26 set 2010

BURRO NEGRO E IL PADRE AFFETTUOSO



1965
 
Andare in automobile da Caracas alla località di Burro Negro, nel Zulia, non era un viaggetto corto.  Ci volevano nove o dieci ore di macchina, senza soste.
Laggiù  io avevo un lavoro di disboscamento  e di preparazione di terra per "favorire" i contadini di quella remota zona. Il contrattante era l´ Istituto Agrario dello Stato.  Quella località di Burro Negro non appariva nemmeno nelle cartine geografiche nazionali.
I contadini della zona più che agricoltori  erano peones; cioè poveri diavoli che vivacchiavano con qualcosa che seminavano o cresceva solo nei pochi metri intorno alla casupola che  si erano costruiti.  Su terreni di chi, non si sapeva quasi mai. Costruivano la loro casetta-capanna praticamente in mezzo alla foresta, o lungo le nuove strade  e se nessuno li mandava via, ci rimanevano un anno dopo l´ altro e riempivano le loro donne di figli. 
Questi contadini, salvo  qualche caratteristica somatica più vicina all´ indios americano che al negro e con un tipico accento strascicato, non erano molto diversi  dagli altri peones che avevo conosciuto  nei miei dieci anni di Venezuela.  Erano persone semplice, credulone, di quelli che quando danno una risposta quello che fanno è ripetere la domanda.
-Mi hanno detto che in questa epoca dell´ anno quasi non piove; é vero?-
-Si,no,non piove; in questa epoca non piove.
-Però...qualche volta piove, vero? anche fuori stagione? 
-Si, qualche volta piove, vero, anche fuori stagione.
-Quanto manca per arrivare a Burro Negro?
-Uf, le manca un po' ...
-Più o meno mezz´ ora?
-Si, come no, più o meno mezz´ ora.
-Però  mi hanno detto che per questa strada ci vorranno ancora un paio d´  ore.-
-Si, un paio d` ore .
Insomma, questa  era il tipo di la conversazione.   E il contatto che sporadicamente si può  avere con persone così semplici e pure  fa affiorare sensi di colpa.  Abbiamo permesso e spesso stimolato  che sopravvivesse la schiavitù, ovunque.  Siamo una versione moderna dei padroni di prima. Li obblighiamo alle nostre abitudini, alla nostra lingua, alla nostra religione, alla nostra morale con la promessa vana che saranno come noi.  Quando a noi, di loro, in fondo, non ce ne frega niente.
Ci credono e continuano ad obbedirci   perché  li meravigliamo ancora  con i nostri cocci di vetro colorati, come cinquecento anni fa.  Per loro noi non apparteniamo ad un altro mondo; noi apparteniamo ad un´ altra galassia.
Ecco, queste erano le fesseriole che stavo rimuginando tra me e me  durante ore di viaggio, solo, in automobile.
Dopo nove ore di macchina quasi senza soste arrivai  finalmente a Burro Negro, già sull´ imbrunire.  Lasciai la strada asfaltata  per mettermi nella stradina di terra di dieci chilometri che mi portava  al  il mio " ufficio" di campagna.  Era la casa che sembrava più casa di tutte le altre della zona.  Le pareti erano di un materiale che vagamente ricordava il cemento. Il tetto di palme secche era una magnifica difesa dal caldo afoso ed altrettanto magnifico rifugio  per quell´ insetto, il chipo, che trasmette il male di Chagas.  Il pavimento di terra costipata. C' era una stanza che avevamo adibito ad officio  e nell´ altra  potevamo dormire io ed il topografo ungherese. Avevano messo un bel paio di letti di ferro  con materasso e lenzuola perché, certo, gli europei non sanno dormire in amaca.
-Voi non avete bisogno di tutta la casa, vero ?-, mi aveva chiesto  una specie di capo villaggio che  trattava " gli affari " tra i contadini - peones e l´ Istituto Agrario. Aveva trovato lui quella casetta per poterci installare il nostro ufficetto e la stanza da dormire.
-A voi non importa se nella cucina rimane Juan con la sua famiglia ?
-No, non importa. Con queste due stanze  per noi, basta,- risposi . Che potevo dire ?  Era un ambiente tristissimo; che la cucina fosse occupata o no, era lo stesso. Dopotutto io sarei stato lì per un paio di notti ogni  tre, quattro settimane. 
Il cacique, il capo villaggio, l´affarista, insomma, insistette per ché io vedessi la cucina dove sarebbe rimasto a vivere  Juan con la sua famiglia.  C' erano   due o tre donne di età indefinita  che mi guardavano come  un marziano  ed una specie di patio  coperto da canne e pieno di mocciosetti  di cinque, sei, sette anni. Chissà una dozzina. In un´ amaca, quasi al centro del patio,  c' era una  ragazzetta dall´ aria pigra, di 12, 13 anni, quasi signorinetta, mezzo  nuda anche lei come gli altri, con il visetto  tipico dell´ india americana. E con un sorriso indefinibile. Un dolce sorriso indefinibile. - Una " Gioconda India "- pensai.
Juan non stava in casa in quel momento.
Mi misi a dormire. La mattina seguente, prestissimo, una delle donne mi portò un caffè eccellente e dolcissimo  ed un secchio d´ acqua per lavare non so cosa.  Forse perché mi lavassi io. Non c' era nessun tipo di bagno o simili, solamente un cagadero  fuori, come una garitta militare.
-Per difendersi  é meglio che vada sempre nel cagadero e non  all´ aria libera.... Perché se lei va a cagare  tra l´ erbetta  potrebbe anche morderla una  vipera o una mata caballo , qui ce ne sono molte, sa. E se la beccano  nel culo, qui siamo in tante che possiamo aiutarla; però, caro lei, se lo mordono giù di là, dove le penzola quell´ affare, ay, poveretto lei....
Il ragionamento era molto contundente.
Dovetti rimanere qualche giorno più del previsto per sopravvenuti problemi di lavoro cosicché cominciò a formarsi una specie di familiarità  tra me, Juan  e la sua squadra di donne e bambini.
Una notte che ero andato a dormire relativamente presto mi svegliai per un lamento..... un lamento che era come un pianto rassegnato, senza variazioni di tono, di una sola voce; una specie di giaculatoria  che al principio presi  per qualche tipo di preghiera. Non era un rosario, perché non  esisteva l´ assolo  con coro salmodiante così che forse poteva essere una specie di scongiuro o ....  ma che so io quello che poteva fare quella povera gente lì !  Siccome la litania continuava mi alzai per curiosità per vedere cosa succedeva nella cucina-salone-patio-stanza delle amache.
Naturalmente  non c'era  luce elettrica.  Però la notte d` estate era chiara e con luna.
Nella penombra intravidi  prima la donna della cantilena. Era accovacciata in un angolo dello stanzone, con lo sguardo fisso all´ amaca che dondolava nel centro.  E la litania, si, era una cantilena  e finalmente captai che, gemendo in un rimprovero rassegnato, la donna piagnucolava e diceva:
- Cochino..cochino...cochino ... porco, porco,  sei un porco, porco......-
Forse era  il soffio di quel lamento che dondolava l'  amaca. E nell´ amaca c' era steso Juan, supino, che  sembrava dormisse. Si certo, Juan, l´ uomo della casa. L´ unico uomo della casa.   Però si intravedeva un´ altra ombra nell´ amaca. Ah, certo, era la ragazzina di tredici anni, la dolce  Gioconda india. Ma...che faceva lì, con suo papà?
La Gioconda  stava a cavallo nell´amaca, seduta sul grembo di suo padre e le due gambette di adolescente, aperte, appena toccavano il pavimento.
Non stavano giocando al trucci trucci... Stavano tranquillamente fornicando con tutti i movimenti che vuole madre natura in questi casi, davanti a tutti, davanti alle altre donne, davanti alla caterva dei mocciosetti e davanti a me  che mi sentii riempire di vergogna.
La bambina continuava a guardarmi mentre seguitava con i suoi movimenti ritmici, lenti; che non avevano nessun furore erotico ma pareva compissero un specie di rito inevitabile. E mentre mi guardava continuava a sorridermi, con  quell´ indefinibile sorriso della Gioconda.
Appena mi vide, la donna dei lamenti aumentò il tono della voce mantenendo  l´ uniformità della  litania. Forse era una maniera per avvisare della mia presenza o chissà per  scuotersi dal sopore.
Me ne andai immediatamente nella mia stanza. 
Il giorno dopo, sul lavoro, Juan mi si avvicinò. Io ero imbarazzatissimo e lui, con gran naturalezza, mi disse:
-Senta, dottor Aldo.  Ci ha fatto caso lei di quanto está buena  mia figlia ?  Certo, sua madre, la vecchia, certo che non vuole. Cerca di rompermi le balle come può, come ieri notte.  Però, sia franco, mi dica, dottor Aldo: le pare giusto a lei che io  lasci mia figlia perché se la scopazzi qualsiasi figlio di puttana  che passa di qua...?
Con un sorriso che non dimenticherò  mai, aggiunse:
-Neanche a pensarci...Neanche a pensarci...Mia figlia non se la scopa nessuno.  Mia figlia me la scopo io!