neppure oggi. Però non fu solamente un cambio di Re, da un
Borbone-spagnolo-napolitanizzato ad un Savoia -franco-piemontese che nel sud
non lo capiva nessuno. Ma ebbe ragione, d' istinto, il nostro Garibaldi. Tra i
Borboni e i Savoya erano questi ultimi la miglior opzione. O la meno
peggio. Poi, sosteneva se non vanno bene li cambiamo quando
si vuole.
Ma dopo l'avventura dei Mille, dopo l'Aspromonte, dopo
Teano, dopo Roma e dopo la morte di Anita, si ritirò a Caprera. Alcuni dissero
che era al confino. Chissà... Ai Savoia lui aveva consegnato metà Italia. Ed
alla terra italiana la donna che aveva amato tutta la vita, sia pur nella
maniera imperfetta che amano gli uomini.
I Savoia, con Vittorio Emanuele II, volevano regalargli
non so cosa. Una buonuscita per toglierselo dalle palle?
Sapete cosa rispose questo bel tipo al Re d'Italia?
Io sono venuto dall'Uruguay per fare l'Italia. Non per
ricevere una mancia.
Fu una risposta bellissima, lapidaria. Non era certo la
risposta di un mozzo di nave. Poteva essere la risposta di un Re. Di un vero
Re, come non ne esistevano più e come non esisteranno. L’ultimo sarà il Re
Cristiano X di Danimarca, con la sua gialla croce di Davide che si mise
ostentamente nel braccio, in solidarietà con i suoi ebrei Danesi.
Eppure, ancora un po' più tardi, certo non era più tanto
giovanottello, andarono a cercarlo nella sua isoletta di Caprera dove coltivava
patate e fiori. Cincinnato, mi sovviene. E gli offrirono il comando di certe
truppe irregolari nella guerra contro gli austriaci. Fu l'unico generale
italiano che vinse delle battaglie con i suoi Cacciatori delle Alpi trasformati
in Alpini.
Andò a Londra che lo ricevette entusiasta. Sì, la
flemmatica Londra l'accolse in visibilio, innamorati gli uomini e soprattutto
le donne della sua figura di mezzo bandito, mezzo eroe, liberatore di popoli,
simpaticissimo e seduttore. Gli offrirono la cittadinanza inglese, che gli
inglesi non la offrono tanto facilmente e 5000 sterline. Accettò onorato una
delle due. Cosa accettò? Disse no thank you alle 5000
sterline. Poi andò negli Stati Uniti. Anche lì gli offrirono la cittadinanza,
però disse loro no thank you, chissà perché. Gli offrirono
anche il comando di non so che nella loro guerra civile contro il
sud. E disse di no.
E venne la guerra Franco Prussiana del 1870.
Combatté contro i tedeschi. Non era più giovane, però ciò nonostante fu l'unico
generale "francese" che non perse nemmeno una battaglia
ed inoltre catturò la bandiera nemica del 61º Reggimento Prussiano di
Pomerania. Prendere la bandiera al nemico e tenerla come trofeo di guerra era
una tremenda azione eroica e di grandissimo effetto, a quei tempi.
Bismarck, il Grande Cancelliere di Ferro, divenne
furibondo quando seppe di essere stato vinto da un bandolero, come
lo chiamava lui, ed italiano, per giunta!
Giurò che lo avrebbe trascinato prigioniero incatenato
per le strade di Berlino.
Bismarck era un gentiluomo e uomo di parola.
Ma quella parola non la potette mai mantenere.
Quando terminò la guerra Franco Prussiana, venne a sapere
che era stato eletto anche nel Parlamento francese.
Alexandre Dumas e Victor Hugo ebbero una enorme
ammirazione per lui. E non erano due personaggi da niente.
Senz'altro Garibaldi era un uomo che aveva avuto i suoi
bei difetti e punti neri. Anzi, puntoni neri. Certamente ne ebbe come succede a
tutti gli uomini. Ma non a tutti gli uomini succede di raggiungere anche i
grandissimi meriti che ebbe lui. Succede, però solamene ai grandi.
Ed io mi fido più di Dumas y di Victor Hugo che di
tanti storiuncoli che solo sanno fare le pippe ai canguri: cosi
esplose una volta Garibaldi con un certo giornalista impertinente che lo
visitava a Caprera.
Vogliamo parlare delle donne di Garibaldi?
A parte le sue fans come si direbbe oggi, varie però
occasionali, ebbe tre matrimoni.
La prima fu Anita che conobbe ancora dal Brasile, procace
e voluttuosa, ai suoi tempi, sposata con un tipo da niente e quando conobbe l'
Eroe fu naturalmente fulminata da Cupido. Questo vuole l'agiografia, sempre
generosamente bugiardella quando si tratta di personaggi storici di tutti i
tempi e luoghi. Si son dette varie cose di lei, anche della sorellina; vere o
non vere, non importa. Fatto sta che si invaghì di Garibaldi e tanto fece che
il Nizzardo pose gli occhi distratti su di lei e si soffermò su due particolari
ben messi in mostra. Lui credette conquistarla invece fu lei che conquistò lui.
Sovente occorre tra uomo e donna. E da allora lo seguì per tutta la vita.
Abbandono del tetto coniugale comporta certe sanzioni secondo i luoghi. Ma
quando si è alla presenza di un Eroe, allora tutto cambia. Come con Manuelita
Saenz, sposata Thorne, ambedue ameranno profondamente il loro grande amore, il
loro uomo, il loro Grande Uomo e lo seguiranno ovunque, energiche
e fedelissime. E cosi anche Anita lo seguirà dove lui voglia, in
pace e in guerra. Sempre lo seguirà. Anche in battaglie, pistola in pugno.
Anita ebbe figli con lui. Ed ottenne, finalmente dopo tanti anni, il sospirato
matrimonio religioso che Garibaldi, massone, ateo e mangiapreti rifiutava
sempre con tutte le sue forze. Però, ancora in America, finalmente cedette alla
donna che anche lui amava veramente e profondamente. La amava come spesso amano
gli uomini, che alle volte ci concediamo eccezioni e quasi mai per iniziativa
maschile, ma per condiscendenza. Alla sua maniera, ma l'amava. Accondiscese al
matrimonio ecclesiastico. E rimase un mistero come fu possibile che un prete
cattolico li sposasse secondo il rito di Santa Romana Chiesa con il Sacramento
del matrimonio, essendo lei adultera e lui un ateo.
E molti anni dopo, in un altro continente, in fuga dopo
la infelice campagna Romana, come già detto, braccati da 4 eserciti, Anita morì
sfinita tra le sue braccia.
Dopo questi fatti, a certa distanza di tempo. Garibaldi
andò in America, in Perù. Voleva conoscere Manuelita Saenz. Era l'amore di
tanti anni addietro di Simon Bolivar, il Liberatore, del quale si era parlato
tanto in Europa. Simon Bolivar, che era un'altra figura mitica che, dopo aver
liberato quasi tutta l'America del Sud, aver cercato di soddisfare il suo
grande ego, dopo essersene deluso come sempre succede, morì povero, malato e
solo in Colombia.
Garibaldi voleva vederla, quella Manuelita che sapeva
ancora viva in Perù e che tanto gli ricordava per le sue gesta e la sua
capacità di amare la sua perduta Anita. La trovò. La incontrò. La vide. Parlò
con lei. E un'enorme tristezza lo invase profondissimamente. Vide una donna
vecchia, senza denti, che farfugliava e vendeva cioccolato nelle strade di Lima
per sopravvivere. Solamente ancora e di tanto in tanto qualche riflesso
di lampo lontano negli occhi. E Garibaldi pianse.
Poi arrivò un altro matrimonio, il secondo.
Molto dopo la morte di Anita una giovane contessina
italiana apparentemente si incapricciò di Garibaldi, uomo ormai famoso in tutto
il mondo. Naturalmente gli anni passano e pesano anche ai tipi come Garibaldi.
E chissà il nostro eroe non voleva ammetterlo. La vecchiaia che arriva spaventa
tutti ai primi sintomi. E forse di più a chi era più forte. Perché da più alto
si cade, più duole. E volle credere alla seduzione. Si entusiasmò con la
giovane e bella aristocratica. Si ravvivava gli ormai sempre più scarsi capelli
con atteggiamenti spesso patetici con l' inutilmente complice berrettino di
marinaio. Ed accedette al matrimonio.
Alla uscita dalla chiesa, dopo la elegante cerimonia,
Garibaldi si gongolava per l'emozione e gli auguri. Gli si avvicinò un vecchio
amico e compagno d' armi:
Generale! Stia attento! La contessina sta aspettando
un bambino!!
Garibaldi rimase allibito. Improvvisamente
capì. E capì che era la verità.
Mi vogliono prendere per il culo... sibilò
contenuto a sé stesso.
Ed un attimo dopo, furibondo, le gridò come un tuono:
Sei una puttana !!
E la lasciò piantata sui gradini della Chiesa, in mezzo a
tutti i nobili ed illustri personaggi invitati al matrimonio.
Mai più la rivide. Mai più. E forse chissà si senti
sollevato dallo scampato pericolo. Ed imparò. Sempre si impara.
Il suo terzo matrimonio fu con una donna del popolo,
semplice, meno esigente, certamente. Gli fece buona compagnia e gli dette
figli. Ed è molto probabile che fossero suoi. Anche lei voleva sposarsi in
Chiesa. Questa mania delle donne che anche se dicono che non importa, in realtà
vogliono sposarsi con il velo e il bel vestito bianco.
Però per la Chiesa il povero Garibaldi era già sposato
con la Contessina ed il Tribunale Ecclesiastico volle negare l'annullamento
sollecitato per Ratum sed non
consummatum. Chissà era ammettere
la colpa della Contessina che probabilmente aveva le sue belle relazioni
di noblesse oblige con alto locati funzionari della Chiesa.
Allora Garibaldi si diresse al suo grande amico ed
ammiratore Victor Hugo pregandolo di intervenire acciocché la Francia gli
concedesse la cittadinanza francese.
Quando questo si seppe in Italia ci fu un enorme
scompiglio generale!
Come è possibile che Garibaldi, il nostro Garibaldi,
Padre della Patria, Unificatore d' Italia, stimatissimo anche dal Re Vittorio
Emanuele II, l' Eroe dei due Mondi, come è possibile che si debba trasformare
in cittadino francese?L'annullamento del matrimonio richiesto venne
immediatamente.
E l'agricoltore Garibaldi ( cosi detta l'Atto di
Matrimonio: l' Agricoltore Garibaldi! ) poté finalmente
tranquillizzare la sua compagna facendola sposa ed ottenne anche tranquillità
per sé stesso.
E continuò la leggenda. Garibaldi e il termine
garibaldino passarono ad indicare un modo d'agire, mezzo romantico,
birbantello, impulsivo, alla garibaldina insomma, ma sempre con un sorriso e
tono di simpatia.
Tutte le città d'Italia hanno una strada Garibaldi o
una piazza Garibaldi con la sua bella statua equestre o a piedi, busto od erma
che sia. Può darsi che manchi il nome di qualche Imperatore Romano o no, ma
Garibaldi è dovunque. Direi quasi in tutto il mondo. Anche nel lontano Messico
c'è una bellissima piazza Garibaldi dove i mariachos, con i
loro cappelloni giganteschi e il loro tequila cantano allegri
aspettando le mance dei turisti, per essere ancora più allegri.
Ad un certo momento viene da chiedersi: Sarà vero
tutto quanto si disse e scrisse su Garibaldi?
Certo, per gli italiani e molti non italiani Garibaldi è
un eroe e un mito. Padre della Patia e tutto questo.
Ma per altri, ricordiamolo, fu solamente un pirata,
corsaro, con masnade di ladri, assaltatori e violatori, ignorante, il
Mercenario dei due mondi, dissero anche , ladro di cavalli al quale vennero
mozzate le orecchie in sudamerica, burattino della Massoneria, trasformato in
Eroe per convenienza.
Probabilmente fu un poco di tutti e due, specie ai suoi
inizi e nella folklorica America del Sud.
63/
LENIN
il suo ambiente e le sue donne
INTRODUZIONE.
Scrivere su Lenin non è niente facile, perché significa
scrivere su quell'evento eccezionale che è stata la Rivoluzione Sovietica.
Uno di quei cardini che, con la Rivoluzione Industriale,
la Rivoluzione Francese, con la Rivoluzione del Rinascimento e del
Luteranesimo, con il 1492, con il Risveglio Carolingio, con la
caduta di Roma ed avvento del Cristianesimo e con il primo morso alla mela
della conoscenza, sono stati fin'ora i principali pilastri modificatori del
nostro adattarci e vivere nel nostro Universo. Universo di misteriose origini,
di misteriosa imprescrutabile fine, dove le nostre vite, delle quali siamo
tanto orgogliosi, universalmene parlando non contano nulla.
Ed io non ho la preparazione né ho la capacità e neppure
tanta voglia di mettermi ora in questo argomento affascinante ed amplissimo.
Perché caso mai avrei dovuto cominciare a farlo nella mia ormai lontanissima
gioventù. Ora, agli 86 anni, è troppo tardi. Non ne avrei più il tempo.
Però è anche vero che nella ormai lontanissima gioventù,
non ne avevo la esperienza di vita.
Quando si sa non si può' e quando si può', non si
sa come.
Cha fare? Me lo chiedo anch'io, allora, caro Lenin.
Penso quindi limitarmi per approfittare del poco o
molto che mi ha dato la vita, la mia vita. Una lunghezza comparativamente
notevole ed una certa esperienza per aver vissuto in varie attività e in paesi
differenti. Sballottato in adolescenza negli eventi turbinosi e molto
parzialmente capiti della guerra dal 39 al 45, sì, effettivmente potrei
dire che da allora in poi ho acquisito una certa esperienza, generalmente
superiore alla maggioranza di miei congeneri.
E questo è il mio patrimonio, adesso, cui attingere. Le
cose si vedono da un punto di vista differente, quando l'esperienza modera gli
entusiasmi. E guarda caso, si osserva anche con una certa bonomia, per la
conoscenza che in fondo niente ha l'importanza che credevano avesse.
E mi rivolgo alle cose più semplici, marginali e più
umane. Forse, tutto sommato, anche le più divertenti.
Diamo uno sguardo rapido alla Russia di quei tempi, di
fine XIX ed inizio del XX secolo. Nella Santa Madre Russia, come la si
chiamava, il comandante in capo con poteri assoluti era lo Zar Alessandro III
Romanoff. Osco ed autocratico aveva annullato le timide concessioni di suo
padre. Ma costui, l'osco autocrate, morì improvvisamente, prima dei suoi 50
anni e forse per tutti gli accidenti che gli mandavano. La Corona passò, secondi
i canoni, al figlio Nicola II. Era un bravo ragazzo e sarà sempre un brav'uomo,
in fondo, magnifico sposo e padre, ma non aveva assolutamente nessuna voglia
ne' forse la capacità per essere un Capo di Stato. Disse una volta, non ricordo
a chi, forse a un suo parente: Non sono preparato per essere veramente
uno Zar. E mai ho voluto esserlo. Non so nulla di governo, non ho la minima
idea di come parlare ai ministri.
Povero ragazzo. Voleva essere un uomo in grigio,
tranquillo, con la su famiglia, fare le sue otto ore di lavoro, sbaciucchiare
la moglie e giocherellare coi ragazzini. Invece lo ribaltarono a Capo di uno
stato enorme, in tempi dei peggiori fermenti politici del suo secolo. Le
occupazioni di Stato non lo attiravano sicuramente. Una volta scrisse, credo
nel suo diario: Con Alix, con mia moglie, sono felice. Che peccato che
le cose di governo mi occupino così tanto. Vorrei stare sempre con lei, tutto
il giorno. Era un bellissima dichiarazione d'amore. Ma un capo di
Stato non può essere cosi. Un vero Capo di Stato deve occuparsi della sua
nazione. E poi, eventualmente, in secondo piano, delle altre cose, comprese le
familiari.
Al avere più o meno captato il tipo del personaggio, la
vera sua tranquilla personalità, semplice, se vogliamo e di piccolo borghese,
aumentò la mia considerazione verso di lui. Ed in un certo senso anche un certa
inevitabile pena per aver fatto una vita e quella tragica fine che non si
meritava come persona. Come uomo privato, naturalmente. Non come lo statista
che avrebbe dovuto essere e come non fu perché non poteva esserlo. Ed il punto
qui è molto più complesso e non lo affrontiamo.
Però, dobbiamo anche ammettere che non era affatto un
uomo stupido ed ebbe un paio di lampeggi sorprendentemente apprezzabili. Per
esempio: quando ricevette, in pompa magna, la corona di Zar e Basileus de
la Chiesa Russa, venne al suolo con gran fracasso una costruzione fatta
provvisoria per i festeggiamenti. Era gremita di persone semplici ed
acclamanti. Morirono circa 1500 persone. Una bella strage. Il giovane monarca
si emozionò enormemente per queste tante morti, impreviste, di gente innocente.
Una catastrofe. E subito, per impulso, volle assolutamente sospendere tutti i
festeggiamenti. Non se la sentiva di seguitare in allegria, con quelle scene di
morti e desolazioni ed urla di terrore e lamenti negli occhi e nelle orecchie.
Volle ma non potette.
Quelli della Corte, tutti; ed i suoi consiglieri, anche
tutti, si opposero fermamente:
Maestà, dopo tutto si tratta di poco più che servi
della gleba...
Ed il giovane sovrano fu costretto a seguire i loro
consigli, quasi ordini. Però esigette per lo meno una forte compensazione
economica alle famiglie degli affettati.
Un'altra decisione che prese il giovane Zar e niente
affatto gradita alle Corti di Mosca e Pietroburgo, fu la sua decisione, questa
volta irrevocabile ed irrevocata, di andare a vivere con sua moglie e figli in
un piccolo Palazzo nella periferia di San Pietroburgo, in
ambiente molto più sobrio e lontano dalle mondanità delle Corti.
Però queste furono reazioni più personali che pubbliche.
Perchè dove ebbe veramente lampi di visione da
statista fu appena dopo il suo secondo anno di Regno. Si diresse alla Comunità
Internazionale ( correggo: ai paesi più importanti d'Europa e del Mondo,
secondo le tradizioni) proponendo il disarmo e la pace mondiale; facendo enfasi
sulle conseguenze morali ed economiche della corsa agli armamenti.
Sceglierà l'Aia, in Olanda, per la prima conferenza e poter arrivare dopo alla
Prima Convenzione Internazionale dell'Aia. Naturalmente coloro che
ricevettero molto freddamente l'invito furono le due Potenze Imperialiste della
epoca: Inghilterra e Germania, che non avevano la minima intenzione di
disarmarsi. Così che la proposta del disarmo mondiale proposto
dallo Zar fu respinta. Però fu almeno possibile prevedere certe norme che prima
non esistevano neppure. Anche se non furono mai applicate completamente, sempre
furono di una qualche utilità. Per esempio non maltrattare i civili nei paesi
conquistati, non distruggere costruzioni civili, non usare i tanti temuti gas,
dare un certo tratto umano ai prigionieri di guerra e, altra
importantissima decisione, la facoltà di ricorrere eventualmente al
Tribunale Internazionale dell'Aia per intermediare e decidere su questioni di
vario genere tra stati sovrani, perché non si sbranassero tra di loro.
E fu realmente qualcosa di paradossale che una proposta
cosi " moderna ed innovativa" venisse proprio dal monarca più
autocratico di quei tempi. Da quel povero Monarca, povero principe e
pover'uomo, forse il più autentico dei gentlemen, che poi si
trasformò tragicamente in vittima di quei momenti di forti contraddizioni.
Certa somiglianza con Massimiliano d'Austria in Messico. Evidentemente Nicola
II come uomo comune era un semplice, in buon fede e non seppe difendersi.
E Lenin sapeva tutto questo. Lenin era di molta
intuizione ed intelligentissimo. Aveva capito il dramma inevitabile dello Zar.
Seppe, a cose fatte e a suo dovuto tempo, che la famiglia intera dello
Zar era stata trucidata barbaramente dai Soviet degli Urali, le ossa sparse,
alcune sparite nel nulla con l'acido muriatico, infilzati con baionette i
membri della famiglia rimasti ancor con un fil di vita dopo la fucilazione
collettiva, includendo persino i cagnolini delle principesse. Quando ricevette
questa notizia come fatto di cronaca, il nostro Lenin, lo spietato Lenin,
pianse veramente. Lui non aveva ordinato questo, ma comprese la ineluttabilità
degli eventi. E forse per questo pianse, come piangerà nella Piazza Rossa,
molti anni dopo, al sentire le note della Serenata al chiaro di luna nel
funerale della sua Inessa, la donna che aveva veramente amato. Lenin era chissà
spietato, ma anche con sè stesso, per dovere verso la causa. Chissà
ferocemente ascetico come lo descrisse la Balabanova ma era anche
incredibilmente sentimentale. Non era, assolutamente no, non era come quella
bestia di Stalin.
Chissà rimase una strana sensazione di complesso di
colpa, nei Russi, ormai non più sovietici ma sempre Russi e slavi sognatori,
nei confronti dello Zar. Quando cadde il famoso Muro di Berlino con tutto
quello che rappresentava, i poveri resti o ritenuti tali della frantumata
famiglia dei Romanoff furono raccolti e seppelliti nella Chiesa di San Pietro e
Paolo, in San Pietroburgo. Io personalmente visitai le tombe, con una certa
stranissima sensazione di che tutto cambia e della ineluttabile verità
del pulvis eris et in polverem reverteris.
Recentemente seppi che, poco dopo, furono
addirittura canonizzati, credo solamente dalla Chiesa Ortodossa Russa: San
Nicola II, San Alexey Romanoff, Santa Alessandra d'Assia, la zarina, Santa
Olga, Santa Tatiana e Santa Maria. E naturalmente anche la Santa Anastasia, la
fantomatica Anastasia Romanoff.
Chi lo avrebbe detto, camerata Lenin? Fatti santi?
Poco mancò che facessero santi anche i due cagnolini,
fucilati per essere cani borghesi.
Torniamo a bomba. Gli avvenimenti politici e di pensiero
di inizio del XX si stavano succedendo con velocità. La Rivoluzione Francese,
anche se, horribile dictu, attraverso un Monarca nient'affatto
democratico e addirittura Imperatore, aveva portato nuovi ideali in tutta
Europa ed anche in quella succursale europea che si chiama America.
E così nella Santissima Madre Russia, anche se la
stragrande maggioranza della popolazione vivacchiava ancora con tradizioni e
credenze medioevali, tra le nuove generazioni di intellettuali era diventato di
moda fare gli anti-zaristi, essere paladini di libertà, perfino essere
socialisti o addirittura anarchici con il farfallotto nero come Bakunin.
Soprattutto in Svizzera, in Francia, in Germania, in Inghilterra, nei paesi che
contavano, insomma, c'erano correnti di pensiero nuovo. Nelle Università si
percepivano ancor di più i nuovi tempi. I giovani che da paesi vari ed anche dalla
Russia se ne andavano a studiare nell'Europa viva, ritornavano nelle loro terre
mezze addormentate con le nuove idee di libertà. E spesso con gran disperazioni
dei genitori, quasi sempre facoltosi per poter pagare le spese dei figlioletti
cari; e che poi, magari, saranno i loro nemici politici. E forse “ancora più
magari” le loro vittime politiche. E questi ragazzi tornavano con queste idee
nella testa: socialismo, anarchismo, roba da matti, roba del demonio, amore
libero, roba da puttane, roba da delinquenti. Ne abbiamo esempio in Russia con
donne intelligenti, eroiche, all'avanguardia come la Balabanova, la Kulischef
ed altre.
E questo era l'ambiente russo, forse il più addormentato
d'Europa, quello dello Zar Alessandro III, dove era nato Vladimir Ilicj
Uliànov, cocktail di razze, mescolanza di sangue tedesca, mongola, russa ed
ebrea. Ai suoi 17 anni si disse che aveva visto con i suoi occhi quando stavano
impiccando suo fratello, per un attentato non riuscito contro lo Zar Alessandro
III. Da quel momento nacque l'odio viscerale di Lenin contro i Romanoff.
Proprio per questo è interessante meditare sulla sua reazione alla notizia
della strage di Nicola II e famiglia. Ma questo succederà più avanti, ai tempi
della Repubblica Sovietica. Contraddizioni che si vedranno più di una volta in
Lenin, tra la sua emotività borghese e l'idea sacra della rivoluzione. Quella
emotività borghese che cercò sempre di sopprimere, a costo della sua felicità
personale, arrivando a sacrificare anche la donna che amava. Ma la donna amata,
Inessa, non la sacrificherà per un senso di rispetto alla sua moglie, Nadia,
sacrosantamente sposata con tanto di Prete, ma per non togliere spazio
alla causa.
Sempre si è saputo che, per lo meno pubblicamente, Lenin
aveva pianto tre volte nella vita. Di Mussolini si seppe di una sola volta,
rivolgendosi ad una Immaginetta della Madonna, lui, ateo, per la figliola
ammalata di poliomielite. E questo lo commentò Rachele, la moglie. Chi sa,
era vero? Forse ci teneva a far sapere o credere che suo marito fosse un
uomo normale e non un mostro cattivo come dicevano gli americani che gli
vollero scientificamente analizzare un pezzo di cervello per studiarlo.
Ma di Stalin, mai. Assolutamente mai. Mai sentii parlare
di lacrime di Stalin.
Ma di questo parleremo più avanti.
Continuiamo.
Il nostro Lenin fu arrestato per la prima volta durante
una protesta giovanile che gli costò la espulsione dall'Università dove
frequentava la facoltà di giurisprudenza. Fu grazie a certi interventi di sua
mamma che potrà laurearsi nel 1892.
Darà assistenza legale ad operai e contadini. Un po' più
tardi, per studiare da vicino il movimento operaio europeo, andrà in Svizzera,
a Berlino ed a Parigi. Al suo ritorno, a San Pietroburgo, gli affibbieranno il
battesimo della prima prigione. Rimarrà la bellezza di 14 mesi tra
color che stan sospesi, in attesa di condanna definitiva e precisazione
sulla destinazione.
Facciamo una considerazione, adesso, ad onor del vero.
Le prigioni nella Russia Zarista non erano certamente
hotel da cinque stelle, o come certe lussuose prigioni di VIP che alle volte
scandalizzano oggigiorno.
Nessuna prigione in nessuna parte del mondo aveva
caratteristiche di comodità. Ricordiamo la lettera che Leone Tolstoj scrisse a
Nicola II nel 1902 a proposito delle vergognose carceri russe. Quello che
però salta alla vista oggigiorno per chi ha un pizzico di indipendenza di
giudizio, è che se le condizioni nelle prigioni zariste erano certamente
repressive e molto; quelle della futura Unione Sovietica saranno spietatamente
peggiori, specie con i famosi Gulag. Però Tolstoj non poté vederli e così ebbe
la fortuna di non deludersi con il bel sogno socialista di un futuro destino
migliore.
64/ APOLLINARIA
YACUBOVA
Bisognerà chiarire che gli amori di Lenin sono stati
tutti censurati, anche se non erano un caterva numerosa come quella
dell'atleta del sesso che sarà il suo ex collega, l'ex socialista Mussolini.
Censurati, sono stati censurati, visti con gran attenzione dalla polizia
sovietica che controllava al massimo tutto quello che si riferiva al supremo
idolo del Socialismo Sovietico. Nulla, assolutamente nulla doveva macchiare la
sua sacra reputazione come Santo del Comunismo. Un'infinità di foto sono state
ritoccate, soprattutto quelle dei due periodi che Lenin passò in quell'isola da
sogno che è Capri, vicina Napoli, dove arrivavano i VIP della epoca. Scrivere
di questo adesso mi fa ricordare Orwell, 1984. Sì, succedeva quasi così,
come lo raccontava, immagnando i fatti, il caro Orwell: mentire sempre
per dominare meglio. Solo che qui, con Lenin, non si trattava di fantasia
di scrittore. Era vero, Bisognava cesurare, conrollare. Le foto di Lenin furono
studiate e ritoccate più di una volta per evitare che personaggi, uomini o
donne o politici o industriali o militari prussiani che apparivano con lui
nelle foto originali potessero compromettere la sua immagine di asceta. Le foto
di Apollinaria Yacubova anche sono dubbiose. Al punto che io, poveretto, non ne
ho trovato neppure una. Però sembra che la molto graziosa, intelligente,
elegante e giovane attivista del movimento rivoluzionario fosse il suo primo
amore.
Forse, chissà dico
adesso con una punta di malignità, siccome era troppo bella e fuori dal caschè austero
della proletaria, pensavano che non era serio fare vedere l' ascetico Lenin
accondiscendendo alla bellezza femminile e che era meglio vederlo catechizzando
compagne del partito brutte racchie e senza troppa femminilità borghese. E si
commentò, figurarsi un po', top secret, che il giovane Ilich,
vezzosamente chiamato Volodia, le avesse proposto nientedimeno che matrimonio,
istituzione che tra poco tempo sarà considerata reminiscenza borghese da
superare per lasciar spazio all'amor libero socialista. E, cosa ancor più
grave, da non far assolutamente sapere, che il nuovo Dio aveva ricevuto un bel
NIET dalla fanciulla perché, si disse che lei disse, le cose del cuore
non hanno niente a che vedere con la politica. Insomma, non le piaceva
come uomo. Secondo lei non era sexi. Capito? Ciapa su ! avrebbero
commentato a Milano o a Torino.
Ma i due continuavano a vedersi. Un bel giorno la bella
Apollinaria, chissà ormai mezzo stufatella come tutte le belle ragazze, invitò
una amica, molto meno carina di lei, anzi addirittura bruttina, per assistere
ad una festa rivoluzionaria e naturalmente segreta. Era Nadezhda
Krùskaya, (Nadya). Anche lei maestra di scuola notturna per operai e
ovviamente rivoluzionaria. E lei sì, lei si innamorò quasi immediatamente di
"quel bel giovane interessante della Regione del Volga." Capito? Beccate
questo! avrebbero commentato a Roma. E qui Lenin appare
come un bel ragazzo dagli occhi sognanti.
Parteciparono insieme anche a un bella festa di
Carnevale, senza importare se il Carnasciale fosse o non fosse
di origine borghese decadente; ma parteciparono anche in altre riunioni serie
di marxisti in Pietroburgo. El il camerata Lenin, pur continuando a fare
il cascamorto con la bella Apollinaria, accettava però anche la presenza della
Krùpskaya, compiaciuto e contento della sua lealtà ed appoggio. Con la
Krùpskaya si dilettava con belle chiacchieratine rivoluzionarie, accompagnate
da contorno di cenette caserecce nelle quali la socialista innamorata
dimostrava una specialissima abilità culinaria. Bel furbetto il nostro Lenin.
Arriva il 1895. Lenin si farà un bel viaggetto in
Svizzera, a Berlino, a Parigi per studiare il movimento operaio in Europa. Lo
abbiamo già accennato. Ritorna in Russia sempre nello stesso anno e la polizia
te lo schiaffa in prigione "preventiva" dove passera 14 mesi in
attesa di giudizio. In questo tempo il nostro Compagno Lenin, intelligente e
che capiva presto, si stava rapidamente trasformando in esperto in reclusioni.
Aveva capito come si dovevano comportare i detenuti politici. Si era fabbricato
dei calamai. I giovani di oggi non sanno cosa sono i calamai e li confondono
con i calamari, anche loro portatori di liquido nero. Calamai fatti con
molliche di pane, quelli di Lenin, dove poneva il latte e a mo' d'inchiostro nero,
vi attingeva la penna per scrivere misteriosamente. Il latte al seccarsi sul
foglio di carta diventava invisibile. Ma visibile all'altra parte, al
destinatario, cospiratore o innamorata che fosse, quando poi avvicinava il
foglio a una leggera fonte di calore, come per esempio un bel lume di
candela. E lo scritto appariva, romantico o cospirativo. Ai miei tempi, in
Italia, si usava il succo di limone. Lo stesso procedimento anche se non con
gli stessi fini. Noi ragazzi, io specialmente, al ginnasio-liceo, scrivevamo
letterine o bigliettini alle liceali del turno di pomeriggio ( le scuole spesso
erano requisite nella mattina e notte per emergenze belliche di sfollati) su
argomenti di studio, però...ay ay ay...usavamo il limone per scrivere tra le
righe certe frasi che le ragazzette poi leggeranno, chiuse nel famoso bagno
complice di tante intimità. Accendevano la candelina e leggevano, spesso
tenendo la lettera con una sola mano, quelle frasi bellissime, ingenue ed
infuocate d'amore che si scrivono solo nell'adolescenza. Ma questo succedeva a
noi, rampolli di una società degenerata. Lenin usava questi trucchetti per la
vittoria della Dittatura del Proletariato.
Chiedo scusa per il fuori tema. E quelli che verranno.
Ma come si fa quando i ricordi son tanti e si
accavallano?
Dalla sua prigione di San Pietroburgo Lenin commenterà a
sua sorella Anna:
Quanti calamai mi sono dovuto mangiare!
Meno male che erano fatti di latte e pane! gli rispose
la sorellina, un po' preoccupata e un po' scherzosa.
In ogni modo Lenin riusciva a comunicare con sua mamma e
chiedeva a lei che gli mandassero in cella indumenti e cose di prima necessità.
Arrivò finalmente il giorno dell'interrogatorio. Lenin,
con la faccina più innocente del mondo, seppe rispondere che lui non sapeva niente
di niente, che i fogli di propaganda anti-governo che la polizia aveva trovato
in casa sua stavano lì per combinazione, perché glieli aveva consegnati
nella strada un tipo che non lo conosceva, che li distribuiva ai passanti come
propaganda e che quindi non poteva fare nessun nome. E con quelle bella ingenua
faccetta da Io non lo so e io non c'entro, gli
spietati inquisitori zaristi gli credettero....in parte. Nella prigione poteva
ricevere visite due volte alla settimana e alimenti vari da fuori quasi tutti i
giorni. Poteva ricevere tutti i libri che voleva, alcuni dei quali
proibitissimi dalla censura Zarista. O sarà stato che i carcerieri, certamente
non luminari di cultura, nemmeno sapessero di cosa si trattava.
In uno dei suoi messaggi al latte, Lenin
chiese a Apollinaria e a Nadia che passeggiassero in una certa strada di
Pietroburgo vicino alla prigione dove lui potesse almeno vederle anche se per
poco tempo, durante i passeggini che davano i carcerati nei corridoi della
prigione, con vista alla strada. Nadia si presentò all'appuntamento visuale
romantico, però sola e confessa o mente che per un qualche motivo
Apollinaria non poteva venire anche lei. Così che Nadia andava sola e
parecchie volte a fare ciao ciao teneri con la manina inguantata per il fretto
al pericoloso carcerato.
Le cose sono due: O Apollinaria si era stufata di quegli
appuntamenti semi amorosi con uno spasimante tra le sbarre. O Nadia aveva una
paura da matti che la bella Apollinaria le sottraesse il bel giovane del Volga
e tra la camerata-compagna e la donna, prevalse la donna. Ed allontanò una
possibile rivale pericolosissima. Alla faccia di Carlo Marx.
Al nostro carcerato continuavano ad arrivare alimenti e
beveraggi vari dalla famiglia. Una volta confessò ridendo a un compagno di
prigionia che con tutto quel tè che aveva ricevuto poteva metter su una bella
botteguccia. Dormiva nove ore al giorno. Leggeva e scriveva molto. Faceva
traduzioni. Con la sorella Maria commentava che in carcere la cosa buona era
alternare letture serie con altre più leggerine e giocare a scacchi. Insomma,
con tutto questo si dovrebbe dedurre che le prigioni zariste non avevano niente
a che vedere con quelle della futura Unione Sovietica, dell'epoca di Lenin e di
Stalin.
Finalmente si arriva al 10 febbraio 1897. Il Ministero
della Giustizia decide ed ordina il confino per tre anni in Siberia. Allegria
di tutta la famiglia che temeva una pena più lunga. Chissà nel Ministero lo
considerarono il solito intellettuale fantasioso ma poco pericoloso. Poco più
di un utopista. Cosicché il 28 di febbraio il nostro non pericoloso Lenin,
sarà messo in completa libertà, anche se per pochi giorni, per prendersi
una bella vacanza prima di andare nella lontana Siberia. Inconcepibilmente
certo! Vacanzetta prima della galera!
Ed il primo giorno di libertà e di vacanza il nostro
Lenin lo passerà con la mamma, le due sorelle Anna e Maria e con la
Apollinaria, che riapparve. La povera Nadia non potette assistere alla
festa di riunione familiare perché stava in prigione da qualche parte per
essere stata pizzicata in chissà che attività rivoluzionaria.
Fu un rivincita del match Apollinaria vs. Nadia?
Cos'era successo nel frattempo? Era successo che la mamma
di Volodia aveva ottenuto qualcosa di incredibile per suo figlio. Aveva
chiesto che "Volodia" potesse raggiungere la destinazione di
Siberia con i propri mezzi e non con il treno lentissimo dello Stato, adibito
al trasporto carcerati. E non solamene questo fu concesso alla
implorante mamma dalle inumane autorità zariste. Pensandolo meglio, la signora
chiese anche che " dovuto alla salute non precisamene ferrea di
Volodia, non sarebbe meglio che il confino in Siberia...sì, Siberia...però la
Siberia è tanto grande...e non lo si potrebbe mandare in una zona, sempre
in Siberia, ma con un clima un po' meglio? dove non si muoia di freddo?
E le autorità Zariste, sempre inumane, accondiscesero in
via eccezionale a cambiare un poco il destino originario e che Lenin andasse
nella città di Kranojark, nel sud della Siberia e che le autorità locali
decidessero loro il posto esatto e definitivo. E siccome partendo con i suoi
mezzi avrebbe certamente raggiunto il destino molto più rapidamente, concessero
per il figliolo un permesso di una settimana per salutare gli amici a Mosca.
Incredibile anche questo! Ci si chiede come mai Lenin non si sia dato alla
fuga. Si trattava di impegni tipo Parola d'Onore, forse ancor valida in quei
tempi? Stalin, a parità di condizioni, se ne sarebbe infischiato, certamente.
Ma Lenin mantenne la parola. Forse preoccupato anche di eventuali ritorsioni su
sua mamma? Chi lo sa !
Così che Lenin partirà per suo conto ed arriverà a
Kranojark come previsto e lì aspetterà il lento convoglio dei carcerati che non
era ancora arrivato. Le distanze erano e sono immense in Siberia. Viaggio in
treno, poi proseguire con un trabiccolo per il lunghissimo fiume Yanisei e poi
ancora per terra con carretti di contadini. Arrivato a Kranojark conoscerà un
ricco commerciante e proprietario, con grande emozione per Lenin, di una
bellissima biblioteca. Si faranno amici, passeranno insieme lunghe ore nella
sua mansione e lì stesso riceverà riviste e giornali da Pietroburgo e da Mosca.
Glieli manderà la mamma. Una mamma d'oro, veramente e capace.
Finalmente dopo due messi arriverà il famoso convoglio
con i suoi compagni, futuri bolscevichi. E finalmente gli comunicheranno il
nome del destino finale: Shushénskoie, un villaggio bene lontano da tutto e da
tutti, dove sarà finalmente accompagnato da due Guardie e consegnato all'unico
poliziotto del paesetto.
Per avere un'idea questa “metropoli”: sta vicino al
lago Baikal dove, a suo tempo, verso il tredicesimo secolo, bazzicava Temusin,
il futuro Gengis Kan. E non è nemmeno facile trovarla nelle mappe. 30 gradi
d'estate e 30 d'inverno. Però i 30 d'inverso saranno -30, cioè sotto zero. 30
gradi sotto zero sono una enormità per noi persone normali. Ma per quei
semi-esquimesi, i -30 comparati con i -50 di altre zone della Siberia erano
un clima quasi tropicale.
Grazie, mammina bella, deve aver pensato
Volodia.
Ed in questo “tropico” passerà i tre anni previsti di
confino.
Le autorità avevano chiesto a Lenin se aveva mezzi per
vivere. Rispose di no. L’Ufficio Governativo gli credette e stabilí dargli
sette rubli mensili per il suo mantenimento. E con questo poteva pagare vitto,
alloggio e servizio di lavanderia. Ma il nostro confinato politico si difendeva
abbastanza bene perché un certo editore marxista di Pietroburgo gli avrebbe
pagato dai 100 ai 200 rubli per ogni articolo che scrivesse per lui. Ed
era una cifra molto alta per quei tempi. Inoltre gli assicurava traduzioni di
opere straniere perché Vladimiro Ilich parlava varie lingue. E per le eventuali
ultimissime emergenze c'era sempre sua mamma, la cara dolce mamma, sempre
disposta e con possibilità per aiutarlo.
Il nostro Vladimiro Ilich, come già detto, era un persona
completamente dedicata alla causa del comunismo nella quale credeva fermamente
e per la quale causa sacrificò i suoi amori e molta parte di sé stesso. A
parte, chissà, certi dubbi che confesserà a sé stesso solamente nel letto di
morte, Lenin sempre era stato inflessibile con sé stesso e con gli altri.
Voleva raggiungere quello che considerava il giusto scopo politico, costasse
quello che costasse. Premesso questa su inflessibilità, non si deve quindi
pensare che il periodo di relax che rappresentò per lui Sushenshcoie, gli
abbia potuto sottrarre valore come uomo di lotta. Anche se si vuole pretendere
ed insistere su una idea fanatica di santo del comunismo, non si può mentire
parlando di un periodo crudele e di sofferenze. Il concetto di castigo non
poteva essere applicato semplicemente perché non esisteva nessuna idea di
castigo. Quello che poteva spaventare psicologicamente era il sentirsi
sconfinato nella fine del mondo, lontano da tutto e tutti, un villaggio
sperduto tra Siberia e Mongolia. Questo poteva atterrare uno spirito debole. Ma
per il resto, era un paesetto accettabile e tranquillo. Molto, moltissimo meno
pericoloso di come saranno gli esili politici nella futura epoca della sua
futura Unione Sovietica. Ed infatti Volodia scriverà alla sua famiglia:
"... Sushenshcoie non è affatto male. Ha un buon clima, non è
caro. Vado a caccia di pernici e di anatre... mi sento bene e sono persino
ingrassato un po'... con il sole e la vita all'aperto di qui, sono diventato
bello scuretto e sembro un contadinotto siberiano. Non si ha idea del bene che
fa andare a caccia e camminare per la campagna...!
Nel suo secondo anno, 1898, il nostro Vladimir (Volova)
Ilich si sposerà. Con Pope e con la parafernalia possibile a Sushenshcoie. Si
sposerà con Nadia, con la Krùskaya.
La Krùpskaya, la attivista rivoluzionaria che si era
innamorata come una borghesuccia del bel Volodia e lo salutava da lontano con
la manina vezzosa, ad un certo momento era caduta nelle grinfie della Polizia.
La prendono e la condannano a tre anni di confino in Siberia. Anche lei. Allora
si arma di coraggio e chiede all'inumano giudice zarista se fosse
possibile scontare la pena a Sushenshcoie dove c'è in confino il suo
fidanzato. Il giudice la guarda, ci pensa e le dice che secondo la legge
puritana dell'epoca lui può autorizzare questa specie di congiungimento
familiare. Però solamente se Nadia si trasforma in moglie. Essere fidanzata non
basta.
Sono sicuro che questo rese Nadia doppiamente felice.
Riconoscente, forse si trattennedi abbracciare quell'implacabile giudice
zarista. Dichiarandosi pertanto fidanzata aspirante sposa per ragioni
amministrative, la felice Nadia, accompagnata dalla mamma, partirà e arriverà a
Sushenshcoie. Anche lei, mammina d'oro, sacrificandosi a sopportare un viaggio
cosi disastroso per la felicità di sua figlia. E per sistemarla finalmente con
un marito, aspirazione di tutte le mamme. E nel paesello dove Volodia andava a
caccia di pernici, i due, Nadia e Vladimiro, si sposarono. Con Pope e barba,
secondo il rito religioso ortodosso, l'unico possibile e legalmente valido in
Russia. E vissero felici e contenti...per un po`.
E la Apollinaria? Sembra che veramente mai più si rivide
con Lenin. E nel 1905, nell'epoca del fallito conato di rivoluzione mentre
Lenin era in Svizzera, la bella Apollinaria Yacubova decise di lasciare
completamente la politica.
65/ NADEZHDA
KRÙPSKAYA (NADYA)
Perché Lenin si sposò con Nadia? Era un po' bruttina,
poverella. Una sorella di Lenin una volta disse di lei che si vestiva come se
lo facesse la sua peggiore nemica. Aveva gli occhi sporgenti. Magra come
un'acciuga. Non aveva nulla di attraente come invece la bella Apollinaria o
come sarà la sensualissima Inessa Armand che apparirà più tardi, croce e
delizia per l'innamorato però ascetico e spietato Lenin, come una volta lo
definì la Balabanoba.
Nadia proveniva da una famiglia nobile, decaduta, di San
Pietroburgo. Suo padre, ufficiale dello Zar, aveva partecipato alla repressione
della insurrezione polacca. Ma Nadia era anti-zarista. In quei tempi era
di moda esserlo tra i giovani e con gran scandalo e paura dei poveri genitori.
Dava lezioni notturne in una scuola per operai. E nella scuola si fece amica di
Apollinaria. Ai suoi 22 anni lesse e si innamorò del marxismo. Ai 25 conobbe e
si innamorò di Lenin. E saranno il suo credo ed il suo idolo per tutta la sua
vita.
Come fu che Lenin si sposò con lei? Innamorato non lo fu
mai. Gli capitò sotto mano una buona moglie che non gli avrebbe dato problemi.
E la accettò. Certamente apprezzava la sua dedicazione alla causa. E anche a
lui stesso, egoisticamente, dobbiamo ammetterlo. Così che poco a poco questa
giovane intelligente e bruttarella, si venne trasformando in compagna,
camerata, amante anche se tiepidina, donna di casa, cuoca, sposa. Anche se a
Lenin in realtà piaceva la Apollinaria, Nadia era la compagna camerata;
con lei conversava e sarà sposa fedele. Certo che Lenin le voleva bene, era
affezionato a lei. Ma essere innamorato è un'altra cosa. Lenin era un uomo di
ferro, in certa maniera un Kamikaze. Disposto a sacrificarsi per la causa come
i Kamikaze si sacrificheranno per il Tenno, l'Imperatore Giapponese figlio del
Cielo. O come altri kamikaze più avanti nel tempo si sacrificheranno in
suicidi-delitti atroci per raggiungere il paradiso di Allah. E Lenin senz'altro
temeva che l'amore vero a una donna, l'amore di quelli che ti fanno tremare le
gambe, lo indebolirebbe nella sua lotta e doveri rivoluzionari. E molto
spesso può accadere. Sapeva benissimo che l'amore distrae da altre cose e
sapeva che poteva succedergli. Era un lusso che non doveva e non poteva
permettersi. Per questo approverà, cerebralmente, l'amore libero socialista, perché
in quel caso l'amore si sviliva di categoria e perdeva la sua pericolosità
sociale. Lui sapeva che l'amore può essere fonte di felicità estrema ma anche
di seri problemi sconvolgenti. E fu così in effetti , più in avanti nella vita.
Si impose rinunciare al vero amore, completo e travolgente, per una donna. In
un certa occasione ebbe modo di affermare che era meglio sopprimere certe
condiscendenze per la musica, perché indeboliva il cuore. E fu solamente in
Europa, durante il suo esilio di lunghi 17 anni, che si permetterà
accondiscendere a quella Serenata al chiaro di luna di Beethoven che
Inessa, la sua Inessa, il suo amore vero e tragico, suonava al
piano, per lui, solamente per lui. Pero questo era a Parigi. La Parigi dei suoi
tempi e del Café du Lyon. E Parigi e Capri e Europa non erano il confino in
Siberia, ma il suo esilio volontario aspettando tempi migliori e tessendo e
cospirando. Confabulava e dava istruzioni e si vedeva quasi sempre di nascosto
con personaggi chiave per accelerare l'arrivo dei tempi promessi. Riceveva di
tanto in tanto anche le visite, occulte, di un certo Koba, giovane
coraggioso georgiano, il cui nome vero non riesco ricordare... che gli portava
cospicui fondi dalla Russia ottenuti con inconfessabili mezzi. Doveva pur mangiare
il povero Lenin, anche se spesso era l'invitato d' onore di Massimo Gorki, già
famosissimo e innamorato del Mediterraneo. Così che la magia di Parigi e di
Capri ( l'antica isola delle Sirene...) ottennero, come le magie di Circe, che
si permettesse certe parentesi voluttuose che poi la iconomania cercherà di
eliminare per mantenere pura l'immagine ascetica dell'Icono.
E Nadia era appunto quel tipo di donna che Lenin,
razionalmente, aveva sempre preferito come sposa. Gli sopportava tutto,
poveretta. Tutto e tutti quei momenti di debolezza che gli si dettero quasi
involontariamente; e che, davvero in buona fede, lui cercherà di correggere
razionalmente.
Ritorniamo adesso al secondo anno di confino in Siberia.
Nadia, accompagnata da sua mamma e con il suo corredino da sposa, gli
si presentò lì, vicino al lago Baikal, nelle cui gelide acque
aveva temperato il suo corpo il giovane Temucin, più tardi Gengis Kan, il più
grande conquistatore di tutti i tempi.
Lenin, altro conquistatore che
inconsciamente aveva conquistato
il cuore di Nadia, la accetta.
Certo che la accetta.
La riceve. Magari
glielo aveva chiesto lui stesso. Questo non si sa. Nemmeno si sa se poi la
dolce suocera tornerà al suo Pietroburgo. Quello che sappiamo è che la coppia
Ilich-Nadia vivranno tranquilli in quell'oasi che fu per loro il confino
Siberiano. Dovremmo dedurre che la suocera se ne era tornata casa sua. Nadia
lo aiuterà nelle traduzioni, a scrivere articoli politici ed economici,
quelli che da Pietroburgo l' editore marxista pagava a botta dei bei 100 rubli
ciascuno. Si prepareranno anche per i futuri libri in gestazione. E le autorità
Zariste, sempre implacabili, daranno loro un permesso di vari giorni per
andarsene tranquillamente come qualsiasi cittadino libero a Kranojark, da un
dentista. Li trattavano bene, insomma. Con considerazione, con un certo
rispetto. Non certamente a calci in faccia. Nel paesetto di Shushénskoie, di
impossibile pronuncia per i non russi, c’erano altri due confinati politici. Un
professionista polacco e un operaio russo. Si faranno buona compagnia e Lenin
giocherà a scacchi con loro. Si diceva che Lenin fosse bravissimo nel gioco
scienza. Nadia e Ilich andranno al mercatino e torneranno carichi di pacchetti
e pacchettini. Te lo immagini il grande Lenin, il grande futuro idolo, con i
pacchi dell'automarket? Da qualche parte compreranno anche dei bei pattini per
ghiaccio, naturalmente. Chissà non erano coppie per le Olimpiadi e Nadia già un
po cicciottella certamente non era Sonja Heine, pero si difendevano e si
divertivano. Tutti i russi sanno sciare bene e pattinare benissimo. E giocare a
scacchi vicino a un samovar. A principio dell'anno seguente, nel 1899, Nadia e
Ilich andranno a fare una specie di turismo in un altro villaggetto, Minusinsk,
per andare a visitare un'altra coppia di "prigionieri" in confino,
come loro. E lì se la passeranno giocando agli scacchi e pattinando sul
ghiaccio. E continueranno a scrivere e a tradurre.
Totale, il periodo siberiano fu come un bel ricostituente
per Lenin. Molto utile per gli esercizi fisici e l'attività politico
intellettuale che, con gli scritti, dava anche le sue buone entratine, mai di
troppo.
Lenin aveva fatto l'Università. Aveva studiato e si era
laureato. Ma come deportato non aveva diritto ad esercitare la professione di
avvocato. Un bel giorno però nulla gli impedì di dare un buon
consiglio, una assistenza amichevole, a un povero contadino-operaio che stava
cercando di fare valere non so che diritti alla miniera d'oro dove lavorava. Il
contadino vinse la causa, cosa inaudita. Si sparse la voce e una buona quantità
di contadinotti siberiani cominciarono a chiedere aiuto al... camerata
avvocato. Che ti succede? Che i contadinotti, più o meno assistiti,
cominciarono vincere cause su cause. Ed allora le autorità, anche se erano un
po' testone e ignorantelle, cominciarono a sospettare. Gatta ci cova! Sai cosa
ti fecero? Roba da matti. Per far valere la loro autorità e non ripetere la
brutta figura con i padroni della miniera , ti condannano il seguente contadino
che aveva presentato una bellissima difesa scritta. Era stata redatta troppo
bene. Non era roba sua. Gatta ci cova! E condannarono cosi, su due piedi, il
povero contadino e finì la pacchia per tutti. E terminò anche l'assistenza
dell'avvocato Vladimir Ilich Uliànov.
In altra occasione, in una lettera alla mamma di
Vladimir, Nadia le commentò che per il Carnevale erano arrivati a casa loro sei
amici, anche loro confinati dalla Autorità Zariste e che erano rimasti con loro
per tutte le feste tradizionali del carnevale russo. Se questi fatti riportati,
anche se con un certo odorino a pettegolezzo, servivano per tranquillizzare la
mamma di Vladimir, questo non si sa. Però se erano veri, come sembra lo
fossero, allora dovrebbero dimostrare che il tanto temuto esilio in Siberia non
era così inumano come si diceva.
Finalmente si avvicinerà la data della fine del confino.
Nadia commenterà che il suo Ilich si faceva sempre e sempre più nervoso.
Persino a volte in stato di eccitazione febbrile. Dormiva male. Quasi non
mangiava e cominciava a dimagrire velocemente. (Ecco la vera cura dimagrante:
mangiare meno).
Arriva il fatidico 10 febbraio del 1900. Nadia e Lenin
lasciano il villaggio dove avevano vissuto per tre anni in una certa santa
pace. Sicuro che Nadia lo considererà il miglior periodo del matrimonio con il
suo ragazzo del Volga.
Con il viaggio in fiume, carrette e trenini arrivarono
finalmente alla città di Ufa, l'originaria destinazione della Krùskaya dove lei
dovrà rimanere ancora qualche mese per completare il suo periodo di confino.
Ma Lenin non era Nadia. Lenin era un uomo. Nadia era una
donna. Le donne sanno amare veramente e quando amano, amano
incondizionatamente. Gli uomini amano con certe riserve. Lenin non aspettò che
sua moglie terminasse la sua condanna che ormai era di pochi mesi. Non
l'aspettò, come sicuramente avrebbe invece fatto Nadia se la situazione si
fosse invertita. Nadia-donna avrebbe aspettato mesi inchiodata al portone di
uscita dal carcere.
Ci chiediamo. Lenin non rimase perché non poteva ? Perché
gli era proibito rimanere in una città di relativa importanza come Ufa?
O Lenin non rimase perché sentiva la febbre della
rivoluzione e preferì lasciare sola la povera Nadia innamorata per finire il
suo periodo di castigo; e lui, l'uomo del Fato, continuare a seguire in suo
destino di predestinato, il grande richiamo della causa che esige tutti i
sacrifici? Si sentiva come Enea che dopo la parentesi con Didone la abbandona
disperata e segue il suo destino, anche lui il suo Fato?
66/ ELISABETH-INÈS STÉFANE D’HERBENVILLE
( INESSA ARMAND)
il
grande amore di Lenin
Salutata la fedele Nadia, sposa
lasciata sola nel suo confino a Ufa, Lenin, come l'eroe di Virgilio, andrà
verso il suo epico e ineluttabile destino; che non sarà fondare l'Impero di
Roma, ma l'Impero dell'Unione Sovietica; da Ufa se ne andò a Pietroburgo
e da lì all'esilio volontario, nel cuore d'Europa. Comincerà nel 1900 e durerà
17 anni questo suo vagabondare giù di lì, scrivendo, lavorando, cospirando,
passando anche fame, letteralmente, tessendo le sue trame politiche fino al suo
ritorno trionfale nel maggio del 1917, quando lo Zar avrà abdicato.
Durante questo lunghi anni non se
ne starà tranquillo in una zona determinata. Nel suo cosiddetto primo esilio lo
vedremo in Svizzera, a Zurigo e poi a Monaco.
La rivoluzione fallita del 1905,
quando le truppe dello Zar spareranno sulla folla dei manifestanti, lo coglierà
in Svizzera.
Torna immediatamente in Russia ma
per scappare velocemente un'altra volta in Svizzera, sfuggendo attraverso la
Finlandia.
Fu in questo periodo che cambierà
nome e si battezzerà come Lenin ( Lienin ), che significa Uomo
del Fiume Lena ( Liena). Chissà in onore al suo confino quasi
bucolico nel sud della Siberia, più o meno nella zona del fiume Lena ( Liena),
tra la Mongolia e la Siberia.
Dalla Svizzera arriverà a Parigi
e a Parigi lo raggiungerà la moglie Nadia, appena terminato il suo confino a
Ufa e scappata dalla Russia. Avranno un periodo di fame vera e dovranno per un
certo periodo dedicarsi solamente a guadagnare quel po' di denaro necessario
per vivere. Ma sempre, tutti e due, con gli occhi accesi dal sogno del destino
rivoluzionario.
E Nadia più accesi ancora quando guardava il
suo Volodia del quale era sempre innamoratissima.
Il nostro esiliato in due
occasioni fu a Capri, l'isola magica, ospite di Massimo Gorki. Quell'ormai
famoso Massimo Gorki al quale, bambino di 14 anni, lo spietato nonno disse che
lui, il nipote, orfano e figlio di suo figlio, non era un ciondolo da potere
appenderselo al collo; e lo sbatté fuori di casa e che se ne andasse a
guadagnare il pane in giro per il mondo. E se lo guadagnò il pane, scrivendo e
adesso se ne stava a Capri, aiutando Lenin senza un soldo. E Lenin stava con
lui, ufficialmente in vacanza, ma in realtà per tessere la sua rivoluzione.
Conobbe e si incontrò con personaggi importantissimi, sia della politica come
della finanza. Si vedrà con autorità del socialismo internazionale e un mucchio
di esiliati politici russi. Entrò anche in contatto con generali prussiani,
quelli che poi, per ordine del Kaiser, lo aiuteranno e faciliteranno economicamente,
a lui e compagni, con denaro e il famoso treno blindato per terminare al più
presto la guerra Russo Prussiana del 1914 ed alleggerire il fronte orientale a
favore del Kaiser. Lenin voleva la sua rivoluzione a qualsiasi costo.
I due periodi di Capri di Lenin
saranno sempre una gran preoccupazione per le future autorità sovietiche che
tratteranno di occultare il più possibile l'argomento dell’Isola per mantenere
l'Icona Immacolata. Si adultereranno fotografie, come già detto, dove si vedeva
il futuro Zar Rosso, con elegante bombetta in testa, seduto placidamente a
giocare a scacchi a Capri, nella bella e soleggiata isola delle sirene di
Ulisse e poi di Tiberio. Anche si diceva -- e le autorità
sovietiche smentirono sempre -- che nell'Isoletta si davano incontri segreti
con un certo Koba ex seminarista per rendere conto di alcune espropriazioni. Ma
anche di questo si è già accennato.
Però la cosa più interessante dal
punto di vista solamente umano, è che l'ex-Avvocato Vladimir Ilich Uliánov,
auto soprannominato Lenin, uomo intransigente con gli altri ma soprattutto con
se stesso, puritano, ascetico quasi alla Savonarola, con la determinata e
ossessiva volontà di ottenere il suo ideale politico, che voleva allontanare
dagli altri e da sé stesso le seduzioni pericolose di una vita borghese, con lo
sgurdo allucinato rivolto al sogno del gran destino fatale... si
innamorò.
Sì...Si innamorò e si innamorò
veramente.
E questo amore, naturalmente
corrisposto, lo fu per una donna che quando amava sapeva amare contro tutto e
tutti, fregandosene altamente di tutte le convenzioni.
E questo amore lo rese felice ed
umano.
E quest'amore, felice e tragico,
fu una delle tre occasioni, senza dubbio la più intensa, nella quale si seppe
che il gran Lenin, l'intransigente Lenin, aveva pianto.
Mi anticipo un po’.
Fu molti anni dopo, durante il
funerale di quella sua amata, morta molto precocemente. Lenin strinse con
forza, chissà in cerca di appoggio e comprensione, la mano di sua moglie, le
fedele Nadia, che era con lui, al suo lato e che anche lei aveva i lacrimoni:
per lei stessa, per il suo Ilich e per la amante di suo marito e che era anche
amica cara sua! Sembra incredibile, ma fu proprio così.
Chi era quella donna?
Era Elisabeth-Inès Stéfane
d’Herbenville, Inessa Armand, come sarà conosciuta in futuro. Nata a
Parigi, figlia di un francese e di una inglese, tutti e due gente di teatro. Il
papà era morto quando lei aveva solamente cinque anni e per qualche motivo la
bambina fu mandata a vivere da una zia che risiedeva a Mosca. E a Mosca crebbe,
nell'ambiente dell'alta borghesia di Mosca. Cresce. E molto giovane e
molto bella, si sposa con il figlio di un ricco industriale moscovita, un certo
Alessandro Armand. Durante i dieci anni che durò il matrimonio ebbe cinque
figli. Sembra che uno dei figli lo abbia avuto da suo cognato.
E qui c'è da fare una
considerazione speciale e subito.
Questo fatto non si può
considerare un pettegolezzo. Al conoscere questa persona, Inessa,
conoscerla negli episodi della sua vita, considerando anche che si tratta
di una donna, si nota subito e più rimarcato appunto per essere donna, che ci
troviamo di fronte a qualcosa di speciale, di fuori del comune, di una persona
innanzi tutto con un carattere molto energico e deciso. Naturalmente
intelligente ed assolutamente anticonformista. Ma con un
anticonformismo vero, non una patina vezzosa di chi vuol apparire quello che
non è. Lei era di una originalità straordinaria e spontanea. Assolutamente
spontanea, in lei. Assolutamente indipendente. Assolutamente senza paura di
niente. Ad un certo momento si interessò per suo cognato?
Sono fatti miei, sarebbe stata la
riposta spontanea e sincera. Non si sentiva obbligata assolutamente a nulla.
Solo a quello che sentiva giusto, secondo lei e che la interessava. E a quello
si dedicava con passione e fedeltà. Colta, leggeva e aveva letto molto, parlava
perfettamente varie lingue per un certo dono speciale della natura che
favorisce alcuni privilegiati, senza alcuna ragione sopeciale. Il
francese, l’inglese e il russo, ovviamente, che erano per lei tutti e tre
una lingua materna in una specie di trinità di valori. Ed a questi aggiunse il
tedesco e chissà cosa in più. Da giovanissima si era permeata anche lei dei
nuovi ideali socialista-anarchici di moda in Europa e in Russia. Ma non fu un
hobby passeggero, per poi finire a lavar pannolini e preparare la tavola da
pranzo. Lei credette sinceramente e profondamente in quegli ideali che fece
immediatamente suoi. Massimo progressismo, troppo progressista, si direbbe poi.
Ideali per i quali lottò sempre, agendo con decisione e pericolosamente durante
tutta la sua breve vita, soffrendo carcere ed esili.
Certo che era speciale. Ed il
fatto familiare più impattante per persone normali e che rivelano
l'atteggiamento molto sui generis di un personaggio -- anche
in altri campi che non fosse lo strettamente familiare -- fu che questa
giovane donna, ai suoi trent'anni, dopo dieci di matrimonio e cinque figli, non
so per quali motivi, improvvisamente decise di cambiare vita. Non si sentiva
viva nei panni della mamma e sposa e conseguente donna di casa. Piantò tutto!
Piantò baracca e burattini...lasciò il marito e i cinque figli! Ed entrò
decisamente come un vortice nel Partito Social-democratico-ruso.
Naturalmente il Partito era illegale e si rischiava la Siberia. E dai e
dai, infatti la pizzicarono e te la schiaffarono in prigione e dalla prigione
poi in Siberia! Ma Inessa non era una donna qualsiasi. Non si sa come fece, ma
scappò dalla Siberia, azione peggiore che attraversare il deserto di Mosè. Ma
lei fece più in fretta. Attraversò il deserto di ghiacci e rocambolescamente
arrivò a Parigi.
A Parigi conobbe e si incontrò
con i bolscevichi e dopo non so quanto tempo volle conoscere Lenin. Lo
incontrò, lo vide che stava tranquillamente bevendo il suo tè nel Café du Lyon
in compagnia di altri confabulandi. Non chiese di essere presentata. Si diresse
decisa al suo tavolo, incurante degli altri. Ricordiamo che eravamo nel 1920.
Si presentò da sola. E a Parigi, per lo meno nel gruppo dei fuoriusciti russi,
tutti sapevano chi era la rivoluzionaria francese.
Tra parentesi bellissima donna,
viso interessantissimo, per lo meno nelle fotografie; la qual cosa è un
dettaglio della personalità, è vero; ma che spesso nella donna è un dettaglio
di particolare valore. Non é difficile immaginare la "rivoluzione"
che deve aver prodotto la sua presenza in mezzo a quei rivoluzionari
russi barbuti e appassionati. Conclusione, Inessa e Lenin si videro.
Simpatizzarono al momento. Lenin si rese conto subito del potenziale della
persona. Ma non solamente del potenziale politico.
Qualcuno racconterà, poi, con
comprensione delle debolezze umane, che Lenin con i suoi occhietti da
mongolo, se la passava ammirando la sua francesina.
Tutti e due erano sposati,
regolarissimamente sposati. A lei non interessava affatto nessun documento di
divorzio. E non si era divorziata. Formalismo inutile, borghese. Non
necessario, probabilmente lo considerava cosi. Lenin era sposato e viveva
tranquillamente insieme a Nadia. Forse non altrettanto tranquillamente per lei,
d'ora in avanti. E questo pregiudizio borghese del matrimonio o della sua
dissoluzione non produceva, teoricamente, nessuno scandalo né interesse
speciale in un ambiente politico fautore della libertà sessuale, del’amore
libero socialista. Questi erano i tempi. Cosi si cominciava a ragionare
nell'Europa a inizio secolo XX. Por lo meno in teoria, gli studenti e gli
intellettuali. Incidentalmente è da segnalare che Inessa scriverà, tra breve,
una specie di saggio sull'amore libero socialista.
Lenin era un po’ più
complicatino. Chissà per un rimasuglio di puritanesimo ereditato da suo padre, Lenin
refutò, almeno parzialmente, la tesi.
Però non refutò affatto la refutante
al matrimonio, la camerata Inessa. Saranno amanti. E la
paziente, comprensiva Nadia, che nel frattempo stava dolcemente ingrassando,
ebbe la conseguente tipica depressione e incluso pensava lasciare liberi i due
effervescenti nuovi amanti e ritirarsi discretamente. Ma Lenin si oppose.
Lenin le voleva bene e la voleva vicino a sè. Insomma, alla fine si dette un
fantomatico ménage à trois e Nadia poco a poco accetterà la
situazione. Forse un po' riluttante al principio, ma poi arriverà essere
amica di Inessa.
Anzi, le due furono veramente
amiche tra di loro.
Contenti loro, contenti tutti.
La bella Inessa avrà vari
incarichi politici importanti, di peso. Non per essere la amante di Lenin, non
certamente per favoritismi o nepotismi, ma perché era una persona veramente
molto abile, decisa.
Arriverà a essere Segretaria di
un Comité pour les bolcheviques di tutta Europa. Un po' più
avanti organizzerà una Conferenza Internazionale delle donne socialiste contro
la guerra. Lenin la mandò in Russia, in incognito, nel 1912. Era una
missione pericolosa, per la elezione della Duma. Fu arrestata, la misero in
prigione, la tennero un anno, la lasciarono libera. Lei scapperà ancora dalla
Russia. E tutto sempre illegalmente, come è doveroso fare per un rivoluzionario
che si rispetti. Quando tornò a Parigi andrà a vivere molto vicino alla casa
dei Lenin. E poco dopo addirittura nella stessa casa. Se nella stessa stanza,
non si sa. Qualcuno dice di si. Però. francamente, questi sono dettagli.
Sinceramente credo che questi siano dettagli. Quando si parla o si tratta di
persone eccezionali, le norme normali non sono più valide.
Sono le stesse persone
eccezionali che si fanno le loro norme.
Le norme normali sono
per uomini normali che normalmente seguono le norme fatte da uomini
eccezionali.
Passa il tempo. Viene la guerra
14-18. E sia Inessa come Lenin si delusero terribilmente per gli atteggiamenti
niente affatto internazionalisti di quasi tutti i partiti socialisti europei
che chiacchieravano tanto però all'ora di decidere nei loro parlamenti sulle
disponibilità per la guerra, voteranno tutti con fervore patriottico borghese
per l'intervento in guerra. Viva l` Italia! … Vive la
France!…Deutschland über alles !…grideranno i popoli addomesticati.
E fu allora quando Inessa,
decisa internazionalista, si unì con Lenin per chiedere alle truppe
alleate, alle truppe di tutte le nazioni coinvolte, a tutti i proletari
d'Europa mascherati da militari, che con i fucili dovevano puntare ai loro
ufficiali per cominciare la vera rivoluzione socialista internazionale. E non
puntarli invece contro altri fratelli proletari come loro solo perchè avevano
una bandiera differente.
Ma questo era un punto di
molto difficile assimilazione nel 1914, dove l'internazionalismo, la
globalizzazione erano solamente illazioni di menti giovanili prodotti con
l'acne; o dei soliti teorici adulti sognatori professionisti. Ma non erano
sentiti dalla popolazione normale. Quella popolazione che si commuove veramente
al veder sventolare la propria bandiera. E con l'ancora importante sacerdote,
cattolico o protestante, che se non suonava il tamburo con le truppe orgogliose
poco ci mancava e dava le sue bendedizioni ai vessilli spiegati. Dio lo
vuole...
E questo lo capirono bene anche
Mussolini e Hitler. Lasciarono i giovanili sogni socialisti universali e
si buttarono a sfruttare i sentimenti socialisti nazionali: il fascismo,
nome inventato per ricollegarsi ai littori di Roma; il nazional-socialismo
o nazzismo che a parte la razza, monomania sempre presente nei germanici, si
caratterizza per voler distruggere una minoranza di apparente facile
bersaglio. E ognuno dei due interpretò il loro socialismo nazionale
a modo suo, come in fondo successe anche al socialismo nazionale di Lenin,
fautore del socialismo solamente in Russia, chiudendo le frontiere.
Torniamo alla solita bomba. Viene
il 1 di marzo del 1917. Tutto precipita in Russia. Cade il regime Zarista. Si
formerà un governo borghese appoggiato dai Soviet di San Pietroburgo. Lo Zar
Nicola II abdica. E in maggio arriva Lenin, dando termine (quasi) al suo
esilio. Sarà ricevuto come un eroe.
Arriverà nel treno blindato,
offerto dai prussiani. Lenin voleva pagare di tasca sua il biglietto. Ma in
tasca sua c'erano marchi. Nel treno viaggerà Lenin, Inessa, Nadia ed altri
importanti fuoriusciti politici. Come già accennato prima, l'aiuto prussiano ai
rivoluzionari sovietici era dovuto tutt'altro che a simpatia politiche ma a un
impegno preciso da parte di Lenin che se fossero arrivati al potere avrebbero
immediatamente firmato la pace Russia-Germania e ceduto certi territori. Così
sarebbe terminata la pressione nel fronte Orientale per il Kaiser che avrebbe
potuto disporre di tutte le sue forze contro gli alleati-nemici. I prussiani
finanziarono la rivoluzione di Lenin. I tedeschi si servirono di Lenin per i
loro scopi; pero comunque poi persero la loro guerra e gli Hohenzollern
sparirono. Invece Lenin si servi dei tedeschi, di nascosto,
apparentemente, chissà, come traditore, ma ai suoi scopi e vinse la sua
guerra. Forse, chissà, senza quei moltissimi marchisoldi ed aiuti... forse la
Storia sarebbe andata un po' diversamente.
Ma fu come fu. E quando
tra poco Lenin arriverà al potere, firmerà i patti di pace separati con la
Germania, cedendo alcuni territori. Patti che daranno a Lenin il titolo
di "sottomesso"da parte di tante persone compresa Inessa.
La mente cospirativa e
privilegiata di Lenin, politicamente e machiavellicamente contorta per
necessità, non era stata capita. Ben per lui. Né capita né scoperta, la qual
cosa avrebbe potuto portare problemini di coscienza. Lui voleva la Rivoluzione e lo Stato Socialista. Era il suo sogno. La sua fissazione.
A tutti i costi. E i costi furono dolorosi, ma Lenin ottenne il suo scopo. Fare
il caos e dal caos rifare l'ordine giusto. Il suo.
Ma riprendiamo anche noi per
ordine.
Quando Lenin era ormai arrivato
col "suo" trenino in Russia, ma prima che arrivasse al potere, si era
giá formato in Russia il Governo Kerenski,
certamente anti-zarista, socialista moderato ma che riteneva necessario
continuare con la guerra contro gli Imperi Centrali. Lenin lo apostrofò di
guerrafondaio, che voleva continuare quella guerra capitalista che il popolo
russo non poteva più soffrire. Lenin capiva benissimo la realtà del momento. E
offrì pace e pane. In fondo le stesse promesse elettorali di oggigiorno. Pane e
pace. Panem et circenses. Le promesse di sempre. É il motivetto che
tanto faceva e sempre fa presa sulle folle credule che sperano nei miracoli.
Pero Kerenski, mise fuori legge immediatamente i bolscevichi. Riuscì a mettere
in carcere Trotzky e Satlin, ma la lepre Lenin gli scappò dalle dita. Era
fuggito in Finlandia, abilmente mascherato a conduttore di treno, senza barba e
con una bella parrucca. Nessuno lo riconobbe.
Ritornò dopo tre mesi.
E il 7 ottobre ci sarà il famoso
e storico assalto al Palazzo d'Inverno dello Zar. E Lenin finalmente darà il
primo importantissimo passo per coronare il suo sogno: sarà Capo del Governo.
E, come detto prima, firmerà la pace con la Germania. La pace necessaria per
cominciare a costruire finalmente il suo stato socialista. E si rimboccò le
maniche: adesso a lavorare
Ci saranno attentati alla sua
vita. Comincerà la controrivoluzione dei Bianchi, finanziati da Francia e
Inghilterra, in contrapposizione ai Rossi, l'esercito di operai e contadini
comandati da Trotzky e finanziati dalla Germania. I rossi vinceranno e si
comincerà a formare la famosa Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (
C.C.C.P = U.R.S.S.). E succederanno tante cose, come la creazione della Cheka,
i Gulag, i grandi cambi in una società semi-feudale. Molti di questi cambi
furono elogiati, molti odiati. Lenin sará amato e odiato, come del resto tutti
gli uomini eccezionali, Cesare, Napoleone, Hitler...
Ma con appena sei scarsi anni al
potere, si avvicinerà la fine per Lenin. Nel 21 già stava molto male. Nel 1922
Stalin sarà eletto Segretario Generale. È di questa epoca il famoso testamento
di Lenin, dove rivelava i suoi dubbi su Stalin. Il 21 di gennaio del 1924 il
grande Lenin, il poderoso Lenin, il fondatore dell'Unione Sovietica, in
condizioni terribili di malattia, morirà. Nadia era al suo capezzale, sempre
fedele.
E Nadia commenterà poi che
pochi momenti prima del mortal sopiro , il suo Voldia
aveva girato la testa verso il muro e aveva pianto:
Avrò fatto bene? si chiedeva.
E pianse, con la testa girata
alla parete, perché nessuno, perché nemmeno sua moglie Nadia lo vedesse
piangere, chissà dubbioso. Chissà...
E comincerà subito la lotta per
il potere tra Stalin e Trotzki.
Torniamo un po' indietro, adesso.
Mi pare ch stiamo giocando all'avanti e indrè.
Torniamo a Parigi.
Cosa era successo con
Inessa Armand?
Torniamo al 1917.
Quando si vide che gli
avvenimenti stavano precipitando, poco prima di salire sul controvertito treno
blindato che porterebbe in Russia la élite bolscevica in Russia, il grande
Lenin era con la testa che gli scoppiava per sentirsi ormai molto vicino al
momento decisivo della sua vita, atteso e costruito da anni. Era sinceramente
socialista, lo abbiamo detto e ridetto. Sentiva fortissimo quel certo richiamo
della storia che noi uomini normali non sentiremo mai. Era Marxista certo,
credeva assolutamente in tutto quello che diceva sulla società senza classi del
futuro mondo socialista. Ma era una realtà razionale. Ossia credeva in questo,
ma con la mente e con il cervello. Ma il cuore? Emotivamente era di mentalità
borghese. Era un borghese, dopo tutto. Sapeva di essere soggetto ad abitudini
tipici della sua epoca di borghese. Era emozionato con le notizie politiche ma
era anche innamorato di Inessa. La amava veramente. Ma, cosa gli stava
succedendo? E Inessa? Cosa doveva fare?
E come un borghese
qualsiasi, ebbe paura di Inessa. Del suo amore travolgente con Inessa Armand.
Del loro amore reciproco. Bellissimo in quel contorno di favola come Capri o
Parigi. Ma in Russia? Poteva permetterselo ancora? Si trattava di un amore
peccaminoso, adulterino e per una donna capacissima e bellissima e che non
rispettava assolutamente la morale vittoriana della epoca.
Il povero Vladimir Ilich ebbe
paura di Inessa.
Ebbe il timore di non sapere di
non essere borghese.
Non ebbe coraggio, Lenin. Non
seppe come difendere a oltranza il loro amore. E tradì sè stesso e tradì
Inessa.
Si sentiva un giuda al negarla.
Ed ebbe vergogna.
Povero Lenin. Era un mucchio di
contraddizioni con sé stesso. Un uomo a cavallo due mentalità. L'amore
socialista o la morale vittoriana?
Decise faticosamente sacrificare
il suo amore. Il loro amore. E sacrificò la sua vita. La loro stessa
vita.
Poco prima di prendere il famoso
treno blindato tedesco, aveva scritto a Inessa che voleva che lei gli
restituisse tutte le lettere che le aveva scritto in quegli
anni di amore e di cospirazioni. Voleva dare esempio di feroce integrità e
temeva che quelle lettere, momenti di debolezza borghese, cadessero in mano dei
suoi nemici politici. Era meglio cancellarle, bruciarle, come se non fossero
mai esistite.
Lenin era seduto al Café du Lion.
Gli si avvicinò Inessa, la donna che tanto aveva amato e che tanto amava. La
guardò. Rimase pietrificato. Al vedersela così, di fronte, non seppe dirle
nulla. Non si sa quello che lesse negli occhi di lei, quegli occhi bellissimi
che lo avevano guardato con tanto amore.
Delusione? Disprezzo? O
semplicemente tanto dolore? Non disse nulla. Solamente sentì una frase:
Eccoti le tue lettere. Sono
tutte. Non ne manca nessuna. Qui le hai tutte...E gliele
tirò sul tavolo
Momenti di tremendo silenzio e
poi gli sibilò:
Sei un vigliacco...
E l'uomo, il grande uomo politico
che dava discorsi e discorsi, rimase muto.
E salirono sul treno blindato,
mancia del Kaiser.
Nella nuova Russia, nonostante la
tremenda delusione amorosa, Inessa continuerà con la sua attività politica.
Arrivó a posizioni molto importanti nel governo di Lenin. Fu membro esecutivo
del Soviet di Mosca. Dette discorsi sulla necessità di liberare le donne dalla
loro schiavitù domestica che impediva loro di fare qualsiasi altra cosa, in
evidente ricordo della sua dolorosa esperienza personale. Integrò una missione
per l'intercambio di prigionieri di guerra. Appoggiò la legislazione
sull'aborto. Combatté la prostituzione. Impose, come le fu possibile, un tipo
di protezione tipo maternità ed infanzia. Diresse la prima conferenza di donne
comuniste. Era una donna molto anticipata ai suoi tempi, come se quello che lei
voleva e faceva fosse una normalità. Anticipata anche ai cosiddetti tempi
ancicipati dell'Unione Sovietica. Prese contropiede anche Lenin.
Ma, arrivata ai suoi 46 anni,
dopo 26 in lotta politica, ancora giovane valida e bella, morì; probabilmente
di colera, improvvisamente.
Era stata un personaggio molto
importante nei primi tempi dell'Unione Sovietica. E quando morì nell'ottobre
del 1920, come già detto, ci fu un funerale di Stato nella Piazza Rossa. I
soldati erano vestiti di gala portando il feretro a spalla. Il coro intonò una
canzone...una musica. Era quella che lei più amava, la sua prediletta. Lenin
era nella piazza Rossa, insieme a Nadia, rendendo gli onori. Lenin
conosceba bene quella sinfonia: la Serenata al chiaro di luna di
Beethoven.
Al sentire le note, Lenin si
paralizzò... Fu quando prese e strinse forte la mano della sua fedele Nadia.
E pianse.
Pianse stringendo la mano
di sua moglie. E Nadia sapeva che quelle lacrime non erano per lei.
Erano per la sua amica Inessa.
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