21 set 2014

6/8 italiano, STORIA ...SI ...MA... da CATERINA DI RUSSIA a INSESSA ARMAND

          61/            CATERINA II DI RUSSIA.

                            Regnò  dal 1762  al  1796


Caterina II di Russia, che in russo sarebbe Yekaterina Alexeyevna, in realtà si chiamava Sophie Friederike  Augusta e con un nome così anche se per combinazione nata in quella che allora era Polonia, non poteva non essere prussiana. Suo marito Karl Ulrich de Holstein, la regione della belle vacche da latte conosciute in tutto il mondo, anche lui era tedesco. Però invece di rimanere tra i muggiti nella sua nativa Holstein, quest'uomo che poi si mostrò insignificante e pericoloso, fu chiamato dal destino al trono Russo dove arrivò tenendo per mano la sua giovane sposa.
Come è possibile che una coppia di tedeschi, nobili ma quasi sconosciuti, arrivassero al trono di Russia? La risposta sta nei vari andare e venire dell'araldica europea dove i giovani rampolli si sposavano tra di loro ed alle volte si passavano certe caratteristiche ereditarie come l'emofilia, quasi responsabile della rivoluzione sovietica, o la fimosi del pene di Luigi XVI, quasi responsabile della Rivoluzione francese; o il labbro sporgente degli Asburgo, responsabile di simpatiche caricature.
Sophie era la figliola di un principe tedesco, principe, si, ma sconosciuto; e sua mamma anche lei tanto fece che riuscì farla sposare con con questo Karl Ulrich di Holstein, che al momento non aveva molto salvo le mucche pezzate, ma che era anche il figlio di Anna Petrovna, prima figlia di Pietro il grande di Russia. Quindi erede al trono di Russia.
Quando la prussiana Sofhie arrivò nei suoi venti anni in Russia con i suoi occhi azzurri, capelli d'oro e molti sogni nella capoccetta, dovette trasformarsi da luterana in russa ortodossa e cambiare nome; rimanendo un dubbio su come i vari sacerdoti delle varie sette Cristiane potessero accettare questo cambio di religione per motivi politici e non per convincimento intimo come si suppone ci dovrebbe essere stato. Comunque non volle essere da meno di suo marito che aveva cambiato il suo Karl Ulrich in Pietro. E lei cambiò il suo in Caterina, aggiungendo, per grazia, il titolo di Gran Duchessa.
A quei tempi lo Zar non era lo Zar ma una Zarina: Era Isabel-Elisabeth seconda figlia di Pietro il Grande ed era stata costei a volere in tempi anteriori una certa combutta dove entrava anche Federico II di Prussia; ossia volle che la moglie del futuro Zar, Karl Ulrich fosse questa ragazza prussiana bruttina ma sveglissima. La imperatrice Isabella aveva posto grandi speranze su Karl, figlio della amatissima sorella Anna Petrovna ma fu delusa  quando poi lo vide così brutto, debole, assolutamente non all'altezza del Trono. Ma ne era l'erede.
Questa figlia di Pietro il Grande, che governò per circa venti anni e che ebbe anche certi meriti, aveva però anche il desiderio di piaceri, di lussi e l'ambizione di rivaleggiare con la corte di Versailles, che stava di moda; e vuotò il tesoro di Stato.
Intanto la Gran Duchessa Caterina, nonostante i vari titoli roboanti e la designazione come futura moglie dello Zar, stava passando la bellezza dei suoi 18 tristissimi anni di vita coniugale, stufatissima di tutti e più di una volta umiliata e trattata male dall'inetto marito. Nella Corte la guardavano con certo sospetto ed il Karl-Pietro nonostante le metamorfosi del nome rimase quello che era, un povero infelice testardo, ubriacone, probabilmente impotente, neurotico. E bruttissimo.
Invece Caterina era sana, forte, non bella però con una enorme charme, colta, intelligentissima, energica.
Non poteva non succedere quello che successe. Quei tristi 18 anni di infelice matrimonio Caterina li sopravvisse anche grazie a tre amanti, per lo meno tre e che furono padri di altrettanti figli illegittimi, includendo Paolo, molto probabilmente, l' erede al trono e che sarà a suo tempo lo Zar Paolo I.
All'arrivare al 18º anno di matrimon di Caterina, finalmente la Zarina Elisabet-Isabella morì. E la corona della Santa Madre Russia passò, come previsto, al ex tedesco Karl Ulrik di Holstein, diventato Pietro III. Il quale nuovo Zar immediatamente formò un'alleanza con Federico II di Prussia e mai fece nessuno sforzo per dissimulare la sua ammirazione per la nativa Germania e il suo gran disprezzo per i russi e la loro cultura. Fece una quantità di stupidaggini.
Invece con  Sophie, da tempo Caterina, era successo tutto il contrario. Aveva imparato ad amare la Russia, la sua gente e molto sinceramente, non per convenienza politica. E questo il popolo lo percepisce. Era una persona di cultura, leggeva molto, si informava e cominciò ad essere molto bene considerata sia Mosca come a Pietroburgo, la Venezia del Nord come la si chiamò ad un certo momento. E benvoluta ed apprezzata dalla dalla Corte e dagli elementi più illuminati del Paese. Ma anche, importatissimo, aveva l'appoggio militare. In speciale il reggimento di stanza a San Pietroburgo era agli ordini del giovane e bello e coraggioso militare Gregory Orlov, garda caso amante di Caterina. Un bell'asso nella manica. E non ci fu nessun problema con un salutare colpo di Stato dove Caterina con tutti gli onori nella Cattedrale di Kazan fu proclamata   Imperatrice ed Autocrata di Tutte le Russie... sempre Santissime.
Al povero Pedro III, con una testa non a misura di una corona, non rimase altra possibilità che abdicare e lasciarsi tranquillamente assassinare poco dopo. Caterina non ne ordinò la morte ma nemmeno mosse un dito per evitarla.
E dal punto di vista politico e considerando poi i grandi meriti della Zarina, ne ebbe tutte le ragioni. Anche nel discutibile periodo della Unione Sovietica i suoi meriti furono sempre riconosciuti. 
E da allora cominciò il suo periodo di regnante che durò la bellezza di 34 anni, con il titolo di Caterina II, la Grande.
Già dagli inizi  Caterina cercò di fare della sua amata Russia una nazione forte e prospera. Sognò instaurare un periodo di ordine e giustizia.

Però il problema più pressante era l'economico. La figlia di Pietro il Grande con i suoi deliri di grandezza aveva lasciato praticamente vuote le casse dello Stato. Caterina le riempi ancora una volta... e a scapito di chi possedeva una terza parte di tutte le terre : la Cristianissima Chiesa Ortodossa Russa che, per raggiungere la tanto sbandierata virtù della moderazione, aveva intanto  ammassato ricchezze durate secoli. Caterina lasciò intatte le intoccabili barbe né si interessò alle litanie dei chierici, ma li trasformò in funzionari pagati dallo Stato. Bel colpo. E poi volse gli occhi attenti al problema della Polonia, piccolo stato bramato dai poderosi vicini.
Come lo risolse? Nel suo archivio di amanti ne scelse uno, un polacco, Stanislao Poniatowski, che sará  o era già  padre della sua figlia illegittima Anna e lo trasformò in Re di Polonia.
E con la Caterina  abbiamo un chiaro esempio di come i politici spesso auspicano e predicano belle verità umanitarie e di giustizia sociale quando sono ancora all'opposizione; ossia ancora senza potere politico e da giovani idealisti. Però quando arriva loro lo scettro del potere, si rendono conto che una cosa è dire le cose ed altra è farle veramente. Che una cosa sono le idee dei filosofi ed altre sono le realtà. Così che spesso cambiano di atteggiamento. E magari non per mala fede, ma perché si rendono conto che cambiare l'establishment è una riforma niente affatto facile né di veloce attuazione. Tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare, sentenzia un vecchio detto italiano. Caterina da giovane e in buona fede si era emozionata ed ammirava le idee liberali di pensatori francesi ed inglesi che stavano di moda nell'Europa intellettuale della sua epoca. Cosi che appena le fu possibile da Imperatrice  dette certe"Istruzioni Generali" per correggere le molte ingiustizie sociali in Russia: che tutti gli uomini dovevano essere uguali di fronte alla legge; che bisognava proteggere il popolo e non opprimerlo; che si doveva eliminare la pena di morte; eliminare la tortura nelle carceri; eliminare assolutamente la servitù della gleba.
La Commissione studiò e studiò e non concluse un bel niente. E sia la Commissione come  la stessa Imperatrice si resero conto delle enorme difficoltà al tradure le teorie in pratica.
Ogni nazione ed ogni stato, secondo la propria formazione ed abitudini, hanno bisogno della loro propria forma ottimale di governo. Credere di poter imporre la stessa forma di governo in Inghilterra come nel Congo o in Sicilia è un errore ed una stupidaggine. Inglesi congolesi e siciliani, anche se tutti sono uomini, è anche vero che lo sono con differenze ben determinate delle quali bisogna tener conto. L'economia della Russia era ancora basata in un 95% nella terra e nella servitù della gleba. I proprietari terrieri non potevano mai accettare felicemente la libertà dei loro servi. La ricchezza di un nobile non si misurava solamente sulla superficie e qualità delle terre, ma anche sul numero di "anime" che la coltivavano e ci vivevano con le loro famiglie.
E le belle illuminate Istruzioni di Caterina rimasero tanto poco illuminate che nessuno le vide mai. Non solo, perché frattanto la nostra Caterina col passar del tempo poco a poco stava cambiando di parere su molte cose; e col tempo si dedicò a costruire un sistema che lei stessa, da giovane, aveva qualificato  inumano. Imporrà la servitù della gleba in Ucraina, dove non era mai esistita. E cominciò a distribuire quelle che si chiameranno Terre della Corona tra i suoi amici, favoriti e ministri ed altre persone che per qualsiasi motivo voleva premiare. Cosi che al finale del suo regno i contadini stavano peggio di prima. E Caterina, donna intelligente, captava benissimo lei stessa il cambiamento tra la Caterina di prima e quella di poi.
Chissà... proprio per la frustrazione per non poter applicare quelle norme che ella stessa aveva tanto decantato, Caterina si dedicò alla Turchia.

L'Impero Ottomano di Costantinopoli-Istanbul era da sempre il nemico tradizionale della Corona Russa. Il sogno dei Russi era arrivare al Mar Nero, antico Ponto Euxino, con acceso al Mar Egeo e finalmente al tanto desiderato Mediterraneo. La guerra di Turchia chissà offrì a Caterina una buona scusa per frenare un poco senza troppo patenti contraddizioni le sue anteriori idee liberali. Le scuse per la guerra furono un'epidemia e una rivolta dei Cosacchi.
L'epidemia produsse scontento a Mosca. Non si sa perché ma ogni volta che succede una catastrofe come un terremoto o una epidemia, la gente dà la colpa di questo al governo. Il che molte volte può essere vero nel senso della prevenzione; ma che ci può fare un povero diavolo di governante se improvvisamente comincia a piovere a dirotto ?
C'è un detto ironico italiano che si spiega da solo: Piove? Governo ladro! Sia come sia, si forma lo scontento... il mugugno direbbero i genovesi esperti in questo. Ed il governante deve ricorrere spesso ad azioni eccezionali per far fronte alla eccezionalità dell'emergenza e come prima cosa la disciplina. Cosa che a tutti secca.
E così successe con Caterina.
La seconda scusa fu una rivolta di Cosacchi per la quale si dovette ricorrere a misure drastiche. La questione ha del comico: un antico ufficiale dei Cosacchi del Don, di mente sognatrice come molti slavi, un bel giorno pretese di essere niente di meno che il defunto Zar Pietro III, ex Karl Holstein, ex marito di Caterina di Russia, tedesco di origine, morto in circostanze misteriose dopo la sua abdicazione al Trono a favore di sua moglie che sarà proclamata Imperatrice di Tutte le Russie. Lo Zar Pietro III, ex marito di Caterina enigmaticmente morto subito dopo la sua abdicazione, si era intanto trasformato nell`immagine popolare in una enigmatica figura di fantasma misterioso da apparizioni fantascientiche.

Cosi che i romantici ed ignoranti crudeli sognatori che erano i Cosacchi del Don, dai loro Monti Urali cominciarono a crescere, a spargersi, a seminar terrore e si apprestavano a un bella Marcia su Mosca. Per fortuna di Caterina la guerra di Turchia era finita proprio in quei giorni e lei potette mandare le sue truppe a domare e distruggere completamente la ribellione. Conseguenze? Morte e desolazione, ovviamente. Ma la ribellione fu schiacciata.
Ed anche in questo caso Caterina si rese conto che alle volte è meglio essere temuti ed agire con mano dura, senza remissione. Tutto questo era in contrasto, naturalmente, con gli antichi iniziali principi liberali dell'Imperatrice. Altra contraddizione tra le due Caterine, della qual cosa ne era consapevolissima.

Però con la guerra di Turchia non fu solamene la Russia a guadagnarsi la Crimea, per poter godere del clima molto più dolce di quella regione;  anche Caterina ottenne qualcosa di personale, molto personale: l'affetto, la stima, la considerazione, l' amore e la passione di Gregory Potemkin che sarà suo amante. Però non un amore passeggero, capriccetto sessuale come era solita avere ed avrà anche dopo. Ma uno molto speciale e chissà forse anche come taluni dissero, una specie di marito morganatico. Caterina non mischiava mai il picere con il suo lavoro serio di Imperatrice. Ma Potemkin fu l'eccezione. Era un uomo molto intelligente, abilissimo, diplomatico sperimentatissimo, gran sognatore anche lui e sinceramente affezionato a Caterina.
L'annessione di Crimea, per esempio, fu opera dell'audacia e visione di Potemkin. Ed ancora lui fu  gran direttore di scenografie: durante il famoso viaggio dell'Imperatrice Caterina  da Mosca fino in Crimea per prendere possesso delle nuove provincie, fu organizzato da Potemkin una scenografia   da Mille e una Notte. E lo fu al punto di fare costruire pareti di legno per simulare scene di vita allegra anche nelle zone più povere che attraversava la maestosa carovana imperiale con tutti i suoi regali ospiti. Perché in allegra e regale compagnia c'erano diplomatici e nobili di altissimo rango fino ad arrivare all'Imperatore d'Austria e il Re di Polonia che la accompagnavano in quella che poi si chiamò la Flotta di Cleopatra! Era culto della Personalità bello e buono e Caterina si stava trasformando in statua: il cancro dei grandi.

Però già durante gli ultimi anni di Carolina cominciavano a sentirsi in tutta Europa le canzoni di libertà della rivoluzione francese, che paradossalmente si diffonderanno in breve ad opera di un grande Imperatore autocratico. Anche lui, poi, con il cancro.

Nonostante le sue simpatie giovanili per l' Illuminismo, Caterina non poteva dimenticare che era come si era già definita da sè stessa una volta: Io sono un'aristocratica e questa è la mia professione. Così che quando lo scrittore Radishef pubblicò qualcosa criticando severamente gli abusi contro i servi della gleba, i funzionari dell'Imperatrice lo misero in prigione e lo condannarono a morte. Non si scherzava a quei tempi. E quel signore, per ironia della fortuna, nei suo scritti vagheggiava le stesse cose e cambiamenti di Caterina, 20 anni prima, quando aveva dettato le sue famose Istruzioni Generali. Chissà fu per questo chissà no, pero a Radishef arrivò il perdono imperiale da parte dell'Imperatrice, perdono che non era stato richiesto. E questo fu dovuto a una certa sensibilità speciale che definirei tipica femminile. L'Imperatrice lo esiliò perché doveva pur punirlo in qualche maniera, ma gli salvò la vita. Poco dopo questo anche in Polonia cominciarono agitazioni esigendo più libertà ed una costituzione. Ed Ucraina stava incamminandosi nella stessa direzione. Tutta l'Europa cosciente era in realtà in fermento. E così, per ordine della ex liberale Caterina, l' Orso Russo con una sola zampata annetté l'ovest di Ucraina.
Anche la Polonia non era tanto contenta con Koscuszko che poi sarà eroe nazionale.
Per risolvere una volta per tutte le varie agitazioni polacche, l' Imperatrice, come brava donna di casa, invitò a cena l' imperatore d'Austria - a quei tempi Maria Teresa - il kaiser di Prussia e il piatto con la Polonia fu tranquillamente diviso in tre, sparendo dal tavolo e dalle mappe d'Europa. Polonia non esisteva più. I tre amiconi avevano buon appetito.
Qual'è l'opinione dei posteri su Caterina? I Russi la adorano e con certo superficiale stupore la idolatravano anche i Sovietici.
Indubbiamente il sogno di abolire la servitù della gleba rimase un sogno e probabilmente la situazione di quei poveretti era peggiore al terminare il suo periodo di lungo regno.
Però è anche vero che ebbe i suoi gradi meriti. Ovvio che alcuni di questi meriti lo erano solamente dal punto di vista degli aumenti di territorio, con o senza ragione, secondo i tempi. All'arrembaggio, insomma. E così Caterina potè realizzare l'antico sogno dei Russi di prendere la tintarella in Crimea rinfrescandosi con angurie e vodka. Applausero i Russi dei sui tempi ed i Sovietici dopo, con le loro pacchiane vacanze estive di proletari comunisti, rumorosi e cafoni. Potè annettere anche parte di Polonia ed Ucraina, come già detto. Riorganizzò decine di Province Russe, costruì centinaia di città o cittadine, ampliò quasi tutte le vecchie città.
Oltre alle vittorie militari che allora erano foriere di innegabili elogi, la sua Corte era frequentata da personaggi importanti dell'epoca. Si scriveva e carteggiava con celebrità politiche e letterarie  come Voltaire e Diderot. Difendeva la letteratura ed ella stessa si dilettava a scrivere qualcosa. Fondò e finanziò parecchie riviste letterarie e costruì varie scuole.
Cosa si può pretendere di più da un Monarca del Settecento? La sua vita personale?
Va bene. Fu molto criticata. Ma perché era donna. Certamente non era una beghina ne' una timida. Sapeva quello che voleva. Era decisa. Non aveva nessuna intenzione di essere troppo schiava delle convenzioni. Gli altri si, magari. Ma non lei. Lei no. Lei era speciale ed era vero. È saputissimo che dopo l' affaire con Potemkin ebbe altre dozzine di amanti.
E ?...Che ti frega?
Non poteva ne' voleva perdere tempo. Le piacevano i bei ragazzi, giovani ufficiali. E a quale donna sana e valida non piacciono? A quale uomo non piacciono le belle ragazze? E tutti i Re e Ministroni baffuti di Europa,  non erano forse pieni di amanti e puttanelle?
Cosi che questa simpaticona di romantica aristocratica ed autocratica Imperatrice aveva una amica, dama di corte, incaricata di provare prima nel suo letto le capacità amatorie dei giovani ufficiali candidati al tête-à-tête con la sovrana;  e se li approvava e se dava il suo assenso, erano ammessi all'Alcova Imperiale.
Il merito o demerito di un capo di stato, Re, Ministro, o Presidente o che sia, dipenderà per caso al suo appetito sessuale?
E perché dovremmo ancora avere altri pesi ed altre misure per le damigelle? Quanto ci vuole perché si capisca veramente che siamo uguali e che se c'è una differenza va a tutto vantaggio del sesso cosiddetto debole?




















                62/        GIUSEPPE GARIBALDI


Chi non sa in Italia chi era Giuseppe Garibaldi? Lo abbiamo studiato tutti nelle scuole, lo abbiamo sempre visto giovane bello, biondo, occhi azzurri, spavaldo con la camicia rossa e i pantalon turchin. Tutti gli italiani vorrebbero essere un po' Garibaldi e un po' Berlusconi, anche se non lo dicono. Garibaldi per la simpatia eroica e Berlusconi per i suoi soldi e le belle donne dappertutto! Ma non lo diciamo... off limits.
Naturalmente anche io come tutti i ragazzetti ne sentii parlare nella scuola a suo tempo, a suo molto tempo fa, quando era di moda la camicia rossa ma anche la camicia nera. Noi italiani ci innamoriamo del colore della camicia e poi magari rimaniamo senza camicia.
Poi, più grandicello, 20 o trent'anni dopo, mi capitò sottomano il Giuseppe Garibaldi di Montanelli. Mi piacque tanto il suo libro, che lo lessi più di una volta, divertitissimo, soprattutto per le sue birichinate. Ed adesso, che scrivo di lui, non ricordo più se quello che scrivo lo  lessi da Montanelli o nel Libro Pontificale o chissà dove. In ogni modo, tutto quello che leggiamo o sappiamo e ricordiamo, lo abbiamo letto e studiato da qualcuno al quale abbiamo creduto e poi ridiciamo le sue cose fagocitate in noi credendo che siano farina del nostro sacco. E magari ce le ha raccontate la mamma o la nonna.
È un plagio se io racconto a miei nipotini le stesse favole che mi raccontava mia nonna?

Orbene, il Garibaldi nostro fu un personaggio affascinante. Ancora di più di Don Giovanni o Robin Hood, anche perché questi due non esistettero mai. Di lui, per motivi differenti si innamorarono uomini e donne del Vecchio e del Nuovo Mondo. Un carisma, una personalità tremenda, quasi inconscia e semplice e per questo ancor più affascinante.
Su di lui si è scritto moltissimo in tutte le lingue e non voglio ripetere cose e date che si possono trovare in qualsiasi libro romanzo o biblioteca. Ma di Garibaldi preferirei scrivere alla garibaldina e come sempre nel mio sistema di cercare e sottolineare le stravaganze, il comico, il divertente, l' irriverente del personaggio speciale che lui è sempre stato, senza assolutamente volere mancare di rispetto al grande uomo che era ma senza trasformarlo in statua da venerare come un santo con gli occhi rivolti chissà dove. Ma siamo matti?
Vediamo allora le sue birichinate, che non erano azioni ne' oneste ne' disoneste, ma semplicemente espressione di un carattere esuberante e generoso, un po' teatrale come tutti gli italiani e che in un certo senso voleva menar le mani contro chi, secondo lui, era doveroso e patriottico si menassero. E le menò. La qual cosa contribuì non poco alla indipendenza di due paesi tanto lontani tra di loro e tanto vicini, come l' Uruguay e l' Italia. Con alcune schiaffeggiate anche in terra di Francia tanto per far incazzare i ligi prussiani come Bismark.
Nacque a Nizza, nella bellissima Côte Azul di Francia, in un momento che Nizza era francese. Era Nice e non Nizza. Destino delle città di confine che cambiano nome secondo gli andirivieni delle guerre. Gli autentici, i locali, gli indigeni, non parleranno se non ufficialmente una lingua o l'altra ma sempre esisterà il loro dialetto, qualsiasi sia il colore della bandiera. Quindi Garibaldi parlava perfettamente italiano e francese ed il dialetto nizzardo; e lo spagnolo lo imparerà a parlare con il suo bell'accento ligure insieme alla passione nuova per il Mate, il Te misterioso degli Uruguaiani.
Era un esuberante giovane biondo rossiccio, con ingenui occhi chiari e un bella vice di tenore. Simpatico, generoso e sempre senza un soldo. Mai dette importanza ai soldi. E mai li ebbe. Però con il suo charme personale si comprò mezzo mondo. Specialmente il femminile, come guerrigliero romantico e formidabile. Cospirò contro il Re, contro il suo Regno di Sardegna e Piemonte. E fu proprio questa famiglia Savoia, mezzo piemontese e mezzo francese, che poco dopo cominciò a conquistare con guerre e plebisciti tutta la penisola, meno Roma, riservata ai Papi. E si coronarono Re d' Italia. Con la bandiera bianca rossa verde inventata da Napoleone. Contro questo Regno ancora in formazione cospirò Garibaldi da giovane repubblicano, mezzo anarchico e mangiapreti. Lo scoprirono e lo condannarono a morte. E da allora cominciò la sua vita rocambolesca.
Pero si salvò. Meglio detto:lo salvarono. Chi lo salvo? Una donna, la prima di una lunga serie di donne che furono dolce e alle volte furioso contorno della sua vita. Una donna del popolo di Genova, una fruttivendola, che approfittando l'assenza del marito che sicuramente si sarebbe apposto, si senti in dovere umanitario di nascondere il bel giovane in casa sua. In casa o nel letto, non si sa. Primo vantaggio di essere giovane e bello. Se poi il giovane focoso parlasse dei diritti dei popoli o altre cose, questo non è riportato. Solo che lo salvò.

E molti anni dopo, quando Garibaldi già tornato dall'America sarà un personaggio famoso, deputato in Italia ed anche in Francia, io son quel desso...rispose ad una lettera di una donna genovese che ricordava l'avventura lontana e si domandava se lui era proprio lui, il giovane che scappava e che lei aiutò. Io son quel desso. E fece che le fosse concessa una pensione per avere contribuito patriotticamente alla causa d' Italia. Chiusa la parentesi futurista.
Ed in quella occasione lontana, il giorno dopo, mascherato con i vestiti poveri del marito fruttivendolo e forse cornuto, con un ultimo bacio scappò dalla casa ospitale e fu ad abbracciare sua mamma, sicuro che non la avrebbe vista mai più. Ed invece la vedrà, felice, 15 anni dopo, di ritorno dalle sue avventure latino americane che lo avranno trasformato in personaggio di leggenda.
Lasciò Nice che intanto era ritornata Nizza italiana e si rifugiò in Francia, Marsiglia. E li vede, in una edicola, il suo ritratto nel giornale locale con condanna a morte per delinquente rivoluzionario. Aveva fame, va in un ristorantino lì vicino. Seduto al tavolo, viene riconosciuto per la foto ed avvicinato da certi giovani francesi con arie minacciose. Ma il pericoloso criminale parlava perfettamente francese, era un tipo simpatico. E poco dopo tutti i giovani cominciarono a cantare insieme canzoni francesi di libertà e gioventù. E che si fottano i vecchi ed i Re.
Però che il bellissimo eroico e crudo inno nazionale fosse  nato a Marsiglia, non esimette la città del contagio del terribile colera in quei giorni. Tutti terrorizzati. Ma il condannato a morte, senza paura e senza nessuna ricompensa, si offre volontario forse indossando le vesti lugubri della Buona Morte.  Ma ho letto anche un’altra versione di questi fatti. Molto meno eroica e niente romantica.  E non ci voglio credere.
Poco dopo, conobbe una vecchio marinaio che non era morto per il contagio e il nostro Garibaldi ottenne il comando di in Brigantino Turco. E poi sarà di un fregata a Tunisi. Gli andava bene. Era espertissimo marinaio.
Però anche qui lessi di un’altra versione ancora, che lo vuole Pirata a soldo di Pirati. Ed  a questa versione credo e non credo. Sulla  guerra dal 39 al 45, ho letto tante versioni differenti di episodi che personalmente ho vissuto, che adesso non mi fido quasi più di nesuno. Le gente ricorda quello che vuole e spesso in male fede.
Torniamo a Garibaldi.
Garibaldi era  anche uno spirito inquieto e voleva qualcosa di più che i brigantini turchi. Voleva andare in Nord America. Ma finalmente accettò di andarsene con un brigantino diretto a Rio de Janeiro. Non era America del Nord, era America del Sud ma era sempre America.
E cominciò la su avventura latinoamericana.
Arrivò a Rio de Janeiro che aveva 29 anni. Rimarrà in America, tra Brasile e Uruguay, per 12 anni.
E lì, in America, cominciò la sua leggenda, con azioni che avevano un poco di banditesco, pirateria, galanteria con le donne, di eroismo e di folklore da birbantello che irritavano enormemente personaggi seri, specie se politici o militari che vedevano in lui solamente un  pagliaccio ma pericolosissimo...perché piaceva! Bismarck lo odierà e la flemmatica Londra cadrà in estasi con una sua visita. Ma questo succederà molto più avanti.
Ecco qui alcuni raccontini per illustrare il personaggio.
In Brasile, assaltò e svaligiò tipo arrembaggio un nave carica di caffè. In Brasile non poteva essere che caffè. Fu un atto di pirateria. A Garibaldi, con la spada sguainata e urlando come un ossesso, mancava solamente tapparsi un occhio con la pezza nera, alla pirata dei Caraibi. Eppure, sì, era un atto di pirateria bella e buona ma contro i Braganza, la famiglia straniera che regnava in Brasile, ai tempi quando i ribelli e poi patrioti del Rio Grande stavano guerreggiavano inneggiando alla libertà ed indipendenza. E Garibaldi si sentì in dovere di partecipare, a rischio della vita, alla lotta dei patrioti contro gli odiati stranieri! Fuori lo straniero! era un grido di gioventù coraggiosa che lo entusiasmava.
Saltò all'arrembaggio, spada sguainata, sguardo di fuoco. Conquistata la nave ordinò ai marinai di andar via in scialuppe salvavita: loro non erano responsabili, erano figli del popolo. E liberò gli schiavi negri e si appropriò di tutta la mercanzia: l'odoroso caffè del Brasile. Il caffè lo vendette a terra a un commerciante furbetto che, dopo averlo ben stivato nella sua bottega, con la scusa dell'azione illegale non voleva più pagare la somma pattuita.
Capirai! Il trafficante non sapeva con chi stava mettendosi. La stessa notte, pistole in pugno, un furibondo Garibaldi apparso come un fantasma a tirarlo giù dal letto per i piedi, gli ingiunse secondo i canoni un bel O la borsa o la vita...

Se la fece addosso, il tipetto e pagò la differenza che mancava. Ne’ un soldo di più ne' uno meno.

In un'altra occasione, sempre in Brasile, scese a terra per cercare qualcosa da mangiare per i suoi marinai. Entrò in una Fazenda.
Nel portico della Casa, vide qualcuno dondolandosi in una bella amaca. Si avvicinò, sospettoso. E chi vide fu una bella donna giovane che stava leggendo un qualche libro. Si avvicinò, tranquillizzato e cortese. Chiese alla bella dama se poteva vendergli una vacca per i suoi marini affamati. La signora guardò l'uomo. Sicuramente Garibaldi, capelli biondi al vento, aveva nei suoi occhi azzurri quella involontaria tipica espressione che hanno gli uomini quando guardano una bella donna. La donna continuava a guardarlo. Ed in un italiano quasi perfetto gli disse di sì, però che bisognava aspettare il marito, che sarebbe tornato il giorno dopo. Non sappiamo cosa pensò Garibaldi, però il fatto è che per poter adempiere al suo dovere di procurar cibo ai suoi marinai, rimase tutta la notte ospite della bella italo-brasiliana.
Fu un scrificio? Facendo cosa? Garibaldi raccontò molti anni dopo, serissimo, a Dumas, che si misero a leggere insieme le poesie del Petrarca.

Con  un'altra occasione di coraggio sfegatato guadagnò l'ammirazione di Bento Gonçalves, massimo rappresentante della Repubblica di Rio Grande. In una laguna, la Laguna de Patos, sempre in Brasile, Garibaldi stava per di lì all'agguato con i suoi marinai tutto fare ed un paio di barconi, per prendere d'assalto i malcapitati velieri dei Braganza che passavano per di là. Dava l' assalto e poi si nascondeva tra i meandri della laguna. Brigante assaltatore o patriota eroico secondo i punti di vista. Le truppe reali del Brasile non lo stanavano mai. Ora si dà il caso che un bel giorno il nostro biondino era rimasto solo nel covo, solo con il cuoco, aspettando che tornassero i marinai andati per chissà quale missione, magari a donne...chissà corteggiandole, chissà violandole...chissà. Si usava molto anche in quei tempi. Come i Romani con le Sabine.  Come certe sette di fanatici oggidì nel bel paese delle Mille notti e una notte. 
 Ad un certo momento fecero apparizione gridando come matti un cinquantina di "soldati ufficiali" del Governo Reale del Brasile. Quel contingente era in realtà di mezzo soldati e mezzo pirati anche loro. Li comandava un certo Moringue: anche lui tre quarti di pirata e terrore della zona per tutti. Cosa fare? Erano solo due uomini a difendersi. Ma uno dei due era appunto il nostro Garibaldi. Il quale ordinò subito deciso allo spaventato cuoco panzone che doveva caricare fucili e fucili come se avesse il pepe in culo, gli gridò in dialetto di Nizza; ed il cuoco capi. Ed il nostro matto da legare cominciò a sparare come un indemoniato saltando come un grillo da una parte e dall'altra dell'accampamento. Insomma fece un casino della madonna con tutte quei fucili che gli caricava il cuoco, al punto che gli ufficiali "reali" si convinsero che la banda di Garibaldi fosse tutta lì, nel covo. E si ritirarono prudentemente per non avere problemi con dei quasi colleghi.
E fu una gran festa di allegria e risate quando i marinari tornarono dalla loro missione e si resero conto della giocata.
Che poi nella baraonda uno del marinai, anche lui euforico, abbia perso il buon cammino e sia sfumato con i soldi della cassa, questo è un piccolo dettaglio che non interessa alla Storia.  

In un altro momento, sempre in Brasile e chissà senza rendersene conto, imitò per la spettacolarità una azione degna di Annibale. Era il tempo che stava in agguato nella ormai diventata famosa Laguna de los Patos. Pero un bel giorno i Braganza, stufi di essere pirateggiati, si misero di traverso con navi o velieri che fossero e gli impedivano l'uscita al mare. Ossia lo volevano tenere inchiodato -- così credevano -- nella benedetta laguna aspettando che si trasformasse in tomba per il fuorilegge e la sua masnada.
Che fece Annibale? Trasformò i suoi marinai in falegnami, costruì due grandi specie di camion con 8 ruote di legno ciascuno, vi caricò sopra i due barconi che aveva per gli arrembaggi, chiese in prestito a dei locali cinquanta buoi e con una marcia forzata per terra di cento chilometri, raggiunse il suo mare e la libertà! Era un'azione impensabile, un lampo di genio di arte militare. Bento Gonçalves, strabiliato e felicissimo, premiò Garibaldi con 900 vacche. E dal Brasile il nostro eroe se le portò camminando fino a Montevideo.
Se le portò? A Montevideo arrivò senza un soldo e senza vacche, perché i capataz brasiliani se le andavano piluccando strada facendo. Per amor di Patria, naturalmente.

Ed in Montevideo, al suo dovuto tempo, si trasformerà in Generale. Ed oggigiorno la città lo ricorda con una bellissima statua, vicino al porto, vicino al suo mare. Che poi non è mare ma fiume. Ma sono quisquilie. No importa. E sempre acqua navigabile. E c'è una strada bella grande e lunga, un boulevard Josè Garibaldi. Ed inoltre un Museo che ricorda le sue gesta.

In altro momento ricevette l'ordine di salvare la Patria Uruguaia. Non ricordo quale generale uruguaiano, forse Rivera, gli aveva dato l' ordine di trovare cavalli, una buona quantità di cavalli, per rifocillare la decimata cavalleria uruguaiana. E con qualunque mezzo. Garibaldi parte in tromba. Si trasforma in ladro di cavalli. A Gualaguaychù , lassù lontano, il cuatrero-abigeo li trova, li vede, li prende. Di ritorno passa per Colonia do Sacramento: così si chiamava allora perché era ancora portoghese. Costì autorizza i suoi affamati garibaldini a rifocillarsi nel refettorio di un bel Monastero. Le monachelle funzionavano come spaventate cameriere ed il prete, più spaventato ancora, come cuoco. Qualcuno poi disse che per un certo rispetto i garibaldini si tolsero la camicia rossa e si vestirono da preti. Non ci furono proteste.
Altri, invece, dissero che si sentivamo le urla di ragazze correndo seminude per le stradine di Colonia per fuggire dalle brame dei garibaldini. Chissà.
Comunque, dopo nove mesi i sacerdoti ebbero il loro da fare con vari battesimi.

E la sua fama crebbe ancora per varie battagli vinte miracolosamente nella zona di San Antonio.
Un buon giorno lui era quasi solo con solamente 700 dei suoi folklorici garibaldini. Dico quasi solo per il paragone con il nemico, in questo caso l' argentino Generale Urquiza, che aveva ai suoi ordini la bellezza di 7000 soldati. Proporzione di uno a dieci. Dieci volte superiori. Il generale argentino aveva apostrofato i garibaldini come briganti e cuore di gallina. Bene. Le camicie rosse, punte nel vivo dell'orgoglio machista e guidati da un Garibaldi ossesso, si armarono di santo ed incosciente coraggio e fecero retrocedere i 7000 soldatini argentini. Come abbiano fatto non si sa. Ma da allora fu chiamato l' eroe di San Antonio.

Poco dopo tocca a un'altra brigata argentina aumentargli l'aureola di miracoloso e imprevedibile furbo fortunato. Fu contro il Generale Medina. Garibaldi nemmeno sapeva quanti uomini avesse costui. Però con l'intuizione diabolica e l'innocente e incosciente coraggio dell'eroe, lo attaccò. Così, senza sapere contro quanti combatteva. Lo seppe poco dopo. Erano molti di più dei suoi. Sapeva bene che il nemico e le donne bisogna prenderli di sorpresa. Ed inventare sempre. Cosi che si fermò in un quadrato feroce difensivo. Il sole stava volgendo al tramonto. Sapeva che l' arte militare consigliava il ritiro delle truppe durante la notte. Finse un riposo per le truppe. Gli unici a russare stanchetti furono gli argentini ossequiosi alle norme e sicuri della superiorità numerica. Ma i garibaldini, in punta di piedi, scarpe in mano ( quelli che le avevano) passarono sigillosi e trattenendo le risate tra i dormiglioni. La mattina dopo, cerca di qua e cerca di la, il Generale Medina burlato sbattè via rabbioso quelle catenelle con le quali già assaporava il suo ritorno da eroe con il bandito incatenato al suo carro di vincitore.

Invece fu Montevideo a sapere dei suoi successi "garibaldini".  Lo ricevettero entusiasti a bracia aperte. Gli uomini. E le donne, bene, in verità, cosa aprirono non si sa. Però il governo uruguayano, contagiato d'entusiasmo, in decisione fulminante colse  l' occasione per promuoverlo  subito da Colonnello a Generale.
Che fece Garibaldi? Ringraziò commosso e disse di no. Tipo strano, vero?

Con il tempo riceverà una bellissima spada d'oro.
Regalo od Onorificenza Uruguaiana?
No. La fama delle sue gesta si era sparsa in Europa e in Italia. Forse anche un pò ingigantite dall’Oceano. Ma  la spada era il regalo di patrioti italiani, ancora sotto bandiere straniere, che lo imploravano perché venisse a combattere per l'indipendenza completa della sua Patria. E quella spada lucente d'oro era la unica decorazione nella sua povera casetta a Montevideo.
In una occasione una commissione di uruguaiani erano andati a visitarlo, di notte, in quella stessa casetta. La sua stanza era al buio. L'eroe di Sant'Antonio non aveva neanche i soldi per comprarsi un candela. Sarà stato vero?
Ma vero o non vero da qualche parte devo averlo letto. Non me lo sono inventato.
Ma ho letto anche il contrario.


Verso la fine del 1948 lasciò America e Montevideo. Tornò in Italia. Con Anita, la sua bella procace brasiliana e fedelissima donna e poi moglie. Gelosissima sempre. Credo che lo precedette. E con un cane. E con un servo negro e tre sacchi di mate, il Te dell'Uruguay. E naturalmente qualche marmocchio.

L'arrivo a Genova fu apoteosico, a dir poco. O a Nizza. Ma è lo stesso.
Specie per gli italiani del popolo e i giovani intellettuali. Gli aristocratici, le persone di alta classe sociale non dissimulavano i loro forti dubbi, come del resto anche poco dopo lo stesso Cavour, il vero cervello dell'unificazione italiana. Cosi come Garibaldi ne fu il cuore.
C'era una certa antipatia, chissà anche invidia, per un popolano, ex mozzo di marinaio, senza studi ordinati ma parecchie letture raffazzonate alla bene e meglio. Che in gioventù aveva fatto anche il pirata con i pirati turchi. E che consideravano alla stregua di un capo tribù sudamericano, un cacique, come più o meno si considererà più tardi un Pancho Villa, eroe, bandito, pirata e macho. Si, maledettamente simpatico e un carisma eccezionale.
Un uomo che poteva anche essere utile ma anche pericoloso, da trattarsi con grandi abbracci ma anche con i guanti, del quale eventualmente servirsi provvisoriamente finché la folla lo adorava, ma da liberarsi di lui e delle sue smargiassate appena possibile.

Cosa fece in Italia?
Anche qui, roba da matti. Cose incredibili.
Combattè contro il Papa per conquistare Roma e trasformarla in Capitale d'Italia e non soggetta agli Stati Pontifici. E riuscì per breve tempo, con Mazzini, a costituire una delle tante effimeri Repubbliche Romane. O Roma o Morte!.
Il Papa, Pio IX,  Mastai Ferretti, scappò a Gaeta, ancora sotto i Borbonici, travestito da monaco in un carrozza prestata da una nobile romana. Ed in quell'occasione fu che Garibaldi apostrofò il Mastai Ferretti come "quel metro cubico di merda". Un po' forte ma così disse. Chissà se i montevideani, quando assaporano il loro dolce che chiamano pio nono, lo riallacciano alla camparazione garibaldina.  Poco dopo, pero, fu il momento del triste evento quando il sogno della Repubblica Romana sfumò e Garibaldi dovette fuggire da Roma inseguito alla bellezza di 4 eserciti. Riusci a sfumarsi. Ma nel viaggio, disastroso rocambolesco e faticosissimo, la sua Anita si ammalò e lo lasciò per sempre. Morì tra le sue braccia. 


Ma ancora prima, molto tempo prima, quasi appena arrivato dall'America con ancora i quattro cuattro sacchi del Te mate Uruguayano; in quei tempi, insomma, aveva combattuto in un' azione incredibile. Ed il fatto lo lanciò a fama internazionale. 
Finalmente in Italia, combatté  praticamente solo con i suoi leggendari  raffazzonati 1000 garibaldini, partendo di nascosto da Genova (Quarto) contro l' Impero Spagnolo, niente di meno. L'impresa infiammò italiani, siciliani, il mondo intero, romantici ed intellettuali dappertutto. Ed in una sola corta epica guerra liberò Sicilia e Napoli e tutto il sud Italia da secoli di dominazione straniera. Dominazione straniera che anche se ebbe, come realmente fu, dei bellissimi lunghi momenti di arte e di cultura, è anche vero che lasciò in tutto il sud Italia una terribile situazione di miseria, fanatismi, banditismi, religiosismi superstiziosi, mafie.  Ed il tutto molto peggio di come, paragonando, stavano le altre regioni d'Italia del Nord. Anche l'Italia del Nord era stata ed era preda di dominazioni straniere. Ma lassù, invece, nel Nord, le riduzione o mancanze di libertà erano parzialmente compensate dalle magnifiche amministrazioni dell'Impero Austriaco.
C'è un certo paragone che si può fare  tra nord e sud d'Italia con Nord e Sud America. Forse è un po' fuori tema ma lo dico lo stesso.
I bianchi  anglo sassoni protestanti  ( i W.A.S.P.) andarono in Nord America per sfuggire a persecuzioni, formarsi oltre oceano una nuova patria e si portarono dietro le loro famiglie, padri, madri, moglie e figli, le loro abitudini e credenze religiose. Ed anche  le loro manie di tante sette religiose, più o meno fantasiose. E si trapiantarono in terre americane. Volevano migliorare la loro situazione economica e non ebbero mai la intenzione di mischiarsi con i pellirossa. Ne' cercarono di fare proselitismo della loro religione a soggetti che consideravano inferiori.
Gli Spagnoli invece andarono in America anche loro per migliorarsi economicamente, far fortuna, ma non con la mentalità del colono che dice Adesso questa è la nostra nuova terra patria. Cominciamo a seminare il grano. Ringraziamo Dio. Gli spagnoli andarono quasi sempre da conquistatori per vedere cosa c'era da portar via. Non per fermarsi. Non per colonizzare. La famiglia la lasciavano in Spagna; ed in America per sollazzarsi prendevano le indio-americane e formarono con o senza famiglia un popolo di bastardi. E lì si formerà la vera nuova razza americana: il negro, il bianco europeo e l'amerindio.
Le tre culture, come dicono in Messico. Il Creolo è un'altra cosa. Il creolo, il criollo è il figlio di bianco europeo nato in terra di India.

Nel sud America ci sarà il fanatismo prepotente della chiesa cattolica apostolica romana, la religione di stato della madre patria.
Nel nord America ci sarà lo stesso fanatismo religioso, forse ancora più accentuato perché preso un po' più sul serio, prodotto dai fanatismi calvinisti ed altri propaggini del Protestantesimo in generale.

Ma ritorniamo al nostro Garibaldi e alle conseguenze per la liberazione del Sud con la sua impresa dei Mille che fu, come detto, un formidabile evento storico.
Garibaldi aveva vinto. Aveva stravinto. Garibaldi entusiasmava. Parlava il semplice linguaggio della gente, del popolo e produceva gelosie anche nelle alti classi militari. Stravinse anche in certe elezioni e lo mandarono al Prlamento, dove si presentò con il suo famoso caratteristico mantello latinoamericano e suo bel berrettino rotondo da marinaio, che lo aveva sempre caratterizzato, con grande scandalo muto dei deputarti più formali, che chissà se lo aspettavano in cravattino. 
Certo che era istrionismo, ma in fondo era un istrionismo benevolo che non faceva male a nessuno. Solo faceva andare in bestia i suoi nemici.
E venne anche Teano, il famoso incontro di Teano. dove molti rimprovereranno a Garibaldi di essersi piegato alla casa Savoia. In realtà fu così, ma Garibaldi fece bene. I tempi non erano ancora per un repubblica ed il popolo ancor meno preparato per una democrazia; e  forse non lo è ancora neppure oggi. Però non fu solamente un cambio di Re, da un Borbone-spagnolo-napolitanizzato ad un Savoia -franco-piemontese che nel sud non lo capiva nessuno. Ma ebbe ragione, d' istinto, il nostro Garibaldi. Tra i Borboni e i Savoya erano questi ultimi la miglior opzione. O la meno peggio. Poi, sosteneva se non vanno bene li cambiamo quando si vuole.
Ma dopo l'avventura dei Mille, dopo l'Aspromonte, dopo Teano, dopo Roma e dopo la morte di Anita, si ritirò a Caprera. Alcuni dissero che era al confino. Chissà... Ai Savoia lui aveva consegnato metà Italia. Ed alla terra italiana la donna che aveva amato tutta la vita, sia pur nella maniera imperfetta che amano gli uomini.
I Savoia, con Vittorio Emanuele II, volevano regalargli non so cosa. Una buonuscita per toglierselo dalle palle?
Sapete cosa rispose questo bel tipo al Re d'Italia?
Io sono venuto dall'Uruguay per fare l'Italia. Non per ricevere una mancia.
Fu una risposta bellissima, lapidaria. Non era certo la risposta di un mozzo di nave. Poteva essere la risposta di un Re. Di un vero Re, come non ne esistevano più e come non esisteranno. L’ultimo sarà il Re Cristiano X di Danimarca, con la sua gialla croce di Davide che si mise ostentamente nel braccio, in solidarietà con i suoi ebrei Danesi.
Eppure, ancora un po' più tardi, certo non era più tanto giovanottello, andarono a cercarlo nella sua isoletta di Caprera dove coltivava patate e fiori. Cincinnato, mi sovviene. E gli offrirono il comando di certe truppe irregolari nella guerra contro gli austriaci. Fu l'unico generale italiano che vinse delle battaglie con i suoi Cacciatori delle Alpi trasformati in Alpini.
Andò a Londra che lo ricevette entusiasta. Sì, la flemmatica Londra l'accolse in visibilio, innamorati gli uomini e soprattutto le donne della sua figura di mezzo bandito, mezzo eroe, liberatore di popoli, simpaticissimo e seduttore. Gli offrirono la cittadinanza inglese, che gli inglesi non la offrono tanto facilmente e 5000 sterline. Accettò onorato una delle due. Cosa accettò? Disse no thank you alle 5000 sterline. Poi andò negli Stati Uniti. Anche lì gli offrirono la cittadinanza, però disse loro no thank you, chissà perché. Gli offrirono anche il comando di non so che  nella loro guerra civile  contro il sud. E disse di no. 
E venne la  guerra Franco Prussiana del 1870. Combatté contro i tedeschi. Non era più giovane, però ciò nonostante fu l'unico generale "francese" che non perse nemmeno una battaglia ed inoltre catturò la bandiera nemica del 61º Reggimento Prussiano di Pomerania. Prendere la bandiera al nemico e tenerla come trofeo di guerra era una tremenda azione eroica e di grandissimo effetto, a quei tempi.
Bismarck, il Grande Cancelliere di Ferro, divenne furibondo quando seppe di essere stato vinto da un bandolero, come lo chiamava lui, ed italiano, per giunta!
Giurò che lo avrebbe trascinato prigioniero incatenato per le strade di Berlino.
Bismarck era un gentiluomo e uomo di parola.
Ma quella parola non la potette mai mantenere.
Quando terminò la guerra Franco Prussiana, venne a sapere che era stato eletto anche nel Parlamento francese.
Alexandre Dumas e Victor Hugo ebbero una enorme ammirazione per lui. E non erano due personaggi da niente.
Senz'altro Garibaldi era un uomo che aveva avuto i suoi bei difetti e punti neri. Anzi, puntoni neri. Certamente ne ebbe come succede a tutti gli uomini. Ma non a tutti gli uomini succede di raggiungere anche i grandissimi meriti che ebbe lui. Succede, però solamene ai grandi.
Ed io mi fido più di Dumas y di Victor Hugo che di tanti storiuncoli che solo sanno fare le pippe ai canguri: cosi esplose una volta Garibaldi con un certo giornalista impertinente che lo visitava a Caprera.  

Vogliamo parlare delle donne di Garibaldi?
A parte le sue fans come si direbbe oggi, varie però occasionali, ebbe tre matrimoni.
La prima fu Anita che conobbe ancora dal Brasile, procace e voluttuosa, ai suoi tempi, sposata con un tipo da niente e quando conobbe l' Eroe fu naturalmente fulminata da Cupido. Questo vuole l'agiografia, sempre generosamente bugiardella quando si tratta di personaggi storici di tutti i tempi e luoghi. Si son dette varie cose di lei, anche della sorellina; vere o non vere, non importa. Fatto sta che si invaghì di Garibaldi e tanto fece che il Nizzardo pose gli occhi distratti su di lei e si soffermò su due particolari ben messi in mostra. Lui credette conquistarla invece fu lei che conquistò lui. Sovente occorre tra uomo e donna. E da allora lo seguì per tutta la vita. Abbandono del tetto coniugale comporta certe sanzioni secondo i luoghi. Ma quando si è alla presenza di un Eroe, allora tutto cambia. Come con Manuelita Saenz, sposata Thorne, ambedue ameranno profondamente il loro grande amore, il loro uomo, il loro Grande Uomo e lo seguiranno ovunque, energiche e fedelissime.   E cosi anche Anita lo seguirà dove lui voglia, in pace e in guerra. Sempre lo seguirà. Anche in battaglie, pistola in pugno. Anita ebbe figli con lui. Ed ottenne, finalmente dopo tanti anni, il sospirato matrimonio religioso che Garibaldi, massone, ateo e mangiapreti rifiutava sempre con tutte le sue forze. Però, ancora in America, finalmente cedette alla donna che anche lui amava veramente e profondamente. La amava come spesso amano gli uomini, che alle volte ci concediamo eccezioni e quasi mai per iniziativa maschile, ma per condiscendenza. Alla sua maniera, ma l'amava. Accondiscese al matrimonio ecclesiastico. E rimase un mistero come fu possibile che un prete cattolico li sposasse secondo il rito di Santa Romana Chiesa con il Sacramento del matrimonio, essendo lei adultera e lui un ateo.
E molti anni dopo, in un altro continente, in fuga dopo la infelice campagna Romana, come già detto, braccati da 4 eserciti, Anita morì sfinita tra le sue braccia.
Dopo questi fatti, a certa distanza di tempo. Garibaldi andò in America, in Perù. Voleva conoscere Manuelita Saenz. Era l'amore di tanti anni addietro di Simon Bolivar, il Liberatore, del quale si era parlato tanto in Europa. Simon Bolivar, che era un'altra figura mitica che, dopo aver liberato quasi tutta l'America del Sud, aver cercato di soddisfare il suo grande ego, dopo essersene deluso come sempre succede, morì povero, malato e solo in Colombia. 
Garibaldi voleva vederla, quella Manuelita che sapeva ancora viva in Perù e che tanto gli ricordava per le sue gesta e la sua capacità di amare la sua perduta Anita. La trovò. La incontrò. La vide. Parlò con lei. E un'enorme tristezza lo invase profondissimamente. Vide una donna vecchia, senza denti, che farfugliava e vendeva cioccolato nelle strade di Lima per sopravvivere. Solamente ancora e di tanto in tanto  qualche riflesso di lampo lontano negli occhi.  E Garibaldi pianse.

Poi arrivò un altro matrimonio, il secondo. 
Molto dopo la morte di Anita una giovane contessina italiana apparentemente si incapricciò di Garibaldi, uomo ormai famoso in tutto il mondo. Naturalmente gli anni passano e pesano anche ai tipi come Garibaldi. E chissà il nostro eroe non voleva ammetterlo. La vecchiaia che arriva spaventa tutti ai primi sintomi. E forse di più a chi era più forte. Perché da più alto si cade, più duole. E volle credere alla seduzione. Si entusiasmò con la giovane e bella aristocratica. Si ravvivava gli ormai sempre più scarsi capelli con atteggiamenti spesso patetici con l' inutilmente complice berrettino di marinaio. Ed accedette al matrimonio.
Alla uscita dalla chiesa, dopo la elegante cerimonia, Garibaldi si gongolava per l'emozione e gli auguri. Gli si avvicinò un vecchio amico e compagno d' armi:
Generale! Stia attento! La contessina sta aspettando un bambino!!
Garibaldi rimase allibito. Improvvisamente capì. E capì che era la verità.
Mi vogliono prendere per il culo... sibilò contenuto a sé stesso.
Ed un attimo dopo, furibondo, le gridò come un tuono:
Sei una puttana !!
E la lasciò piantata sui gradini della Chiesa, in mezzo a tutti i nobili ed illustri personaggi invitati al matrimonio.
Mai più la rivide. Mai più. E forse chissà si senti sollevato dallo scampato pericolo. Ed imparò. Sempre si impara.
Il suo terzo matrimonio fu con una donna del popolo, semplice, meno esigente, certamente. Gli fece buona compagnia e gli dette figli. Ed è molto probabile che fossero suoi. Anche lei voleva sposarsi in Chiesa. Questa mania delle donne che anche se dicono che non importa, in realtà vogliono sposarsi con il velo e il bel vestito bianco.
Però per la Chiesa il povero Garibaldi era già sposato con la Contessina ed il Tribunale Ecclesiastico volle negare l'annullamento sollecitato  per Ratum sed non consummatum. Chissà era ammettere la colpa della Contessina che probabilmente aveva le sue belle relazioni di noblesse oblige con alto locati funzionari della Chiesa.
Allora Garibaldi si diresse al suo grande amico ed ammiratore Victor Hugo pregandolo di intervenire acciocché la Francia gli concedesse la cittadinanza francese.
Quando questo si seppe in Italia ci fu un enorme  scompiglio generale!
Come è possibile che Garibaldi, il nostro Garibaldi, Padre della Patria, Unificatore d' Italia, stimatissimo anche dal Re Vittorio Emanuele II, l' Eroe dei due Mondi, come è possibile che si debba trasformare in cittadino francese?L'annullamento del matrimonio richiesto venne immediatamente. 
E l'agricoltore Garibaldi ( cosi detta l'Atto di Matrimonio: l' Agricoltore Garibaldi! ) poté finalmente tranquillizzare la sua compagna facendola sposa ed ottenne anche tranquillità per sé stesso.

E continuò la leggenda. Garibaldi e il termine garibaldino passarono ad indicare un modo d'agire, mezzo romantico, birbantello, impulsivo, alla garibaldina insomma, ma sempre con un sorriso e tono di simpatia.
Tutte le città d'Italia hanno una strada Garibaldi o una piazza Garibaldi con la sua bella statua equestre o a piedi, busto od erma che sia. Può darsi che manchi il nome di qualche Imperatore Romano o no, ma Garibaldi è dovunque. Direi quasi in tutto il mondo. Anche nel lontano Messico c'è una bellissima piazza Garibaldi dove i mariachos, con i loro cappelloni giganteschi e il loro tequila cantano allegri aspettando le mance dei turisti, per essere ancora più allegri.
Ad un certo momento viene da chiedersi: Sarà vero tutto quanto si disse e scrisse su Garibaldi?
Certo, per gli italiani e molti non italiani Garibaldi è un eroe e un mito. Padre della Patia e tutto questo.
Ma per altri, ricordiamolo, fu solamente un pirata, corsaro, con masnade di ladri, assaltatori e violatori, ignorante, il Mercenario dei due mondi, dissero anche , ladro di cavalli al quale vennero mozzate le orecchie in sudamerica, burattino della Massoneria, trasformato in Eroe per convenienza.

Probabilmente fu un poco di tutti e due, specie ai suoi  inizi e nella folklorica America del Sud.



    



   63/                               LENIN
                       
                      il suo ambiente e le sue donne

 INTRODUZIONE.

Scrivere su Lenin non è niente facile, perché significa scrivere su quell'evento eccezionale che è stata la Rivoluzione Sovietica.
Uno di quei cardini che, con la Rivoluzione Industriale, la Rivoluzione Francese, con la Rivoluzione del Rinascimento e del Luteranesimo, con il 1492, con il Risveglio Carolingio,  con la caduta di Roma ed avvento del Cristianesimo e con il primo morso alla mela della conoscenza, sono stati fin'ora i principali pilastri modificatori del nostro adattarci e vivere nel nostro Universo. Universo di misteriose origini, di misteriosa imprescrutabile fine, dove le nostre vite, delle quali siamo tanto orgogliosi, universalmene parlando non contano nulla.  
Ed io non ho la preparazione né ho la capacità e neppure tanta voglia di mettermi ora in questo argomento affascinante ed amplissimo. Perché caso mai avrei dovuto cominciare a farlo nella mia ormai lontanissima gioventù. Ora, agli 86 anni, è troppo tardi. Non ne avrei più il tempo. 
Però è anche vero che nella ormai lontanissima gioventù, non ne avevo la esperienza di vita.
 Quando si sa non si può' e quando si può', non si sa come.
Cha fare? Me lo chiedo anch'io, allora, caro Lenin.

 Penso quindi limitarmi per approfittare del poco o molto che mi ha dato la vita, la mia vita. Una lunghezza comparativamente notevole ed una certa esperienza per aver vissuto in varie attività e in paesi differenti. Sballottato in adolescenza negli eventi turbinosi e molto parzialmente capiti della guerra dal 39 al 45,  sì, effettivmente potrei dire che da allora in poi ho acquisito una certa esperienza, generalmente superiore alla maggioranza di miei congeneri.
E questo è il mio patrimonio, adesso, cui attingere. Le cose si vedono da un punto di vista differente, quando l'esperienza modera gli entusiasmi. E guarda caso, si osserva anche con una certa bonomia, per la conoscenza che in fondo niente ha l'importanza che credevano avesse.
E mi rivolgo alle cose più semplici, marginali e più umane. Forse, tutto sommato, anche le più divertenti.

Diamo uno sguardo rapido alla Russia di quei tempi, di fine XIX ed inizio del XX secolo. Nella Santa Madre Russia, come la si chiamava, il comandante in capo con poteri assoluti era lo Zar Alessandro III Romanoff. Osco ed autocratico aveva annullato le timide concessioni di suo padre. Ma costui, l'osco autocrate, morì improvvisamente, prima dei suoi 50 anni e forse per tutti gli accidenti che gli mandavano. La Corona passò, secondi i canoni, al figlio Nicola II. Era un bravo ragazzo e sarà sempre un brav'uomo, in fondo, magnifico sposo e padre, ma non aveva assolutamente nessuna voglia ne' forse la capacità per essere un Capo di Stato. Disse una volta, non ricordo a chi, forse a un suo parente: Non sono preparato per essere veramente uno Zar. E mai ho voluto esserlo. Non so nulla di governo, non ho la minima idea di come parlare ai ministri.
Povero ragazzo. Voleva essere un uomo in grigio, tranquillo, con la su famiglia, fare le sue otto ore di lavoro, sbaciucchiare la moglie e giocherellare coi ragazzini. Invece lo ribaltarono a Capo di uno stato enorme, in tempi dei peggiori fermenti politici del suo secolo. Le occupazioni di Stato non lo attiravano sicuramente. Una volta scrisse, credo nel suo diario: Con Alix, con mia moglie, sono felice. Che peccato che le cose di governo mi occupino così tanto. Vorrei stare sempre con lei, tutto il giorno. Era un bellissima dichiarazione d'amore. Ma un capo di Stato non può essere cosi. Un vero Capo di Stato deve occuparsi della sua nazione. E poi, eventualmente, in secondo piano, delle altre cose, comprese le familiari.
Al avere più o meno captato il tipo del personaggio, la vera sua tranquilla personalità, semplice, se vogliamo e di piccolo borghese, aumentò la mia considerazione verso di lui. Ed in un certo senso anche un certa inevitabile pena per aver fatto una vita e quella tragica fine che non si meritava come persona. Come uomo privato, naturalmente. Non come lo statista che avrebbe dovuto essere e come non fu perché non poteva esserlo. Ed il punto qui è molto più complesso e non lo affrontiamo.
Però, dobbiamo anche ammettere che non era affatto un uomo stupido ed ebbe un paio di lampeggi sorprendentemente apprezzabili. Per esempio: quando ricevette, in pompa magna, la corona di Zar e Basileus de la Chiesa Russa, venne al suolo con gran fracasso una costruzione fatta provvisoria per i festeggiamenti. Era gremita di persone semplici ed acclamanti. Morirono circa 1500 persone. Una bella strage. Il giovane monarca si emozionò enormemente per queste tante morti, impreviste, di gente innocente. Una catastrofe. E subito, per impulso, volle assolutamente sospendere tutti i festeggiamenti. Non se la sentiva di seguitare in allegria, con quelle scene di morti e desolazioni ed urla di terrore e lamenti negli occhi e nelle orecchie. Volle ma non potette.
Quelli della Corte, tutti; ed i suoi consiglieri, anche tutti, si opposero fermamente:
Maestà, dopo tutto si tratta di poco più che servi della gleba...
Ed il giovane sovrano fu costretto a seguire i loro consigli, quasi ordini. Però esigette per lo meno una forte compensazione economica alle famiglie degli affettati.
Un'altra decisione che prese il giovane Zar e niente affatto gradita alle Corti di Mosca e Pietroburgo, fu la sua decisione, questa volta irrevocabile ed irrevocata, di andare a vivere con sua moglie e figli in un piccolo Palazzo nella periferia di San Pietroburgo, in ambiente molto più sobrio e lontano dalle mondanità delle Corti.
Però queste furono reazioni più personali che pubbliche.
Perchè  dove ebbe veramente lampi di visione da statista fu appena dopo il suo secondo anno di Regno. Si diresse alla Comunità Internazionale ( correggo: ai paesi più importanti d'Europa e del Mondo, secondo le tradizioni) proponendo il disarmo e la pace mondiale; facendo enfasi  sulle conseguenze morali ed economiche della corsa agli armamenti. Sceglierà l'Aia, in Olanda, per la prima conferenza e poter arrivare dopo alla Prima Convenzione Internazionale dell'Aia.   Naturalmente coloro che ricevettero molto freddamente l'invito furono le due Potenze Imperialiste della epoca: Inghilterra e Germania, che non avevano la minima intenzione di disarmarsi.   Così che la proposta del disarmo mondiale proposto dallo Zar fu respinta. Però fu almeno possibile prevedere certe norme che prima non esistevano neppure. Anche se non furono mai applicate completamente, sempre furono di una qualche utilità. Per esempio non maltrattare i civili nei paesi conquistati, non distruggere costruzioni civili, non usare i tanti temuti gas, dare un certo tratto umano ai prigionieri di guerra e, altra  importantissima decisione, la facoltà di ricorrere eventualmente al Tribunale Internazionale dell'Aia per intermediare e decidere su questioni di vario genere tra stati sovrani, perché non si sbranassero tra di loro.
E fu realmente qualcosa di paradossale che una proposta cosi " moderna ed innovativa" venisse proprio dal monarca più autocratico di quei tempi. Da quel povero Monarca, povero principe e pover'uomo, forse il più autentico dei gentlemen, che poi si trasformò tragicamente in vittima di quei momenti di forti contraddizioni. Certa somiglianza con Massimiliano d'Austria in Messico. Evidentemente Nicola II come uomo comune era un semplice, in buon fede e non seppe difendersi.
 E Lenin sapeva tutto questo. Lenin era di molta intuizione ed intelligentissimo. Aveva capito il dramma inevitabile dello Zar.   Seppe, a cose fatte e a suo dovuto tempo, che la famiglia intera dello Zar era stata trucidata barbaramente dai Soviet degli Urali, le ossa sparse, alcune sparite nel nulla con l'acido muriatico, infilzati con baionette i membri della famiglia rimasti ancor con un fil di vita dopo la fucilazione collettiva, includendo persino i cagnolini delle principesse. Quando ricevette questa notizia come fatto di cronaca, il nostro Lenin, lo spietato Lenin, pianse veramente. Lui non aveva ordinato questo, ma comprese la ineluttabilità degli eventi. E forse per questo pianse, come piangerà nella Piazza Rossa, molti anni dopo, al sentire le note della Serenata al chiaro di luna nel funerale della sua Inessa, la donna che aveva veramente amato. Lenin era chissà spietato, ma anche con sè stesso, per dovere verso la causa.  Chissà ferocemente ascetico come lo descrisse la Balabanova ma era anche incredibilmente sentimentale. Non era, assolutamente no, non era come quella bestia di Stalin.
Chissà rimase una strana sensazione di complesso di colpa, nei Russi, ormai non più sovietici ma sempre Russi e slavi sognatori, nei confronti dello Zar. Quando cadde il famoso Muro di Berlino con tutto quello che rappresentava, i poveri resti o ritenuti tali della frantumata famiglia dei Romanoff furono raccolti e seppelliti nella Chiesa di San Pietro e Paolo, in San Pietroburgo. Io personalmente visitai le tombe, con una certa stranissima sensazione di che tutto cambia e della ineluttabile verità del pulvis eris et in polverem reverteris.
 Recentemente seppi che, poco dopo, furono addirittura canonizzati, credo solamente dalla Chiesa Ortodossa Russa: San Nicola II, San Alexey Romanoff, Santa Alessandra d'Assia, la zarina, Santa Olga, Santa Tatiana e Santa Maria. E naturalmente anche la Santa Anastasia, la fantomatica Anastasia Romanoff.
Chi lo avrebbe detto, camerata Lenin? Fatti santi?
Poco mancò che facessero santi anche i due cagnolini, fucilati per essere cani borghesi.
Torniamo a bomba. Gli avvenimenti politici e di pensiero di inizio del XX si stavano succedendo con velocità. La Rivoluzione Francese, anche se, horribile dictu, attraverso un Monarca nient'affatto democratico e addirittura Imperatore, aveva portato nuovi ideali in tutta Europa ed anche in quella succursale europea che si chiama America.
E così nella Santissima Madre Russia, anche se la stragrande maggioranza della popolazione vivacchiava ancora con tradizioni e credenze medioevali, tra le nuove generazioni di intellettuali era diventato di moda fare gli anti-zaristi, essere paladini di libertà, perfino essere socialisti o addirittura anarchici con il farfallotto nero come Bakunin. Soprattutto in Svizzera, in Francia, in Germania, in Inghilterra, nei paesi che contavano, insomma, c'erano correnti di pensiero nuovo. Nelle Università si percepivano ancor di più i nuovi tempi. I giovani che da paesi vari ed anche dalla Russia se ne andavano a studiare nell'Europa viva, ritornavano nelle loro terre mezze addormentate con le nuove idee di libertà. E spesso con gran disperazioni dei genitori, quasi sempre facoltosi per poter pagare le spese dei figlioletti cari; e che poi, magari, saranno i loro nemici politici. E forse “ancora più magari” le loro vittime politiche. E questi ragazzi tornavano con queste idee nella testa: socialismo, anarchismo, roba da matti, roba del demonio, amore libero, roba da puttane, roba da delinquenti. Ne abbiamo esempio in Russia con donne intelligenti, eroiche, all'avanguardia come la Balabanova, la Kulischef ed altre.
E questo era l'ambiente russo, forse il più addormentato d'Europa, quello dello Zar Alessandro III, dove era nato Vladimir Ilicj Uliànov, cocktail di razze, mescolanza di sangue tedesca, mongola, russa ed ebrea. Ai suoi 17 anni si disse che aveva visto con i suoi occhi quando stavano impiccando suo fratello, per un attentato non riuscito contro lo Zar Alessandro III. Da quel momento nacque l'odio viscerale di Lenin contro i Romanoff. Proprio per questo è interessante meditare sulla sua reazione alla notizia della strage di Nicola II e famiglia. Ma questo succederà più avanti, ai tempi della Repubblica Sovietica. Contraddizioni che si vedranno più di una volta in Lenin, tra la sua emotività borghese e l'idea sacra della rivoluzione. Quella emotività borghese che cercò sempre di sopprimere, a costo della sua felicità personale, arrivando a sacrificare anche la donna che amava. Ma la donna amata, Inessa, non la sacrificherà per un senso di rispetto alla sua moglie, Nadia,  sacrosantamente sposata con tanto di Prete, ma per non togliere spazio alla causa.
Sempre si è saputo che, per lo meno pubblicamente, Lenin aveva pianto tre volte nella vita. Di Mussolini si seppe di una sola volta, rivolgendosi ad una Immaginetta della Madonna, lui, ateo, per la figliola ammalata di poliomielite. E questo lo commentò Rachele, la moglie. Chi sa,  era vero? Forse ci teneva a far sapere o credere che suo marito fosse un uomo normale e non un mostro cattivo come dicevano gli americani che gli vollero scientificamente analizzare un pezzo di cervello per studiarlo.
Ma di Stalin, mai. Assolutamente mai. Mai sentii parlare di lacrime di Stalin.  
Ma di questo parleremo più avanti.
Continuiamo.
Il nostro Lenin fu arrestato per la prima volta durante una protesta giovanile che gli costò la espulsione dall'Università dove frequentava la facoltà di giurisprudenza. Fu grazie a certi interventi di sua mamma che potrà laurearsi nel 1892.
Darà assistenza legale ad operai e contadini. Un po' più tardi, per studiare da vicino il movimento operaio europeo, andrà in Svizzera, a Berlino ed a Parigi. Al suo ritorno, a San Pietroburgo, gli affibbieranno il battesimo della prima prigione. Rimarrà la bellezza di 14 mesi tra color che stan sospesi, in attesa di condanna definitiva e precisazione sulla destinazione.
Facciamo una considerazione, adesso, ad onor del vero.
Le prigioni nella Russia Zarista non erano certamente hotel da cinque stelle, o come certe lussuose prigioni di VIP che alle volte scandalizzano oggigiorno.
Nessuna prigione in nessuna parte del mondo aveva caratteristiche di comodità. Ricordiamo la lettera che Leone Tolstoj scrisse a Nicola II nel 1902 a proposito delle vergognose carceri russe.  Quello che però salta alla vista oggigiorno per chi ha un pizzico di indipendenza di giudizio, è che se le condizioni nelle prigioni zariste erano certamente repressive e molto; quelle della futura Unione Sovietica saranno spietatamente peggiori, specie con i famosi Gulag. Però Tolstoj non poté vederli e così ebbe la fortuna di non deludersi con il bel sogno socialista di un futuro destino migliore.















        64/          APOLLINARIA  YACUBOVA


Bisognerà chiarire che gli amori di Lenin sono stati tutti censurati, anche se non erano un caterva  numerosa come quella dell'atleta del sesso che sarà il suo ex collega, l'ex socialista Mussolini. Censurati, sono stati censurati, visti con gran attenzione dalla polizia sovietica che controllava al massimo tutto quello che si riferiva al supremo idolo del Socialismo Sovietico. Nulla, assolutamente nulla doveva macchiare la sua sacra reputazione come Santo del Comunismo. Un'infinità di foto sono state ritoccate, soprattutto quelle dei due periodi che Lenin passò in quell'isola da sogno che è Capri, vicina Napoli, dove arrivavano i VIP della epoca. Scrivere di questo adesso mi fa ricordare Orwell, 1984. Sì, succedeva  quasi così, come lo raccontava, immagnando i fatti,  il caro Orwell: mentire sempre per dominare meglio. Solo che qui,  con Lenin, non si trattava di fantasia di scrittore. Era vero, Bisognava cesurare, conrollare. Le foto di Lenin furono studiate e ritoccate più di una volta per evitare che personaggi, uomini o donne o politici o industriali o militari prussiani che apparivano con lui nelle foto originali potessero compromettere la sua immagine di asceta. Le foto di Apollinaria Yacubova anche sono dubbiose. Al punto che io, poveretto, non ne ho trovato neppure una. Però sembra che la molto graziosa, intelligente, elegante e giovane attivista del movimento rivoluzionario fosse il suo primo amore.
 Forse, chissà dico adesso con una punta di malignità, siccome era troppo bella e fuori dal caschè austero della proletaria, pensavano che non era serio fare vedere l' ascetico Lenin accondiscendendo alla bellezza femminile e che era meglio vederlo catechizzando compagne del partito brutte racchie e senza troppa femminilità borghese. E si commentò, figurarsi un po', top secret, che il giovane Ilich, vezzosamente chiamato Volodia, le avesse proposto nientedimeno che matrimonio, istituzione che tra poco tempo sarà considerata reminiscenza borghese da superare per lasciar spazio all'amor libero socialista. E, cosa ancor più grave, da non far assolutamente sapere, che il nuovo Dio aveva ricevuto un bel NIET dalla fanciulla perché, si disse che lei disse, le cose del cuore non hanno niente a che vedere con la politica. Insomma, non le piaceva come uomo. Secondo lei non era sexi.  Capito? Ciapa su ! avrebbero commentato a Milano o a Torino.
Ma i due continuavano a vedersi. Un bel giorno la bella Apollinaria, chissà ormai mezzo stufatella come tutte le belle ragazze, invitò una amica, molto meno carina di lei, anzi addirittura bruttina, per assistere ad una  festa rivoluzionaria e naturalmente segreta. Era Nadezhda Krùskaya, (Nadya). Anche lei maestra di scuola notturna per operai e ovviamente rivoluzionaria. E lei sì, lei si innamorò quasi immediatamente di "quel bel giovane interessante della Regione del Volga." Capito? Beccate questo! avrebbero commentato a Roma.   E qui Lenin appare come un bel ragazzo dagli occhi sognanti.
Parteciparono insieme anche a un bella festa di Carnevale, senza importare se il Carnasciale fosse o non fosse di origine borghese decadente; ma parteciparono anche in altre riunioni serie di marxisti in Pietroburgo. El il camerata Lenin, pur continuando a fare  il cascamorto con la bella Apollinaria, accettava però anche la presenza della Krùpskaya, compiaciuto e contento della sua lealtà ed appoggio. Con la Krùpskaya si dilettava con belle chiacchieratine rivoluzionarie, accompagnate da contorno di cenette caserecce nelle quali la socialista innamorata dimostrava una specialissima abilità culinaria. Bel furbetto il nostro Lenin.
Arriva il 1895. Lenin si farà un bel viaggetto in Svizzera, a Berlino, a Parigi per studiare il movimento operaio in Europa. Lo abbiamo già accennato. Ritorna in Russia sempre nello stesso anno e la polizia te lo schiaffa in prigione "preventiva" dove passera 14 mesi in attesa di giudizio. In questo tempo il nostro Compagno Lenin, intelligente e che capiva presto, si stava rapidamente trasformando in esperto in reclusioni. Aveva capito come si dovevano comportare i detenuti politici. Si era fabbricato dei calamai. I giovani di oggi non sanno cosa sono i calamai e li confondono con i calamari, anche loro portatori di liquido nero. Calamai fatti con molliche di pane, quelli di Lenin, dove poneva il latte e a mo' d'inchiostro nero, vi attingeva la penna per scrivere misteriosamente. Il latte al seccarsi sul foglio di carta diventava invisibile. Ma visibile all'altra parte, al destinatario, cospiratore o innamorata che fosse, quando poi avvicinava il foglio a una leggera fonte di calore, come per esempio un bel  lume di candela. E lo scritto appariva, romantico o cospirativo. Ai miei tempi, in Italia, si usava il succo di limone. Lo stesso procedimento anche se non con gli stessi fini. Noi ragazzi, io specialmente, al ginnasio-liceo, scrivevamo letterine o bigliettini alle liceali del turno di pomeriggio ( le scuole spesso erano requisite nella mattina e notte per emergenze belliche di sfollati) su argomenti di studio, però...ay ay ay...usavamo il limone per scrivere tra le righe certe frasi che le ragazzette poi leggeranno, chiuse nel famoso bagno complice di tante intimità. Accendevano la candelina e leggevano, spesso tenendo la lettera con una sola mano, quelle frasi bellissime, ingenue ed infuocate d'amore che si scrivono solo nell'adolescenza. Ma questo succedeva a noi, rampolli di una società degenerata. Lenin usava questi trucchetti per la vittoria della Dittatura del Proletariato.
Chiedo scusa per il fuori tema. E quelli che verranno.
Ma come si fa quando i ricordi son tanti e si accavallano?

Dalla sua prigione di San Pietroburgo Lenin commenterà a sua sorella Anna:
Quanti calamai mi sono dovuto mangiare!
Meno male che erano fatti di latte e pane! gli rispose la sorellina, un po' preoccupata e un po' scherzosa.
In ogni modo Lenin riusciva a comunicare con sua mamma e chiedeva a lei che gli mandassero in cella indumenti e cose di prima necessità.
Arrivò finalmente il giorno dell'interrogatorio. Lenin, con la faccina più innocente del mondo, seppe rispondere che lui non sapeva niente di niente, che i fogli di propaganda anti-governo che la polizia aveva trovato in casa sua stavano lì per combinazione,  perché glieli aveva consegnati nella strada un tipo che non lo conosceva, che li distribuiva ai passanti come propaganda e che quindi non poteva fare nessun nome. E con quelle bella ingenua faccetta da Io non lo so e io non c'entro, gli spietati inquisitori zaristi gli credettero....in parte. Nella prigione poteva ricevere visite due volte alla settimana e alimenti vari da fuori quasi tutti i giorni. Poteva ricevere tutti i libri che voleva, alcuni dei quali proibitissimi dalla censura Zarista. O sarà stato che i carcerieri, certamente non luminari di cultura, nemmeno sapessero di cosa si trattava.
In uno dei suoi messaggi al latte, Lenin chiese a Apollinaria e a Nadia che passeggiassero in una certa strada di Pietroburgo vicino alla prigione dove lui potesse almeno vederle anche se per poco tempo, durante i passeggini che davano i carcerati nei corridoi della prigione, con vista alla strada. Nadia si presentò all'appuntamento visuale romantico, però sola e confessa o mente  che per un qualche motivo Apollinaria non poteva venire anche lei. Così che Nadia andava sola e parecchie volte a fare ciao ciao teneri con la manina inguantata per il fretto al pericoloso carcerato.
Le cose sono due: O Apollinaria si era stufata di quegli appuntamenti semi amorosi con uno spasimante tra le sbarre. O Nadia aveva una paura da matti che la bella Apollinaria le sottraesse il bel giovane del Volga e tra la camerata-compagna e la donna, prevalse la donna. Ed allontanò una possibile rivale pericolosissima. Alla faccia di Carlo Marx.
Al nostro carcerato continuavano ad arrivare alimenti e beveraggi vari dalla famiglia. Una volta confessò ridendo a un compagno di prigionia che con tutto quel tè che aveva ricevuto poteva metter su una bella botteguccia. Dormiva nove ore al giorno. Leggeva e scriveva molto. Faceva traduzioni. Con la sorella Maria commentava che in carcere la cosa buona era alternare letture serie con altre più leggerine e giocare a scacchi. Insomma, con tutto questo si dovrebbe dedurre che le prigioni zariste non avevano niente a che vedere con quelle della futura Unione Sovietica, dell'epoca di Lenin e di Stalin.
Finalmente si arriva al 10 febbraio 1897. Il Ministero della Giustizia decide ed ordina il confino per tre anni in Siberia. Allegria di tutta la famiglia che temeva una pena più lunga. Chissà nel Ministero lo considerarono il solito intellettuale fantasioso ma poco pericoloso. Poco più di un utopista. Cosicché il 28 di febbraio il nostro non pericoloso Lenin,  sarà messo in completa libertà, anche se per pochi giorni, per prendersi una bella vacanza prima di andare nella lontana Siberia. Inconcepibilmente certo!  Vacanzetta prima della galera!
Ed il primo giorno di libertà e di vacanza il nostro Lenin lo passerà con la mamma, le due sorelle Anna e Maria e con la Apollinaria, che riapparve.  La povera Nadia non potette assistere alla festa di riunione familiare perché stava in prigione da qualche parte per essere stata pizzicata in chissà che attività rivoluzionaria.
 Fu un rivincita del match Apollinaria vs. Nadia?
Cos'era successo nel frattempo? Era successo che la mamma di Volodia aveva ottenuto qualcosa di incredibile per suo figlio. Aveva chiesto che "Volodia" potesse raggiungere la destinazione di Siberia con i propri mezzi e non con il treno lentissimo dello Stato, adibito al trasporto carcerati. E non solamene questo fu concesso alla implorante mamma dalle inumane autorità zariste. Pensandolo meglio, la signora chiese anche che " dovuto alla salute non precisamene ferrea di Volodia, non sarebbe meglio che il confino in Siberia...sì, Siberia...però la Siberia è tanto grande...e non lo si potrebbe mandare in una zona, sempre in Siberia, ma con un clima un po' meglio? dove non si muoia  di freddo?
E le autorità Zariste, sempre inumane, accondiscesero in via eccezionale a cambiare un poco il destino originario e che Lenin andasse nella città di Kranojark, nel sud della Siberia e che le autorità locali decidessero loro il posto esatto e definitivo. E siccome partendo con i suoi mezzi avrebbe certamente raggiunto il destino molto più rapidamente, concessero per il figliolo un permesso di una settimana per salutare gli amici a Mosca. Incredibile anche questo! Ci si chiede come mai Lenin non si sia dato alla fuga. Si trattava di impegni tipo Parola d'Onore, forse ancor valida in quei tempi? Stalin, a parità di condizioni, se ne sarebbe infischiato, certamente. Ma Lenin mantenne la parola. Forse preoccupato anche di eventuali ritorsioni su sua mamma? Chi lo sa !
Così che Lenin partirà per suo conto ed arriverà a Kranojark come previsto e lì aspetterà il lento convoglio dei carcerati che non era ancora arrivato. Le distanze erano e sono immense in Siberia. Viaggio in treno, poi proseguire con un trabiccolo per il lunghissimo fiume Yanisei e poi ancora per terra con carretti di contadini. Arrivato a Kranojark conoscerà un ricco commerciante e proprietario, con grande  emozione per Lenin, di una bellissima biblioteca. Si faranno amici, passeranno insieme lunghe ore nella sua mansione e lì stesso riceverà riviste e giornali da Pietroburgo e da Mosca. Glieli manderà la mamma. Una mamma d'oro, veramente e capace.  
Finalmente dopo due messi arriverà il famoso convoglio con i suoi compagni, futuri bolscevichi. E finalmente gli comunicheranno il nome del destino finale: Shushénskoie, un villaggio bene lontano da tutto e da tutti, dove sarà finalmente accompagnato da due Guardie e consegnato all'unico poliziotto del paesetto.
Per avere un'idea questa “metropoli”:  sta vicino al lago Baikal dove, a suo tempo, verso il tredicesimo secolo, bazzicava Temusin, il futuro Gengis Kan. E non è nemmeno facile trovarla nelle mappe. 30 gradi d'estate e 30 d'inverno. Però i 30 d'inverso saranno -30, cioè sotto zero. 30 gradi sotto zero sono una enormità per noi persone normali. Ma per quei semi-esquimesi, i -30 comparati con i -50 di altre zone della Siberia erano  un clima quasi tropicale.
Grazie, mammina bella, deve aver pensato Volodia.
Ed in questo “tropico” passerà i tre anni previsti di confino.

Le autorità avevano chiesto a Lenin se aveva mezzi per vivere. Rispose di no. L’Ufficio Governativo gli credette e stabilí dargli sette rubli mensili per il suo mantenimento. E con questo poteva pagare vitto, alloggio e servizio di lavanderia. Ma il nostro confinato politico si difendeva abbastanza bene perché un certo editore marxista di Pietroburgo gli avrebbe pagato  dai 100 ai 200 rubli per ogni articolo che scrivesse per lui. Ed era una cifra molto alta per quei tempi. Inoltre gli assicurava traduzioni di opere straniere perché Vladimiro Ilich parlava varie lingue. E per le eventuali ultimissime emergenze c'era sempre sua mamma, la cara dolce mamma, sempre disposta e con possibilità per aiutarlo.
Il nostro Vladimiro Ilich, come già detto, era un persona completamente dedicata alla causa del comunismo nella quale credeva fermamente e per la quale causa sacrificò i suoi amori e molta parte di sé stesso. A parte, chissà, certi dubbi che confesserà a sé stesso solamente nel letto di morte, Lenin sempre era stato inflessibile con sé stesso e con gli altri. Voleva raggiungere quello che considerava il giusto scopo politico, costasse quello che costasse. Premesso questa su inflessibilità, non si deve quindi pensare che il periodo di relax che rappresentò per lui Sushenshcoie, gli abbia potuto sottrarre valore come uomo di lotta. Anche se si vuole pretendere ed insistere su una idea fanatica di santo del comunismo, non si può mentire parlando di un periodo crudele e di sofferenze. Il concetto di castigo non poteva essere applicato semplicemente perché non esisteva nessuna idea di castigo. Quello che poteva spaventare psicologicamente era il sentirsi sconfinato nella fine del mondo, lontano da tutto e tutti, un villaggio sperduto tra Siberia e Mongolia. Questo poteva atterrare uno spirito debole. Ma per il resto, era un paesetto accettabile e tranquillo. Molto, moltissimo meno pericoloso di come saranno gli esili politici nella futura epoca della sua futura Unione Sovietica. Ed infatti Volodia scriverà alla sua famiglia: "... Sushenshcoie non è affatto male. Ha un buon clima, non è caro. Vado a caccia di pernici e di anatre... mi sento bene e sono persino ingrassato un po'... con il sole e la vita all'aperto di qui, sono diventato bello scuretto e sembro un contadinotto siberiano. Non si ha idea del bene che fa andare a caccia e camminare per la campagna...!
Nel suo secondo anno, 1898, il nostro Vladimir (Volova) Ilich si sposerà. Con Pope e con la parafernalia possibile a Sushenshcoie. Si sposerà con Nadia, con la Krùskaya.
La Krùpskaya, la attivista rivoluzionaria che si era innamorata come una borghesuccia del bel Volodia e lo salutava da lontano con la manina vezzosa, ad un certo momento era caduta nelle grinfie della Polizia. La prendono e la condannano a tre anni di confino in Siberia. Anche lei. Allora  si arma di coraggio e chiede all'inumano giudice zarista se fosse possibile  scontare la pena a Sushenshcoie dove c'è in confino il suo fidanzato. Il giudice la guarda, ci pensa e le dice che secondo la legge puritana dell'epoca lui può autorizzare questa specie di congiungimento familiare. Però solamente se Nadia si trasforma in moglie. Essere fidanzata non basta.
Sono sicuro che questo rese Nadia doppiamente felice. Riconoscente, forse si trattennedi abbracciare quell'implacabile giudice zarista. Dichiarandosi pertanto fidanzata aspirante sposa per ragioni amministrative, la felice Nadia, accompagnata dalla mamma, partirà e arriverà a Sushenshcoie. Anche lei, mammina d'oro, sacrificandosi a sopportare un viaggio cosi disastroso per la felicità di sua figlia. E per sistemarla finalmente con un marito, aspirazione di tutte le mamme. E nel paesello dove Volodia andava a caccia di pernici, i due, Nadia e Vladimiro, si sposarono. Con Pope e barba, secondo il rito religioso ortodosso, l'unico possibile e legalmente valido in Russia. E vissero felici e contenti...per un po`.
E la Apollinaria? Sembra che veramente mai più si rivide con Lenin. E nel 1905, nell'epoca del fallito conato di rivoluzione mentre Lenin era in Svizzera, la bella Apollinaria Yacubova decise di lasciare completamente la politica.













65/         NADEZHDA  KRÙPSKAYA (NADYA)


Perché Lenin si sposò con Nadia? Era un po' bruttina, poverella. Una sorella di Lenin una volta disse di lei che si vestiva come se lo facesse la sua peggiore nemica. Aveva gli occhi sporgenti. Magra come un'acciuga. Non aveva nulla di attraente come invece la bella Apollinaria o come sarà la sensualissima Inessa Armand che apparirà più tardi, croce e delizia per l'innamorato però ascetico e spietato Lenin, come una volta lo definì la Balabanoba.
Nadia proveniva da una famiglia nobile, decaduta, di San Pietroburgo. Suo padre, ufficiale dello Zar, aveva partecipato alla repressione della insurrezione polacca. Ma Nadia era anti-zarista. In quei tempi  era di moda esserlo tra i giovani e con gran scandalo e paura dei poveri genitori. Dava lezioni notturne in una scuola per operai. E nella scuola si fece amica di Apollinaria. Ai suoi 22 anni lesse e si innamorò del marxismo. Ai 25 conobbe e si innamorò di Lenin. E saranno il suo credo ed il suo idolo per tutta la sua vita.
Come fu che Lenin si sposò con lei? Innamorato non lo fu mai. Gli capitò sotto mano una buona moglie che non gli avrebbe dato problemi. E la accettò. Certamente apprezzava la sua dedicazione alla causa. E anche a lui stesso, egoisticamente, dobbiamo ammetterlo. Così che poco a poco questa giovane intelligente e bruttarella, si venne trasformando in compagna, camerata, amante anche se tiepidina, donna di casa, cuoca, sposa. Anche se a Lenin in realtà  piaceva la Apollinaria, Nadia era la compagna camerata; con lei conversava e sarà sposa fedele. Certo che Lenin le voleva bene, era affezionato a lei. Ma essere innamorato è un'altra cosa. Lenin era un uomo di ferro, in certa maniera un Kamikaze. Disposto a sacrificarsi per la causa come i Kamikaze si sacrificheranno per il Tenno, l'Imperatore Giapponese figlio del Cielo. O come altri kamikaze più avanti nel tempo si sacrificheranno in suicidi-delitti atroci per raggiungere il paradiso di Allah. E Lenin senz'altro temeva che l'amore vero a una donna, l'amore di quelli che ti fanno tremare le gambe, lo indebolirebbe nella sua lotta e doveri rivoluzionari. E  molto spesso può accadere. Sapeva benissimo che l'amore distrae da altre cose e sapeva che poteva succedergli. Era un lusso che non doveva e non poteva permettersi. Per questo approverà, cerebralmente, l'amore libero socialista, perché in quel caso l'amore si sviliva di categoria e perdeva la sua pericolosità sociale. Lui sapeva che l'amore può essere fonte di felicità estrema ma anche di seri problemi sconvolgenti. E fu così in effetti , più in avanti nella vita. Si impose rinunciare al vero amore, completo e travolgente, per una donna. In un certa occasione ebbe modo di affermare che era meglio sopprimere certe condiscendenze per la musica, perché indeboliva il cuore. E fu solamente in Europa, durante il suo  esilio di lunghi 17 anni,  che si permetterà accondiscendere a quella Serenata al chiaro di luna di Beethoven che  Inessa, la sua Inessa, il suo amore vero e tragico,  suonava al piano, per lui, solamente per lui. Pero questo era a Parigi. La Parigi dei suoi tempi e del Café du Lyon. E Parigi e Capri e Europa non erano il confino in Siberia, ma il suo esilio volontario aspettando tempi migliori e tessendo e cospirando. Confabulava e dava istruzioni e si vedeva quasi sempre di nascosto con personaggi chiave per accelerare l'arrivo dei tempi promessi. Riceveva di tanto in tanto anche le visite,  occulte, di un certo Koba, giovane coraggioso georgiano, il cui nome vero non riesco ricordare... che gli portava cospicui fondi dalla Russia ottenuti con inconfessabili mezzi. Doveva pur mangiare il povero Lenin, anche se spesso era l'invitato d' onore di Massimo Gorki, già famosissimo e innamorato del Mediterraneo. Così che la magia di Parigi e di Capri ( l'antica isola delle Sirene...) ottennero, come le magie di Circe, che si permettesse certe parentesi voluttuose che poi la iconomania cercherà di eliminare per mantenere pura l'immagine ascetica dell'Icono.

E Nadia era appunto quel tipo di donna che Lenin, razionalmente, aveva sempre preferito come sposa. Gli sopportava tutto, poveretta. Tutto e tutti quei momenti di debolezza che gli si dettero quasi involontariamente; e che, davvero in buona fede, lui cercherà di correggere razionalmente.

Ritorniamo adesso al secondo anno di confino in Siberia. Nadia, accompagnata da sua mamma e con il suo corredino da sposa, gli  si presentò lì,   vicino al lago Baikal, nelle cui gelide acque aveva temperato il suo corpo il giovane Temucin, più tardi Gengis Kan, il più grande conquistatore di tutti i tempi.   Lenin,   altro   conquistatore  che   inconsciamente  aveva  conquistato  il  cuore di Nadia, la accetta.
Certo che la accetta.
 La riceve. Magari glielo aveva chiesto lui stesso. Questo non si sa. Nemmeno si sa se poi la dolce suocera tornerà al suo Pietroburgo. Quello che sappiamo è che la coppia Ilich-Nadia vivranno tranquilli in quell'oasi che fu per loro il confino Siberiano. Dovremmo dedurre che la suocera se ne era tornata casa sua. Nadia  lo aiuterà nelle traduzioni, a scrivere articoli politici ed economici, quelli che da Pietroburgo l' editore marxista pagava a botta dei bei 100 rubli ciascuno. Si prepareranno anche per i futuri libri in gestazione. E le autorità Zariste, sempre implacabili, daranno loro un permesso di vari giorni per andarsene tranquillamente come qualsiasi cittadino libero a Kranojark, da un dentista. Li trattavano bene, insomma. Con considerazione, con un certo rispetto. Non certamente a calci in faccia. Nel paesetto di Shushénskoie, di impossibile pronuncia per i non russi, c’erano altri due confinati politici. Un professionista polacco e un operaio russo. Si faranno buona compagnia e Lenin giocherà a scacchi con loro. Si diceva che Lenin fosse bravissimo nel gioco scienza. Nadia e Ilich andranno al mercatino e torneranno carichi di pacchetti e pacchettini. Te lo immagini il grande Lenin, il grande futuro idolo, con i pacchi dell'automarket? Da qualche parte compreranno anche dei bei pattini per ghiaccio, naturalmente. Chissà non erano coppie per le Olimpiadi e Nadia già un po cicciottella certamente non era Sonja Heine, pero si difendevano e si divertivano. Tutti i russi sanno sciare bene e pattinare benissimo. E giocare a scacchi vicino a un samovar. A principio dell'anno seguente, nel 1899, Nadia e Ilich andranno a fare una specie di turismo in un altro villaggetto, Minusinsk, per andare a visitare un'altra coppia di "prigionieri" in confino, come loro. E lì se la passeranno giocando agli scacchi e pattinando sul ghiaccio. E continueranno a scrivere e a tradurre.

Totale, il periodo siberiano fu come un bel ricostituente per Lenin. Molto utile per gli esercizi fisici e l'attività politico intellettuale che, con gli scritti, dava anche le sue buone entratine, mai di troppo.
Lenin aveva fatto l'Università. Aveva studiato e si era laureato. Ma come deportato non aveva diritto ad esercitare la professione di avvocato.  Un bel giorno però nulla  gli impedì di dare un buon consiglio, una assistenza amichevole, a un povero contadino-operaio che stava cercando di fare valere non so che diritti alla miniera d'oro dove lavorava. Il contadino vinse la causa, cosa inaudita. Si sparse la voce e una buona quantità di contadinotti siberiani cominciarono a chiedere aiuto al... camerata avvocato. Che ti succede? Che i contadinotti, più o meno assistiti, cominciarono vincere cause su cause. Ed allora le autorità, anche se erano un po' testone e ignorantelle, cominciarono a sospettare. Gatta ci cova! Sai cosa ti fecero? Roba da matti. Per far valere la loro autorità e non ripetere la brutta figura con i padroni della miniera , ti condannano il seguente contadino che aveva presentato una bellissima difesa scritta. Era stata redatta troppo bene. Non era roba sua. Gatta ci cova! E condannarono cosi, su due piedi, il povero contadino e finì la pacchia per tutti. E terminò anche l'assistenza dell'avvocato Vladimir Ilich Uliànov.

In altra occasione, in una lettera alla mamma di Vladimir, Nadia le commentò che per il Carnevale erano arrivati a casa loro sei amici, anche loro confinati dalla Autorità Zariste e che erano rimasti con loro per tutte le feste tradizionali del carnevale russo. Se questi fatti riportati, anche se con un certo odorino a pettegolezzo, servivano per tranquillizzare la mamma di Vladimir, questo non si sa. Però se erano veri, come sembra lo fossero, allora dovrebbero dimostrare che il tanto temuto esilio in Siberia non era così inumano come si diceva.
Finalmente si avvicinerà la data della fine del confino. Nadia commenterà che il suo Ilich si faceva sempre e sempre più nervoso. Persino a volte in stato di eccitazione febbrile. Dormiva male. Quasi non mangiava e cominciava a dimagrire velocemente. (Ecco la vera cura dimagrante: mangiare meno).
Arriva il fatidico 10 febbraio del 1900. Nadia e Lenin lasciano il villaggio dove avevano vissuto per tre anni in una certa santa pace. Sicuro che Nadia lo considererà il miglior periodo del matrimonio con il suo ragazzo del Volga.
Con il viaggio in fiume, carrette e trenini arrivarono finalmente alla città di Ufa, l'originaria destinazione della Krùskaya dove lei dovrà rimanere ancora qualche mese per completare il suo periodo di confino.
Ma Lenin non era Nadia. Lenin era un uomo. Nadia era una donna. Le donne sanno amare veramente e quando amano, amano incondizionatamente. Gli uomini amano con certe riserve. Lenin non aspettò che sua moglie terminasse la sua condanna che ormai era di pochi mesi. Non l'aspettò, come sicuramente avrebbe invece fatto Nadia se la situazione si fosse invertita. Nadia-donna avrebbe aspettato mesi inchiodata al portone di uscita dal carcere.
Ci chiediamo. Lenin non rimase perché non poteva ? Perché gli era proibito rimanere in una città di relativa importanza come Ufa?
O Lenin non rimase perché sentiva la febbre della rivoluzione e preferì lasciare sola la povera Nadia innamorata per finire il suo periodo di castigo; e lui, l'uomo del Fato, continuare a seguire in suo destino di predestinato, il grande richiamo della causa che esige tutti i sacrifici? Si sentiva come Enea che dopo la parentesi con Didone la abbandona disperata e segue il suo destino, anche lui il suo Fato?






























66/ ELISABETH-INÈS STÉFANE D’HERBENVILLE

                          ( INESSA ARMAND)
                        il grande amore di Lenin


Salutata la fedele Nadia, sposa lasciata sola nel suo confino a Ufa, Lenin, come l'eroe di Virgilio, andrà verso il suo epico e ineluttabile destino; che non sarà fondare l'Impero di Roma, ma l'Impero dell'Unione Sovietica;  da Ufa se ne andò a Pietroburgo e da lì all'esilio volontario, nel cuore d'Europa. Comincerà nel 1900 e durerà 17 anni questo suo vagabondare giù di lì, scrivendo, lavorando, cospirando, passando anche fame, letteralmente, tessendo le sue trame politiche fino al suo ritorno trionfale nel maggio del 1917, quando lo Zar avrà abdicato.
Durante questo lunghi anni non se ne starà tranquillo in una zona determinata. Nel suo cosiddetto primo esilio lo vedremo in Svizzera, a Zurigo e poi a Monaco.
La rivoluzione fallita del 1905, quando le truppe dello Zar spareranno sulla folla dei manifestanti, lo coglierà in Svizzera.
Torna immediatamente in Russia ma per scappare velocemente un'altra volta in Svizzera, sfuggendo attraverso la Finlandia.
Fu in questo periodo che cambierà nome e si battezzerà come Lenin ( Lienin ), che significa Uomo del Fiume Lena ( Liena). Chissà in onore al suo confino quasi bucolico nel sud della Siberia, più o meno nella zona del fiume Lena ( Liena), tra la Mongolia e la Siberia.
Dalla Svizzera arriverà a Parigi e a Parigi lo raggiungerà la moglie Nadia, appena terminato il suo confino a Ufa e scappata dalla Russia. Avranno un periodo di fame vera e dovranno per un certo periodo dedicarsi solamente a guadagnare quel po' di denaro necessario per vivere. Ma sempre, tutti e due, con gli occhi accesi dal sogno del destino rivoluzionario.
 E Nadia più accesi ancora quando guardava il suo Volodia del quale era sempre innamoratissima.
Il nostro esiliato in due occasioni fu a Capri, l'isola magica, ospite di Massimo Gorki. Quell'ormai famoso Massimo Gorki al quale, bambino di 14 anni, lo spietato nonno disse che lui, il nipote, orfano e figlio di suo figlio, non era un ciondolo da potere appenderselo al collo; e lo sbatté fuori di casa e che se ne andasse a guadagnare il pane in giro per il mondo. E se lo guadagnò il pane, scrivendo e adesso se ne stava a Capri, aiutando Lenin senza un soldo. E Lenin stava con lui, ufficialmente in vacanza, ma in realtà per tessere la sua rivoluzione. Conobbe e si incontrò con personaggi importantissimi, sia della politica come della finanza. Si vedrà con autorità del socialismo internazionale e un mucchio di esiliati politici russi. Entrò anche in contatto con generali prussiani, quelli che poi, per ordine del Kaiser, lo aiuteranno e faciliteranno economicamente, a lui e compagni, con denaro e il famoso treno blindato per terminare al più presto la guerra Russo Prussiana del 1914 ed alleggerire il fronte orientale a favore del Kaiser. Lenin voleva la sua rivoluzione a qualsiasi costo.
I due periodi di Capri di Lenin saranno sempre una gran preoccupazione per le future autorità sovietiche che tratteranno di occultare il più possibile l'argomento dell’Isola per mantenere l'Icona Immacolata. Si adultereranno fotografie, come già detto, dove si vedeva il futuro Zar Rosso, con elegante bombetta in testa, seduto placidamente a giocare a scacchi a Capri, nella bella e soleggiata isola delle sirene di Ulisse e poi di Tiberio. Anche si diceva  --  e le autorità sovietiche smentirono sempre -- che nell'Isoletta si davano incontri segreti con un certo Koba ex seminarista per rendere conto di alcune espropriazioni. Ma anche di questo si è già accennato.
Però la cosa più interessante dal punto di vista solamente umano, è che l'ex-Avvocato Vladimir Ilich Uliánov, auto soprannominato Lenin, uomo intransigente con gli altri ma soprattutto con se stesso, puritano, ascetico quasi alla Savonarola, con la determinata e ossessiva volontà di ottenere il suo ideale politico, che voleva allontanare dagli altri e da sé stesso le seduzioni pericolose di una vita borghese, con lo sgurdo allucinato rivolto al sogno del gran destino fatale... si innamorò. 
Sì...Si innamorò e si innamorò veramente.
E questo amore, naturalmente corrisposto, lo fu per una donna che quando amava sapeva amare contro tutto e tutti, fregandosene altamente di tutte le convenzioni.
E questo amore lo rese felice ed umano.
E quest'amore, felice e tragico, fu una delle tre occasioni, senza dubbio la più intensa, nella quale si seppe che il gran Lenin, l'intransigente Lenin, aveva pianto.
Mi anticipo un po’.
Fu molti anni dopo, durante il funerale di quella sua amata, morta molto precocemente. Lenin strinse con forza, chissà in cerca di appoggio e comprensione, la mano di sua moglie, le fedele Nadia, che era con lui, al suo lato e che anche lei aveva i lacrimoni: per lei stessa, per il suo Ilich e per la amante di suo marito e che era anche amica cara sua! Sembra incredibile, ma fu proprio così.
Chi era quella donna?
Era Elisabeth-Inès Stéfane d’Herbenville, Inessa Armand, come sarà conosciuta in futuro. Nata a Parigi, figlia di un francese e di una inglese, tutti e due gente di teatro. Il papà era morto quando lei aveva solamente cinque anni e per qualche motivo la bambina fu mandata a vivere da una zia che risiedeva a Mosca. E a Mosca crebbe, nell'ambiente dell'alta borghesia di Mosca. Cresce.  E molto giovane e molto bella, si sposa con il figlio di un ricco industriale moscovita, un certo Alessandro Armand. Durante i dieci anni che durò il matrimonio ebbe cinque figli. Sembra che uno dei figli lo abbia avuto da suo cognato. 
E qui c'è da fare una considerazione speciale e subito.
Questo fatto non si può considerare un pettegolezzo. Al conoscere questa persona, Inessa,  conoscerla negli episodi della sua vita, considerando anche che si tratta di una donna, si nota subito e più rimarcato appunto per essere donna, che ci troviamo di fronte a qualcosa di speciale, di fuori del comune, di una persona innanzi tutto con un carattere molto energico e deciso. Naturalmente intelligente ed assolutamente anticonformista. Ma con un  anticonformismo vero, non una patina vezzosa di chi vuol apparire quello che non è. Lei era di una originalità straordinaria e spontanea. Assolutamente spontanea, in lei. Assolutamente indipendente. Assolutamente senza paura di niente. Ad un certo momento si interessò per suo cognato?
Sono fatti miei, sarebbe stata la riposta spontanea e sincera. Non si sentiva obbligata assolutamente a nulla. Solo a quello che sentiva giusto, secondo lei e che la interessava. E a quello si dedicava con passione e fedeltà. Colta, leggeva e aveva letto molto, parlava perfettamente varie lingue per un certo dono speciale della natura che favorisce alcuni privilegiati, senza alcuna ragione sopeciale.  Il francese, l’inglese e il  russo, ovviamente, che erano per lei tutti e tre una lingua materna in una specie di trinità di valori. Ed a questi aggiunse il tedesco e chissà cosa in più. Da giovanissima si era permeata anche lei dei nuovi ideali socialista-anarchici di moda in Europa e in Russia. Ma non fu un hobby passeggero, per poi finire a lavar pannolini e preparare la tavola da pranzo. Lei credette sinceramente e profondamente in quegli ideali che fece immediatamente suoi. Massimo progressismo, troppo progressista, si direbbe poi. Ideali per i quali lottò sempre, agendo con decisione e pericolosamente durante tutta la sua breve vita, soffrendo carcere ed esili.
Certo che era speciale. Ed il fatto familiare più impattante per persone normali e che rivelano l'atteggiamento molto sui generis di un personaggio -- anche in altri campi che non fosse lo strettamente familiare --  fu che questa giovane donna, ai suoi trent'anni, dopo dieci di matrimonio e cinque figli, non so per quali motivi, improvvisamente decise di cambiare vita. Non si sentiva viva nei panni della mamma e sposa e conseguente donna di casa. Piantò tutto! Piantò baracca e burattini...lasciò il marito e i cinque figli! Ed entrò decisamente come un vortice nel Partito Social-democratico-ruso.  Naturalmente il Partito era illegale e si rischiava la Siberia. E dai e dai, infatti la pizzicarono e te la schiaffarono in prigione e dalla prigione poi in Siberia! Ma Inessa non era una donna qualsiasi. Non si sa come fece, ma scappò dalla Siberia, azione peggiore che attraversare il deserto di Mosè. Ma lei fece più in fretta. Attraversò il deserto di ghiacci e rocambolescamente arrivò a Parigi.
A Parigi conobbe e si incontrò con i bolscevichi e dopo non so quanto tempo volle conoscere Lenin. Lo incontrò, lo vide che stava tranquillamente bevendo il suo tè nel Café du Lyon in compagnia di altri confabulandi. Non chiese di essere presentata. Si diresse decisa al suo tavolo, incurante degli altri. Ricordiamo che eravamo nel 1920. Si presentò da sola. E a Parigi, per lo meno nel gruppo dei fuoriusciti russi, tutti sapevano chi era la rivoluzionaria francese.
Tra parentesi bellissima donna, viso interessantissimo, per lo meno nelle fotografie; la qual cosa è un dettaglio della personalità, è vero; ma che spesso nella donna è un dettaglio di particolare valore. Non é difficile immaginare la "rivoluzione" che deve aver prodotto la sua presenza in mezzo a quei rivoluzionari russi barbuti e appassionati.  Conclusione, Inessa e Lenin si videro. Simpatizzarono al momento. Lenin si rese conto subito del potenziale della persona. Ma non solamente del potenziale politico.
Qualcuno racconterà, poi, con comprensione delle debolezze umane, che Lenin con i suoi occhietti da mongolo, se la passava ammirando la sua francesina.
Tutti e due erano sposati, regolarissimamente sposati. A lei non interessava affatto nessun documento di divorzio. E non si era divorziata. Formalismo inutile, borghese. Non necessario, probabilmente lo considerava cosi. Lenin era sposato e viveva tranquillamente insieme a Nadia. Forse non altrettanto tranquillamente per lei, d'ora in avanti. E questo pregiudizio borghese del matrimonio o della sua dissoluzione non produceva, teoricamente, nessuno scandalo né interesse speciale in un ambiente politico fautore della libertà sessuale, del’amore libero socialista. Questi erano i tempi. Cosi si cominciava a ragionare  nell'Europa a inizio secolo XX. Por lo meno in teoria, gli studenti e gli intellettuali. Incidentalmente è da segnalare che Inessa scriverà, tra breve, una specie di saggio sull'amore libero socialista.
Lenin era un po’ più complicatino. Chissà per un rimasuglio di puritanesimo ereditato da suo padre, Lenin  refutò, almeno parzialmente, la tesi.
Però non refutò affatto la refutante al matrimonio, la camerata Inessa. Saranno amanti. E la paziente, comprensiva Nadia, che nel frattempo stava dolcemente ingrassando, ebbe la conseguente tipica depressione e incluso pensava lasciare liberi i due effervescenti  nuovi amanti e ritirarsi discretamente. Ma Lenin si oppose. Lenin le voleva bene e la voleva vicino a sè. Insomma, alla fine si dette un fantomatico ménage à trois  e Nadia poco a poco accetterà la situazione.  Forse un po' riluttante al principio, ma poi arriverà essere amica di Inessa.
Anzi, le due furono veramente amiche tra di loro.
Contenti loro, contenti tutti.
La bella Inessa avrà  vari incarichi politici importanti, di peso. Non per essere la amante di Lenin, non certamente per favoritismi o nepotismi, ma perché era una persona veramente molto abile, decisa.
Arriverà a essere Segretaria di un Comité pour les bolcheviques di tutta Europa. Un po' più avanti organizzerà una Conferenza Internazionale delle donne socialiste contro la guerra. Lenin la mandò in Russia, in incognito, nel 1912.  Era una missione pericolosa, per la elezione della Duma. Fu arrestata, la misero in prigione, la tennero un anno, la lasciarono libera. Lei scapperà ancora dalla Russia. E tutto sempre illegalmente, come è doveroso fare per un rivoluzionario che si rispetti. Quando tornò a Parigi andrà a vivere molto vicino alla casa dei Lenin. E poco dopo addirittura nella stessa casa. Se nella stessa stanza, non si sa. Qualcuno dice di si. Però. francamente, questi sono dettagli. Sinceramente credo che questi siano dettagli. Quando si parla o si tratta di persone eccezionali, le norme normali non sono più valide.
Sono le stesse persone eccezionali che si fanno le loro norme.
Le norme normali sono per uomini normali che normalmente seguono le norme fatte da uomini eccezionali.

Passa il tempo. Viene la guerra 14-18. E sia Inessa come Lenin si delusero terribilmente per gli atteggiamenti niente affatto internazionalisti di quasi tutti i partiti socialisti europei che chiacchieravano tanto però all'ora di decidere nei loro parlamenti sulle disponibilità per la guerra, voteranno tutti con fervore patriottico borghese per l'intervento in guerra. Viva l` Italia! … Vive  la France!…Deutschland über alles !…grideranno i popoli addomesticati.
E fu allora quando Inessa,  decisa internazionalista, si unì con Lenin per chiedere alle truppe alleate, alle truppe di tutte le nazioni coinvolte, a tutti i proletari d'Europa mascherati da militari, che con i fucili dovevano puntare ai loro ufficiali per cominciare la vera rivoluzione socialista internazionale. E non puntarli invece contro altri fratelli proletari come loro solo perchè avevano una bandiera differente. 
Ma  questo era un punto di molto difficile assimilazione nel 1914, dove l'internazionalismo, la globalizzazione erano solamente illazioni di menti giovanili prodotti  con l'acne; o dei soliti teorici adulti sognatori professionisti. Ma non erano sentiti dalla popolazione normale. Quella popolazione che si commuove veramente al veder sventolare la propria bandiera. E con l'ancora importante sacerdote, cattolico o protestante, che se non suonava il tamburo con le truppe orgogliose poco ci mancava e dava le sue bendedizioni ai vessilli spiegati. Dio lo vuole... 
E questo lo capirono bene anche Mussolini e Hitler. Lasciarono i  giovanili sogni socialisti universali e si buttarono a sfruttare i sentimenti socialisti nazionali:  il fascismo, nome inventato  per ricollegarsi ai littori di Roma;  il nazional-socialismo o nazzismo che a parte la razza, monomania sempre presente nei germanici, si caratterizza per voler distruggere una minoranza di apparente  facile bersaglio.  E  ognuno dei due interpretò il loro socialismo nazionale a modo suo, come in fondo successe anche al socialismo nazionale di Lenin, fautore del socialismo solamente in Russia, chiudendo le frontiere. 

Torniamo alla solita bomba. Viene il 1 di marzo del 1917. Tutto precipita in Russia. Cade il regime Zarista. Si formerà un governo borghese appoggiato dai Soviet di San Pietroburgo. Lo Zar Nicola II abdica. E in maggio arriva Lenin, dando termine (quasi) al suo esilio. Sarà ricevuto come un eroe.
Arriverà nel treno blindato, offerto dai prussiani. Lenin voleva pagare di tasca sua il biglietto. Ma in tasca sua c'erano marchi. Nel treno viaggerà Lenin, Inessa, Nadia ed altri importanti fuoriusciti politici. Come già accennato prima, l'aiuto prussiano ai rivoluzionari sovietici era dovuto tutt'altro che a simpatia politiche ma a un impegno preciso da parte di Lenin che se fossero arrivati al potere avrebbero immediatamente firmato la pace Russia-Germania e ceduto certi territori. Così sarebbe terminata la pressione nel fronte Orientale per il Kaiser che avrebbe potuto disporre di tutte le sue forze contro gli alleati-nemici. I prussiani finanziarono la rivoluzione di Lenin. I tedeschi si servirono di Lenin per i loro scopi; pero comunque poi persero la loro guerra e gli Hohenzollern sparirono. Invece  Lenin si servi dei tedeschi, di nascosto, apparentemente, chissà, come traditore, ma  ai suoi scopi e vinse la sua guerra. Forse, chissà, senza quei moltissimi marchisoldi ed aiuti... forse la Storia sarebbe andata un po' diversamente.

Ma fu come fu.   E quando tra poco Lenin arriverà al potere, firmerà i patti di pace separati con la Germania,  cedendo alcuni territori. Patti che daranno a Lenin il titolo di "sottomesso"da parte di tante persone compresa Inessa.
 La mente cospirativa e privilegiata di Lenin, politicamente e machiavellicamente contorta per necessità, non era stata capita. Ben per lui. Né capita né scoperta, la qual cosa avrebbe potuto portare problemini di coscienza. Lui voleva la Rivoluzione e lo Stato Socialista. Era il suo sogno. La sua fissazione. A tutti i costi. E i costi furono dolorosi, ma Lenin ottenne il suo scopo. Fare il caos e dal caos rifare l'ordine giusto.  Il suo. 

Ma riprendiamo anche noi per ordine. 
Quando Lenin era ormai arrivato col "suo" trenino in Russia, ma prima che arrivasse al potere, si era giá   formato in Russia il Governo Kerenski, certamente anti-zarista, socialista moderato ma che riteneva necessario continuare con la guerra contro gli Imperi Centrali. Lenin lo apostrofò di guerrafondaio, che voleva continuare quella guerra capitalista che il popolo russo non poteva più soffrire. Lenin capiva benissimo la realtà del momento. E offrì pace e pane. In fondo le stesse promesse elettorali di oggigiorno. Pane e pace. Panem et circenses. Le promesse di sempre. É il motivetto che tanto faceva e sempre fa presa sulle folle credule che sperano nei miracoli. Pero Kerenski, mise fuori legge immediatamente i bolscevichi. Riuscì a mettere in carcere Trotzky e Satlin, ma la lepre Lenin gli scappò dalle dita. Era fuggito in Finlandia, abilmente mascherato a conduttore di treno, senza barba e con una bella parrucca. Nessuno lo riconobbe.
Ritornò dopo tre mesi.
E il 7 ottobre ci sarà il famoso e storico assalto al Palazzo d'Inverno dello Zar. E Lenin finalmente darà il primo importantissimo passo per coronare il suo sogno: sarà Capo del Governo. E, come detto prima, firmerà la pace con la Germania. La pace necessaria per cominciare a costruire finalmente il suo stato socialista. E si rimboccò le maniche: adesso  a lavorare
Ci saranno attentati alla sua vita. Comincerà la controrivoluzione dei Bianchi, finanziati da Francia e Inghilterra, in contrapposizione ai Rossi, l'esercito di operai e contadini comandati da Trotzky e finanziati dalla Germania. I rossi vinceranno e si comincerà a formare la famosa Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche ( C.C.C.P = U.R.S.S.). E succederanno tante cose, come la creazione della Cheka, i Gulag, i grandi cambi in una società semi-feudale. Molti di questi cambi furono elogiati, molti odiati. Lenin sará amato e odiato, come del resto tutti gli uomini eccezionali, Cesare, Napoleone, Hitler... 
Ma con appena sei scarsi anni al potere, si avvicinerà la fine per Lenin. Nel 21 già stava molto male. Nel 1922 Stalin sarà eletto Segretario Generale. È di questa epoca il famoso testamento di Lenin, dove rivelava i suoi dubbi su Stalin. Il 21 di gennaio del 1924 il grande Lenin, il poderoso Lenin, il fondatore dell'Unione Sovietica, in condizioni terribili di malattia, morirà. Nadia era al suo capezzale, sempre fedele. 
E Nadia commenterà poi  che pochi momenti prima del mortal sopiro , il suo Voldia  aveva girato la testa verso il muro e aveva pianto:
Avrò fatto bene? si chiedeva.
E pianse, con la testa girata alla parete, perché nessuno, perché nemmeno sua moglie Nadia lo vedesse piangere, chissà  dubbioso. Chissà...
E comincerà subito la lotta per il potere tra Stalin e Trotzki.

Torniamo un po' indietro, adesso.  Mi pare ch stiamo giocando all'avanti e indrè
Torniamo a Parigi.
 Cosa era successo con Inessa Armand?
 Torniamo al 1917.
Quando si vide che gli avvenimenti stavano precipitando, poco prima di salire sul controvertito treno blindato che porterebbe in Russia la élite bolscevica in Russia, il grande Lenin era con la testa che gli scoppiava per sentirsi ormai molto vicino al momento decisivo della sua vita, atteso e costruito da anni. Era sinceramente socialista, lo abbiamo detto e ridetto. Sentiva fortissimo quel certo richiamo della storia che noi uomini normali non sentiremo mai. Era Marxista certo, credeva assolutamente in tutto quello che diceva sulla società senza classi del futuro mondo socialista. Ma era una realtà razionale. Ossia credeva in questo, ma con la mente e con il cervello. Ma il cuore? Emotivamente era di mentalità borghese. Era un borghese, dopo tutto. Sapeva di essere soggetto ad abitudini tipici della sua epoca di borghese. Era emozionato con le notizie politiche ma era anche innamorato di Inessa. La amava veramente. Ma, cosa gli stava succedendo? E Inessa? Cosa doveva fare?
E come  un borghese qualsiasi, ebbe paura di Inessa. Del suo amore travolgente con Inessa Armand. Del loro amore reciproco. Bellissimo in quel contorno di favola come Capri o Parigi. Ma in Russia? Poteva permetterselo ancora? Si trattava di un amore peccaminoso, adulterino e per una donna capacissima e bellissima e che non rispettava assolutamente la morale vittoriana della epoca. 
Il povero Vladimir Ilich ebbe paura di Inessa.
Ebbe il timore di non sapere di non essere borghese.
Non ebbe coraggio, Lenin. Non seppe come difendere a oltranza il loro amore. E tradì sè stesso e tradì Inessa.
Si sentiva un giuda al negarla. Ed ebbe vergogna.
Povero Lenin. Era un mucchio di contraddizioni con sé stesso. Un uomo a cavallo due mentalità. L'amore socialista o la morale vittoriana?
Decise faticosamente sacrificare il suo amore. Il loro amore. E sacrificò la sua vita. La loro stessa vita.  
Poco prima di prendere il famoso treno blindato tedesco, aveva scritto a Inessa che voleva che lei gli restituisse tutte le lettere che  le aveva scritto in quegli anni di amore e di cospirazioni. Voleva dare esempio di feroce integrità e temeva che quelle lettere, momenti di debolezza borghese, cadessero in mano dei suoi nemici politici. Era meglio cancellarle, bruciarle, come se non fossero mai esistite.
Lenin era seduto al Café du Lion. Gli si avvicinò Inessa, la donna che tanto aveva amato e che tanto amava. La guardò. Rimase pietrificato. Al vedersela così, di fronte, non seppe dirle nulla. Non si sa quello che lesse negli occhi di lei, quegli occhi bellissimi che lo avevano guardato con tanto amore. 
Delusione? Disprezzo? O semplicemente tanto dolore? Non disse nulla. Solamente sentì una frase:
Eccoti le tue lettere. Sono tutte. Non ne manca nessuna. Qui le hai tutte...E gliele tirò sul tavolo
Momenti di tremendo silenzio e poi gli sibilò:
 Sei un vigliacco...
E l'uomo, il grande uomo politico che dava discorsi e discorsi, rimase muto.
E salirono sul treno blindato, mancia del Kaiser.
Nella nuova Russia, nonostante la tremenda delusione amorosa, Inessa continuerà con la sua attività politica. Arrivó a posizioni molto importanti nel governo di Lenin. Fu membro esecutivo del Soviet di Mosca. Dette discorsi sulla necessità di liberare le donne dalla loro schiavitù domestica che impediva loro di fare qualsiasi altra cosa, in evidente ricordo della sua dolorosa esperienza personale. Integrò una missione per l'intercambio di prigionieri di guerra. Appoggiò la legislazione sull'aborto. Combatté la prostituzione. Impose, come le fu possibile, un tipo di protezione tipo maternità ed infanzia. Diresse la prima conferenza di donne comuniste. Era una donna molto anticipata ai suoi tempi, come se quello che lei voleva e faceva  fosse una normalità. Anticipata anche ai cosiddetti tempi ancicipati dell'Unione Sovietica.  Prese contropiede anche Lenin. 
Ma, arrivata ai suoi 46 anni, dopo 26 in lotta politica, ancora giovane valida e bella, morì; probabilmente di colera, improvvisamente.
Era stata un personaggio molto importante nei primi tempi dell'Unione Sovietica. E quando morì nell'ottobre del 1920, come già detto, ci fu un funerale di Stato nella Piazza Rossa. I soldati erano vestiti di gala portando il feretro a spalla. Il coro intonò una canzone...una musica. Era quella che lei più amava, la sua prediletta. Lenin era nella piazza Rossa, insieme a  Nadia, rendendo gli onori. Lenin conosceba bene quella sinfonia:  la Serenata al chiaro di luna di Beethoven.
Al sentire le note, Lenin si paralizzò... Fu quando prese e strinse forte la mano della sua fedele Nadia.
E   pianse.   
Pianse stringendo  la mano di sua moglie. E Nadia sapeva che quelle lacrime non erano per lei.
Erano per la sua amica Inessa.




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