13 dic 2010

Come una cravatta


(Testo originale in spagono in “Venezuela, qué vaina”,
Alfadil Ediciones, Caracas, 2001.)

Nel '67 ottenni con il Ministero dei Lavori Pubblici il lavoro più facile di tutta la mia carriera di appaltatore; e che, tra l´ altro, mi rese molto bene economicamente. Forse perché a quell' epoca io avevo un socio direttore di lavori onesto e lavoratore, o forse anche perché non ero ancora arrivato al mio " limite di competenza".

(E´ la teoria di uno studioso americano, un tal Peter, che sostiene che tutti siamo governati, diretti e amministrati da incompetenti. Lui sostiene che l´ uomo sempre aspira ad arrivare un poco più in là delle sue vere capacità e quando ci arriva si rivela la sua incapacità o incompetenza e si mantiene a quel livello. Una gradino più in basso e sarebbe competente, starebbe alla sua altezza.)

-Il nostro contratto di appalto consisteva nel disboscamento del bacino del fiume Tulé, dove si sarebbe poi costruita una diga. A me corrispondevano 4.000 ettari ed altri 4.000 ad un altro appaltatore italiano . Il Ministero supponeva che durante i solo quattro mesi della stagione secca una sola compagnia non ce l´ avrebbe fatta a disboscare gli 8.000 ettari, così che contratto la metà ad un appaltatore e l´ altra metà ad un altro; senza contare che i due appaltatori eravamo grandi amici. L´ appaltatore italiano mi chiese se io ero in condizioni di poter disboscare anche i suoi 4.000 ettari, dissi di si, convenimmo un 10 % di commissione per lui.

Il mio amico e socio Valerio, italiano di Anzio, rimase nel campo come direttore di lavori e si iniziò il disboscamento. Io me ne tornai all´ ufficio di Caracas. Una settimana dopo Valerio mi manda ad avvisare che c'erano gravi imprevisti sul lavoro... e che se era possibile rescindere il contratto...e che lui aveva sospeso i lavori e che non rimarrebbe là per molto tempo ancora.

Mi precipitai a Maracaibo col primo aereo.

-Dottor Macor.- mi disse subito, affannato.- Qui c'è gente cattiva. Gente pericolosa. Questi non sono i venezuelani che abbiamo conosciuto finora , sa.... -

-Che è successo, Valerio? -

Che é successo, che é successo ! Finora non é successo niente, ancora....Si figuri, dottor Macor, che io tutte le mattine porto con i camioncini gli operai sul posto di lavoro; li porto io personalmente, sa, perché senno 'sti tipi qui arrivano sempre tardi; così che sempre li porto io, coi due camioncini. E dalla casa dove dormiamo tutti, mezzo accampati, fino al posto di lavoro , là alla diga, si passa per una stradina di terra; e la stradina passa per un villaggetto, mezzo indio... e allora, sa che succede, eh, sa che succede?....Valerio diventava sempre più nervoso, si emozionava parlandomi. .- Eh, lei non lo sa, però lo so io. Io devo passare di fronte alla casa di un tipo che é mezzo indio, mezzo negro, mezzo bianco, che é il cacique, é il capoccia della zona, sa...

-Gran Capo Indio ?.- Lo interrompo mezzo ridendo. -

-Eh, si , mo lei ride... C'è poco da ride, sa? Ma qui ce só davvero li grandi capi, come dice lei .., e sto tipo m'é zompato fori de casa sua, tutto incazzato, s´e piantato ´n mezzo a la strada de tera e m´ha detto :

-Stai a sentire, italiano. Tu già sei passato troppe volte di fronte a casa mia e m´ alzi ogni volta un polverone della madonna... Adesso basta, eh....Già m' hai rotto le palle. Se passi un´ altra volta, hai capito, un´altra sola volta e mi alzi ancora tutto 'sto polverone, ti cade addosso il Nodo di Cravatta....

Valerio s´ interruppe per scrutarmi ed essere sicuro che io avessi capito bene.

-Si, certo, Valerio , ho capito che lo hanno minacciato. Ma...cos´ è questo Nodo di Cravatta ? -

-Ah, ecco, vede ? Vede che non lo sa ? Certo, perché lei se ne sta a Caracas, in ufficio, l´aria condizionata...io lo so, dottor Macor , che il suo lavoro a Caracas è importante, se lei non prende i lavori, che lavoro c´ ho io? ...pero qui, che cazzo, qui c' ho da sta' io, ´n mezzo a 'sti fregni , c' ho da stà.... E lei nun sa ched' è er Nodo de Cravatta.....

_A Vale'... ma mi dica un po' cosa è questo benedetto nodo di cravatta! - Cominciava a venirmi da ridere perché Valerio era sempre più nervoso e sembrava un ragazzetto quando lo scopri in mezzo a una delle sue marachelle.

-Il Nodo di Cravatta è che ti beccano, ti tagliano la gola qui sotto, vede ? qui, sotto la gola e ti tirano fuori la lingua... e la lingua te la fanno penzolare fuori, come una cravatta. Si, una cravatta con la lingua! Ma te pare possibile ? Ma manco per cazzo....Io qui nun ce stò....Mi dispiace, si cerchi un´ altra persona... figurarsi, il nodo di cravatta con la mia lingua, il nodo con la mia lingua...- E Valerio si allontanava da me sempre di più, come il terrore di un vade retro , fino a formare un gruppo con gli operai che stavano lì, seguendo la conversazione. Anche loro erano spaventati. Mi fece una certa impressione vederli tutti uniti, quasi contro di me, il socio di città, che sta nell´ aria condizionata.

Il giorno dopo andammo insieme sul lavoro. Il gran capoccia della zona aveva detto che voleva parlare con il capo della compagnia, da capoccia a capoccia. In un primo momento avevo pensato di portare con noi qualche ingegnere del Ministero perché ci fosse qualcosa di più ufficiale; ma poi una certa intuizione mi suggerì che era meglio andare soli, Valerio ed io, per vedere se si poteva arrivare a qualche accordo " all´ italiana".

-E cosi fu.

Il Gran Capo ci ricevette nei suoi domini con una faccia seria, poco socievole. E cominciò a sbraitare che per loro, gli indios de la zona, il governo non faceva mai niente. Che la diga era per dare acqua a Maracaibo, che a nessuno gli interessava un villaggio di indios come loro e che dovevano difendersi da soli, come potevano....

-Bene, cosa è che lei vuole che le facciamo, Capo ? - lo interruppi nella sua lista di lamentele. - Se sarà possibile, lo faremo.-

E lo guardai diritto negli occhi, cercando di dare al mio sguardo la espressione più dura possibile, come compete ad un Capo, di quello che loro chiamano " un uomo che si rispetti". E mi viene in mente, adesso, Leila, quella distinzione tra uomini e quaraquaquà, mi sembra di Dicrescenzo.

Bene, per tornare a bomba e farla breve, il pover uomo voleva che spargessimo un po' di RC2, un po' di asfalto liquido su cinquecento metri di quella stradina di terra che passava di fronte alla casa sua e dei suoi amici per evitare tutti i nostri polveroni.

-Lei sta chiedendo molto- gli mentii, sollevato, perché era una richiesta da niente. - Però lo faccio. Lo faccio per lei. Perché lei é un uomo di coraggio, un hombre valiente, che sa difendere la sua gente.

Il Gran Capo rimase soddisfatto, perché gli dissi questo di fronte a tre o quattro compagni suoi.

Qualche settimana dopo tornai alla zona e mi offrì una indiecita perché mi scaldasse il letto durante le fredde notti nella zona.

Forse rimasi con un´ espressione incerta perché considerò opportuno aggiungere:

-Lei può stare sicuro, sa? Perché quella che le sto offrendo è...Vede quella donna là ? - e mi indicò con le labbra, quel tipico gesto venezuelano di indicare con la bocca, una india, già passatella, che stava in un gruppo di donne decisamente vecchie.- La vede ? Bene, quella che le offro é la figlia di quella li, una che io ho avuto da lei. E allora mi indicò, sempre con le labbra, una indiecita caruccetta con degli occhietti cinesini spaventati.

Devo aver avuto subito una espressione di sollievo. In quella situazione nuova per me avevo supposto che mi stesse offrendo sua moglie, la passatella. Diritto di ospitalità india ? Sarei stato obbligato ad accettarla ?

La mia espressione di sollievo fu logicamente interpretata come accettazione, così che il Gran Capo concluse:

- Quando lei avrà finito il suo lavoro qui, se la ragazza le é piaciuta, può tenersela, sa; e se la può portare dove vuole, per qualsiasi cosa. Però se se la porta a Caracas, fuori dalla zona, allora me la deve pagare. Con 100 bolivares se la può portare dove vuole. ( Bs 100 = $ 30 della epoca)

L´ "uso" nella zona era considerato ospitalità; fuori della zona era vendita. Paese che vai.....

Quando tornammo in ufficio il mio amico Valerio, ormai tranquillo con il problema del nodo alla cravatta, cominciò a ridersela come un matto.

-E mò voglio vedere io come fa lei a uscire da questo imbroglio... e se le dava la vecchia ? - E se la rideva perché adesso il problema era mio. - Però l´indiecita está linda , dottor...tiene unas teticas .... E mò che je dice lei a su` moje si se la porta a Caracas ? Ah, però lei e io siamo soci, dottore, è vero ? Daje, daje, che se lei non vuole la indiecita - e si spanzava dal ridere, sto benedetto Valerio,- o se lei non può.....- e giù che se la rideva - alla indiecita ce penso io....

9 dic 2010

Le Santissime Palle


(Testo in spagnolo pubblicato in "Venezuela, qué vaina", Alfadil ediciones, Caracas, 2001)

Nel 1995 venne a visitarmi nel mio studio un sacerdote cattolico. Non con carattere di sacralità, ma semplicemente come amico. Lo stimavo perché era un uomo brillante ed era possibile con lui avere una bella conversazione libera da qualsiasi freno dogmatico ; cosa difficile ottenere da sacerdoti di qualsiasi religione dove il dogma è qualcosa di impenetrabile.

Si detenne di fronte ad una scultura, un altro rilievo di medie proporzioni, che non avevo fatto per incarico, ma semplicemente per fare una prova: un Cristo Risorgente. Volevo che nella rappresentazione una della gambe fosse diffusa come uscendo dalla materia, per dare profondità al rilievo del soggetto che esce da qualcosa; con un movimento verso un determinato punto di prospettiva. Quello che in gergo si chiama prova d' artista.

Al mio amico piacque molto e gli regalai una copia in gesso.

Dopo qualche settimana apparve un` altra volta nel mio studio, ma questa volta accompagnato da due sacerdoti, un laico mezzo prete ed un laico tre quarti prete. Mi chiesero se avrei potuto riprodurre il mio piccolo cristo risorgente a grandezza maggiorata, quasi tre metri, per l´ altare maggiore di una chiesa. Dissi di si.

Ci ponemmo d' accordo sull` aspetto economico. Il finanziatore era il laico mezzo prete con speranza di comprare un' entrata intera al paradiso dei giusti e dei finanziatori.

La scultura venne bene, piacque al parroco della chiesa, ai beati ed ai curiosi. Si inaugurò.

La inaugurazione in caso di immagini sacre o al meno di quelle sacre cattoliche, implica la consacrazione da parte del vescovo. Perché la scultura si trasformi in oggetto di culto è necessario l´ intervento di un funzionario della chiesa. Venne il vescovo, benedisse la scultura, i devoti cominciarono ad inginocchiarsi e siccome tutti i salmi terminano in gloria, terminammo nella gloria di un magnifico capretto in salmì offerto dalle pie cuoche.

Tutti si congratularono con me e me ne tornai a Caracas.

Un mese dopo mi chiamò il parroco. Mi chiese che per favore andassi da lui per risolvere un problemino che era sorto.

Andai immediatamente.

Il parroco mi condusse all´altare maggiore dove il mio magnifico cristo, con le braccia aperte e una gamba uscendo dalla vile materia continuava a risorgere alle glorie del cielo..

-Meno male, pensai- non è successo niente.

Il parroco mi condusse, previa genuflessione, al fondo dell´ altare; appiccicò la sua testa al fondo parete e torcendo il collo verso l'alto mi confessò:

-Vede, Macor, io so che magari lei si metterà a ridere. Alcune delle signore della chiesa mi hanno detto che se uno si mette al fondo dell´ altare come sto facendo io adesso e guarda torcendosi in su, si possono intravedere sotto il...manto sacro....i...i...i testicoli del Signore. Macor, per piacere, lei deve risolvermi questo problema-

Non lo potevo credere. Le rappresentazioni plastiche di quasi tutti i cristi del mondo raffigurano un giovane uomo nudo o seminudo. E così lo modellai io, nudo completo. Poi per prudenza e seguendo la falsa tradizione che vuole coperte le "vergogne", le coprii con lo straccetto di sempre. Ma sotto la tela, c'era quello che doveva esserci. Quindi, certamente se uno, o una, si prendeva la briga di oltrepassare l´ altare, fare un paio di genuflessioni, arrivare al fondo parete, appiccicarvi la testa, rischiare ernie cervicali per torcere la testa in su, non vi era dubbio che si potesse vedere quello che non si doveva vedere.

-Dissi al prete:

-Lei sa cosa mi succederà il giorno che io crepi e mi presenti lassù?

-Il povero uomo non sapeva cosa dirmi.

-Cosa, Macor?

- Il Padre Eterno mi chiamerà al suo cospetto: "Ah, così che lei sarebbe quello scultorello che ha tolto le palle a mio figlio? al mio unico figlio? Pietro! Sbattilo immediatamente là sotto!"

Il mio argomento non valse gran cosa. S` impose il potere delle beghine.

Ridussi i Santi Testicoli.

E adesso vivo con la paura del Futuro Incontro.

5 dic 2010

Lilit o Lillit o Lilith


(anno della creazione o del pitecantropo)

Chi era questa signora o signorina Lilit o Lillit o Lillith ? Prima di tutto bisogna subito chiarire che non si può assolutamente darle una data di nascita. Chissà nel 4.004 avanti Cristo, chissà nel 4.700 o forse ancora nel 5.872? Gli esperti non concordano La faccenda, carissimi, é che stiamo parlando della data di nascita del primo uomo, e quindi della prima donna. E da allora le prime donne sono state sempre un gran problema per tutti. Pertanto i nostri cari espertissimi esperti hanno, ciascuno di loro, la propria versione sulla quale giurano e spergiurano: Il Pentateuco Ebreo dice una cosa; il Pentateuco Samaritano ne dice un`altra; la Bibbia dei Settanta giura e rigiura che la data è un`altra ancora. E' meglio che non andiamo a cavillare sui conti dei Babilonesi, sempre presenti in caso di calcoli; nemmeno dei Sumeri o addirittura dei Veda, per non complicarci ancora di più la vita. Forse un bel giorno troveremo un bel cadavere ben conservato, antichissimo, chissà dello stesso Adamo: faremo il famoso ADN , lo clonaremo, lo lasceremo finire di inghiottire in santa pace quella mela rimasta sul gozzo e gli chiederemo quando è nato. Ed essendosi abbuffato, come è notorio, dell ' albero della conoscenza, saprà tutte le lingue del mondo e potrà rispondere a tutte le nostre domande ansiose. In ogni modo, pur senza sapere la data esatta di nascita per festeggiare il compleanno con chissà quante candeline, qualche centinaio di millenni prima o centinaia di millenni dopo, la nostra Lilith è stata la prima moglie di Adamo. Questo é sicuro perché lo dicono tutti. E se per una volta sono d’accordo Ebrei e Mussulmani, dovrebbe essere vero o ci facciamo HARE KRISHNA.

“Come è possibile?” mi chiederà qualche rompipalle di sempre. “ Non era Eva la prima moglie di Adamo?”

Mi dispiace. Devo dire di no. Certa letteratura rabbinica parla di una indefinita Lilith come prima moglie di Adamo. Pare che le cose siamo andate cosi: sembra che Yehovà abbia creato prima l’uomo e poi Lilith, con lo stesso materiale, ossia polvere o creta polverosa alla quale aggiunse astutamente un po’ d’ acqua. Tutti e due con lo stesso materiale, quasi allo stesso tempo perché vivessero insieme felici e contenti con parità di diritti e doveri. ( anche se per precisione storica si deve chiarire che la “polvere” riservata per Lilit non era esattamente della stessa qualità di quella di Adamo, ma un pochino contaminata; chissà poi perché. Forse il solito machismo anche nel Massimo Fattore che appare persino nelle origini ). Lilith, quindi non sarebbe la famosa donna nata dalla costola di Adamo, quindi parte di Adamo e pertanto sottomessa a lui. Ma a una donna con gli stessi doveri e diritti dell´uomo, emancipata, una femminista ante litteram , una specie di suffragette . E questi diritti li pretendeva anche nelle relazioni maritali. Cosi che nostra amata Lilit, sempre secondo certa letteratura rabbinica, non accettava la sotto missione all`uomo nemmeno nel momento del coito. Niente di Incubus, niente di Succubus ma tutti e due uguali: una volta io ed una volta tu, a turno. Uno sotto e uno sopra. Niente di sole posizioni alla Ministro Protestante Calvinista , come nei secoli a venire avrebbero ironizzato le ragazze della Melanesia. E nemmeno voleva che Adamo le desse ordini con la sua supposta autorità di uomo, perché anche lei era stata fatta ad immagine e somiglianza di Dio. Non indaghiamo qui se Dio era uomo o donna. Lei diceva: “Dio ci ha fatto uguali, allo stesso tempo, con la stessa materia e non vedo perché io dovrei esserti sottomessa in tutto!”.

Chissà non aveva tutti i torti. Però Adamo considerò queste pretese come offese imperdonabili, una insopportabile mancanza di rispetto ai suoi attributi di maschietto.

I sacri testi rabbinici non arrivano a occuparsi di sciocchezze come se Adamo la prendesse a calci e pugni per la mancanza di rispetto. Però la faccenda è che i due si separarono, per sempre. Alcuni dicono che Lilith se ne andò da casa sbattendo la porta. Altri che Adamo la cacciasse a calci nel sedere.

“Lasciami tranquillo! Preferisco stare solo!”

Sia come sia, sembra che Lilith cominciò a darsi da fare nella Penisola Arabica. Certo una donna sola, una bella donna, nel deserto di Arabia...cosa poteva fare? Conobbe, nel senso biblico, ovviamente, una enorme quantità di diavoli o demoni del genere MASCHI e con questi cominciò a fornicare e procreare allegramente figli su figli che si conoscono come LILIM.

Strilliamo, sgridiamo, gridiamo, alle volte ci scappa anche qualche ceffone, meritatissimo, però non possiamo vivere senza di loro. Così che Adamo era rimasto solo, senza compagna. Certo, esisteva il cane, il famoso amico fedele dell`uomo che lo guardava con compassione. C'erano anche le cagnoline e le femmine di tutti gli altri animali. Adamo, poveretto, provò anche un po' con loro ( sempre secondo certa letteratura Rabbinica) ma senza gran che di gusto. Allora si rivolse a Dio, che stava li vicino , si sa, e stava sempre da ogni parte, in cielo in terra e in ogni luogo. "Anche io voglio una compagna che sia come me..." poi ripensandoci un po, disse " Beh, quasi come me... perché mi sono proprio stufato di fare all`amore con le caprettine, anche se sono veramente graziose ".

Allora Dio finalmente comprese che Adamo aveva ragione, che aveva bisogno di una vera compagna, di una donna vera e che il sistema della Parità di Diritti e Doveri non poteva funzionare ancora. Così che l' Infallibile, il Misericordioso, dice il Corano , comprese di aver sbagliato e siccome non c' era nessuno al quale chiedere perdono, lo chiese a Se Stesso. E approfittando del famoso sonno di Adamo, con un bel bisturì mai usato prima gli tolse una costoletta e fece Eva. Però ribadendo che in questo caso chi comandava era lui, l' uomo, fatto a Sua immagine e Somiglianza. E...la petite diffèrence ? I Testi Sacri non entrano in questi dettagli.

Tutto quanto detto fino a qui, secondo certa Letteratura Rabbinica. Andiamo a vedere adesso cosa dice la Coranica.

Dopo la famosa abbuffata di mele, una volta sbattuti fuori dal Paradiso in malo modo, Adamo cadde in Sarandib o Ceylon o Skri Lanka, o come si chiami oggi: e da quelle parti c`é ancora l`orma grandissima che Adamo lasciò con un piede cadendo da quelle altezze. Eva invece cadde in Jidda, in Arabia. Un po' distantini , l`uno dall' altra, tanto è vero che potettero incontrarsi solo dopo la bicocca dei 200 anni. Però. appena incontrati, si abbracciarono felici e contenti e vollero seguire con entusiasmo le istruzioni del Misericordioso, e sotto a fare figli: meglio tardi che mai. E da allora nacquero i primi personaggi con ombelico, i famosi Caino e Abele. Prima uno e dopo l`altro, ma ciascuno con la propria sorellina gemella tutto fare. E così si spiega la popolazione del mondo; e che l' incesto era agli inizi delle civiltá, tutto secondo i Disegni Divini. Dopo altri parti gemellari nacque Set però senza sorellina gemella ed allora si dedicarà all`onanismo e alla vita spirituale. Eva continuerà ad avere figli e da qualche parte si dice che Adamo ne lasciò la bellezza di 40.000 tra figli e figlie. E come cosa curiosa, sia la letteratura Rabbinica come la Coranica, non parlano affatto dei nomi delle figlie-spose-madri: salvo alcune pochissime eccezioni, silenzio assoluto. Così che la discriminacione verso il gentil sesso, data da vecchia data.

L'ambulatorio di Vincenzo



Dottore…mi fa male il dito piccolo del piede…
Si svesta, signorina

Roma: 1954
Mi ero laureato in giurisprudenza, qualcosa che né ansiavo né amavo da matti. Con mia grande sorpresa poco dopo vinsi un Concorso Pubblico che mi darebbe una carriera tranquilla e sicura nell’ amministrazione dello stato. Divenni funzionario Gruppo A del prestigioso E.N.P.A.S. Però all`anno preferii lasciare la sicura monotonia dell´assistenza agli Statali per la venturosa e romantica ricerca di chissà che nel voluttuoso mar dei Caraibi.
Avevo 25 anni. Pochissimo prima di varcare il Mare Tenebroso mi venne il ghiribizzo incosciente e irresistibile di fare uno scherzo ad un caro amico e che per poco terminò con una sincera amicizia-. Vincenzo ed altri tre amici comuni, laureati in Medicina da un anno con i pochi soldi loro e il buon aiuto degli orgogliosissimi padri, affittarono un vecchio garage in una quartiere popolare di Roma.
Dopo 50 anni si può anche dire ! Era al Trionfale.
Lo pulirono, lo rabberciarono, lo pitturarono con un bel bianco ospedale ed anche io partecipai alle operazioni di lavatura e stiratura. Si riuscì a trasformare quello sporco e puzzolente garage in un fiammante ambulatorio. Con mobili tutti nuovi, scrivanie, mobiletti, salottino di attesa con poltroncine e sofà vezzosi, più naturalmente utensili arnesi strumenti cotone e tutto quello che si supponeva servisse alle prime visite ambulatoriali. Vincenzo era comunista spaccato filosovietico, scriveva qualcosa sull`Unità, ammiratore di Stalin e, in quell’ epoca, con un alto senso del dovere sociale. Lo apprezzavo molto.
Ed io? Uscito da poco dalla disillusione del fascismo che mi lasciò attonito, incerto,deluso, scettico, come la maggioranza degli italiani, vivevo in un limbo e nella capoccia avevo alla rinfusa Marx, Croce, Sartre, Hitler, Labriola, Lenin, Marcuse. A quei tempi era di moda il socialismo con varie sfumature nella letteratura, arti plastiche, cine, teatro. Compresi i bordelli, dove la tariffa minima, la celeberrima marchetta da cento lire si chiamava La Proletaria.
Bene. Una volta terminato di allestire il “ nostro “ ambulatorio bisognava inaugurarlo. Varie proposte: come fare una orgia collettiva come saluto a la vita di studente; o addirittura festa seria con papà, mammá e sorelline- Prevalse ed accettammo tutti la opinione di Vincenzo, il comunista con senso sociale. Si pose un bell`avviso sul portone, che scrissi io in caratteri gotici, chissà perché: Prossima apertura dell`ambulatorio trionfale il giorno tale e tale, Nell’ occasione si faranno visite ambulatoriali gratis a tutti quelli che le richiederanno, sani o malati. Firmato : I Quattro Medici. Referendato Il Legale, ( la mia firma ). In questo quartiere popolare non si era mai visto un Ambulatorio tanto bene concepito, pulito elegante, perfino con aria condizionata. Dissero che era all’ Americana. A quei tempi l`americano non era ancora diventato l`Americano Brutto ( the Ugly American, del 58 ).
La cellula comunista, nella quale Vincenzo aveva alcuni correligionari, intervenne quasi completa, orgogliosa che i dottori fossero Compagni dottori. Qualcuno venne anche con il fazzoletto rosso, ma Vincenzo, saggiamente,chiese loro che se lo togliessero perché disse che il medico è medico di tutti, anche dei figli di puttana e delle puttane stesse. E questa chiara allusione alla borghesia produsse una ilarità straordinaria ed una franca simpatia da parte dei veri proletari verso di noi e ruppe certa timidezza di alcuni di loro.
Il massimo dell’ allegria la dette un “compagno” trattore che offrì tra gli applausi una bella porchetta alla Romana con qualcosa di vino bianco dei Castelli.
Bene. L´Ambulatorio funzionava. Gli amici medici si alternavano, facevano cassa comune ed a volte io passavo per li, verso sera, per andare a mangiare una pizza colla foyetta dal famoso trattore che era diventato amicone. Alle volte ci offriva gratis:
-Oggi nun pagate. M`e annata bbene. Je prenderó un po deppiú a quelli milanesi la...-
Ed una sera. Già quasi di notte arrivo all`ambulatorio e Vincenzo era solo.
Mi dice, come sollevato:
- Aldo, per favore, Rimani tu qua,. Non é e ancora ora di chiusura ma mi hanno chiamato d`urgenza a casa di un tipo. Devo vedere di cosa si tratta. Vado e torno. Se viene qualcuno fallo entrare. No so quando, pero arriverò presto.-
E scappò violando con il suo Fiat Giardinetta.
Rimasi solo, a sfogliare le riviste e dopo poco suonano alla porta. Grado dallo spioncino e vedo una ragazza, evidentemente della zona, vestita da casa, carina, con un petto generosissimo, gli occhi alla Gina Lollobrigida. A quei tempi quando una era bona, si diceva: come la Lollo, del tipo appetitosa.
Non so cosa mi successe. Francamente non lo so. Nemmeno a distanza di anni posso spiegarmelo. Sembrava come se dovessi recitare un copione. Prendo un camicione bianco di uno dei medici, mi metto al collo lo stetoscopio e apro la porta.
Entrò la ragazza, niente timida, ma non con l`aria della puttanella.
- Stavo cercando il compagno Vincenzo. Ma immagino che con lei è lo stesso, vero?
- Be´. Si…siamo amici, però…
- Anche lei è compagno?-
Che cazzo potevo dirle?
- Si, certo,anch`io.
- Ah... piacere, compagno. Posso passare? Mi puoi visitare? O sei occupato?
Che cazzo potevo dirle?
- No, no, non sono occupato, stavamo per chiudere. Ma...entra, compagna, in cosa posso esserti utile?
Ma senza quasi aspettare risposta, si mette nel lettino di visite, fa come per svestirsi e mi chiede:
-Devo svestirmi, vero? Compagno Dottore?
-Bene...bene... dipende….dipende da quello che hai.
- Cosa ti senti? E dove ?
Ed io cominciavo a impaperarmi.
- Ah... mi fa male qualcosa qui, nel ventre, nel basso ventre. Vedi? Tocca, Tocca, senti? Senti tu qualcosa di duro?
Qualcosa di duro…
Certo che stava formandosi qualcosa di duro…
In quel preciso momento si apre la porta.
Era Vincenzo che tornava.
La ragazza si alza sul lettino, tranquillissima, si copre il seno con qualcosa...
- E´lei il compagno Vincenzo?
- Si... Sono io... sono io...
E mi guardò.
Non mi dimenticheró mai il suo viso. Era normalmemte di lineamenti gentili, quasi femminili. Ma adesso aveva tutti muscoli della faccia in tensione. I masseteri erano come palline di golf. Noto che stringe i pugni. Guarda la ragazza.
Senza guardarmi mi sibila:
- Grazie, Collega. Mi incarico io del paziente.
Non potevo rimanere nell´Ambulatorio. Cosi che uscii, con la coda tra le gambe. Non ci vedemmo più, perché ai pochi giorni come era già previsto io attraversai il mare Tenebroso per l´America.
Però, nonostante il tanto tempo fuori Italia, ogni fine d`anno ci mandavamo cartoline o bigliettini di auguri.
Lo rivisi da poco. In uno di questi ultimissimi viaggi miei in Italia. Lo cercai sull`elenco abbonati. Professore e Dottore. Specialista...Andai a casa sua. Appartamento elegantissimo, di molto gusto. Lo studio medico al piano di sotto. Non gli chiesi nulla del vecchio ambulatorio, né se era ancora comunista. Da tempissimo era ormai caduto Stalin, il suo vecchio idolo, era caduta la Unione Sovietica, caduto tutto il suo mondo, come era caduto il mio.
Mi presentò sua moglie, una gentile elegante e sobria signora attempatella che ci offrì un Martini con oliva greca nera. Ed andammo solo noi due a cercare una rosticceria come nei tempi passati.
- Andate voi due soli. Sono cinquanta ani che non vi vedete, vero? Avrete tantissime cose da raccontarvi. Vincenzo ultimamente mi ha parlato di lei, talvolta. –
Si ritirò con un sorriso dolce. Aveva degli occhi che da giovane dovevano essere stati bellissimi...
Fummo a la vecchia pizzeria dove la pizza costava 100 lire. Ricordammo cose passate, gli entusiasmi politici, sogni, delusioni, successi, amori. Non so come fu che mi azzardai a domandargli:
- E con quella famosa ragazza dell`ambulatorio, come andò a finire?
Mi guardò un lungo momento.
- Me lo chiedi come se fosse cosa di tre anni. Ed è passata tutta una vita...
Finalmente mi disse che per una pagliacciata cosi potevano radiarlo dal Collegio dei Medici.
E continuava a guardarmi.
Tutti e due, di settant’anni, continuavamo a mangiare supplì perchè la pizza era un po’dura per i nostri denti.

- Aldo, quando sei venuto a casa, oggi, non la hai riconosciuta?

15 nov 2010

La Paternitá in Porto Ordaz e San Pietro a Roma


Nel 1992 si inaugurò in Porto Ordaz  il monumento alla Paternità.  Quella scultura mia, secondo mi dissero, era la più grande che si fosse fuso in Venezuela; anche se poi io non sono proprio sicuro che sia certo.  In ogni modo, sia o no meritevole di questo Guinnes  venezuelano,  per la fusione si usarono più di novecento chili  di bronzo  e si superarono felicemente  vari problemi tecnici. E, detto incidentalmente, dovuto alle folcloriste  interpretazioni della  amministrazione dello stato, me la pagarono con molto ritardo  e ancora manca una parte.
Ma non era questo che volevo dire.
Pochi minuti prima dell'  inaugurazione  mi si avvicinò una ragazza, una giornalista di una pubblicazione locale, per farmi un'  intervista.  Chissà perché, forse per via di quello gnomo ridanciano e mattacchione  che alle volte mi  suggerisce bugiette  e  a prendere benevolmente in giro me stesso e gli altri, cominciai a parlarle de certe sculture a Roma.  E mi venne di parlare della statua in bronzo di San Pietro, nella basilica di San Pietro. Le dissi che  era stata fusa  molti secoli addietro e che il suo piede  destro, quasi nudo come è di prassi nei sandali del pescatore, fuoriesce  un poco dal piedistallo, invito ai fedeli perché lo notino. E lo hanno notato tanto che per secoli si sono inginocchiati di fronte alla statua  ed hanno accarezzato e baciato il piede del santo.
-Tutto scorre e con il tempo il piede del santo si è consumato, - dicevo io alla giornalista  che con compunta professionalità  annotava tutto in un suo libriccino, - di modo che adesso il piede del povero san Pietro  quasi non ha più dita.-  
Qui intervenne ancora il mio gnomo mattacchione  che mi obbligò a dire  alla giornalista che qualcosa di simile  succederebbe alla mia statua della Paternità.  La ragazza mi guardò curiosa.  Aveva dei bei capelli biondi che giocavano a rimpiattino con il sole.
-Però la mia non è la statua di un santo, - le chiarii. - Rappresenta un giovane padre, nudo, bello, che mostra la sua forza e la sua virilità; e che si inginocchia  per prendere in braccio il suo figlioletto e lo alza sopra di sé. La statua rappresenta  l´ amore del padre verso il figlio e un invito a popolare queste zone, come un inno alla procreazione, alla fecondità.
La ragazza continuava a scrivere   sul suo taccuino.
- Lei deve aver notato che  nella statua del padre  è bene alla vista il membro virile, - continuai.
 La ragazza ebbe un momento di indecisione, poi continuò a scrivere.
-Secondo certe  tradizioni greche e romane- continuava a suggerire quel mio bugiardo  gnomo mattacchione,- la statua di un uomo che rappresenta la paternità è di buon augurio per le  vergini candidate a nozze.   Quando volevano sposarsi o aver discendenza, si avvicinavano alla statua, toccavano,  accarezzavano e baciavano il  membro virile  - così come in altro contesto fanno col piede le pie donne in San Pietro -  per aver fortuna, trovar marito ed essere prolifiche.-
-La giornalista era sempre più nervosa,  però  continuava a scrivere imperterrita.
- Così che lei, señorita, potrà pubblicare nel giornale che lo stesso succederà alla mia Paternità. Tra qualche tempo quella parte della scultura sarà   più  lucida  e avrà perso la patina iniziale  per tutte le carezze e bacetti  delle ragazze di qui che vogliono sposarsi.  Sarà di un bel colore bronzo oro.-
Poco dopo cominciò la cerimonia ufficiale.

Ttempo fa il mio amico Claudio di Porto Ordaz  mi ha telefonato per dirmi:
-Senti un po`, Aldo.  Cosa è successo con  il pirolino della tua statua? E` come se avesse perso la patina, è di un colore differente,  sembra che abbia il pirolino d`oro... .Sarà che è stato fuso male ?
-Non lo so, Claudio. Non ho idea.-

11 nov 2010

Esperienze (quasi ma non) omosessuali

Primo Episodio:

ANNO 1941,42.- Roma. Appartamento all`ultimo piano che non si diceva penthouse perché a quei tempi si diceva attico, si parlava italiano, la superinneggiata lingua di Dante ed eroica discendente diretta del glorioso Latino dell´ Impero Romano. Erano decisamente proibite e mal viste , o mal sentite espressioni tipo francesismi o gli anglicismi. Non si diceva sweater o pullover, si diceva maglione. E se non si trovava la parola giusta in italiano per uno sport, non si giocava né a tennis né a golf. Non si poteva dire tennis, non si poteva dire golf. Nacque un timido “ andiamo a giocare a pallacorda?” sostitutivo del tennis, però non ebbe successo. Insomma se non si trovava la parola giusta non si giocava né a tennis né a golf e si moriva di freddo perché non potevi usare il golf. Siccome tennis e golf erano due giochi sofisticati, borghesi decadenti, di poca gente e ci si passò sopra. Però, quando venne fuori che non si poteva nemmeno dire football, perché era un anglicismo, fu doveroso scoprire che nel 1500 a Firenze si giocava “al pallone”, gioco e nome tipicamente italiano perché Firenze è sempre stata in Italia; e il grave problema si risolse. Il gioco del pallone era nato in Italia e la prepotente Inghilterra si era appropriata del gioco e lo aveva ribattezzato a modo suo. E finalmente si proibì anche l`OK , espressione che inoltre era una chiara degenerazione di una ibrida mescolanza tra ex colonie inglesi , in quel tempo governate da un degenerato paralitico; tutto il contrario della forte figura virile dominante e maschia dell Uomo Italico che ci governava.
Bene, questo era il quadro nei miei 14/ 15 anni, il periodo delle Leggi Razziali, della cui esistenza io seppi e frammentariamente cercando le corna del demonio nella fronte dei Giudei Romani, dopo aver visto quel film, SUSS L´ EBREO, dei nostri alleati Arii, y tedeschi.

Bene, tornando a bomba, nel nostro palazzo, al secondo piano, piano nobile, si diceva,viveva un generale, probabilmente dell ´ esercito perché di aviazione ce ne era poquina, nonostante la Orgogliosa Traversata Atlantica di Italo Balbo con i suoi aeroplanetti, applauditi anche qui, a quel tempo , da dove scrivo, a Montevideo. La Reale Marina , quasi riservata ai nobili, viveva in altre zone di Roma, eleganti e declassate. In questo secondo piano, nobile o no, il generale in pensione aveva il suo attendente: un soldatino piccoletto, magrolino, senza nemmeno un pelo di barba, pelle liscissima, che faceva quello che un attendente militare non dovrebbe fare: invece occuparsi a dar lustro e sputacchiate agli stivali del generale e “ attenderlo” in quelle cose dove doveva attenderlo, si dilettava in lavori “donneschi e manuali”, si diceva allora, ossia andava al mercato con la sporta e tornava con i broccoli. Aveva tutto meno l’ aspetto marziale del soldato che difende la Grande Patria. Un giorno questo tipo che per ironia del destino si chiamava Guerino, come il famoso e avventuroso paladino di Carlo Magno, mi invitò a visitarlo nella sua stanzetta, nell’ appartamento del generale. Nessuno stava in casa, meno lui ed io, l`innocente. Io ero obbedientre: CREDERE, OBBEDIRE, COMBATTERE diceva Mussolini in uno dei suo tanti slogan scritti a caratteri cubitalissimi nelle strade “ed in ogni luogo” in tutta Italia. Intanto io mi sforzavo in Credere e Ubbidire, mentre il Combattere mi aspettava al varco dei miei valorosi 18 anni.

Mi invitò ad andarlo a trovare nella sua stanzetta, il caro Guerino e mi mostrò delle fotografie che erano esplosivamente erotiche per me. Libidinose,peccaminose, infernali, tremendamente eccitanti. Erano di una contadinetta della campagna romana, di quelle che vendevano la ricotta freschissima nel cestino di rametti intrecciati e foglie di fico, per le strade di Roma alle cinque della mattina. Era semi nuda, con estensioni abbondanti di pelo di vario tipo: l`eccitantissimo e folto vello pubico, que arrivava quasi fino all`ombelico, quello della gambe, qualcosa anche nelle braccia muscolose e sotto le ascelle che si immaginava appiccicosissimo ed odoroso di aromiagresti. Ricordo ancora, benissimo, lunghi pelacci neri che nascevano nei capezzoli, per produrre esilaranti sensazioni di piacere. Sicuramente ne era orgogliosa. Comunque, come sia, tutta quella parafernalia mi eccitò. In quei tempi ero ancora nuovo alle erezioni, che avevo scoperto casualmente in quei giorni. Era la grande emozione del momento.

Certo che mi “emozionai”. Probabilmente avevo anche i pantaloncini corti , chissà l`emozione si notava meglio ed il caro Guerino deve essersi considerato per un momento l ` uomo più felice della terra e con un gesto sorpresivo per me dette una piroletta su se stesso, scese i pantaloni in un lampo e mi mostrò un culo bianchissimo con dei peli lunghissimi e neri. Mi dette la impressione di una pelosissima tarantola. O di quello che io credevo fosse una tarantola. Mi produsse l`effetto contrario. Mi spaventai. Mi apparirono immagini infernali ancora vive nella mia memoria infantile, diavoli, demoni, sentii uno schifo tremendo per quelle natiche che lui cercava di aprire, invitandomi al banchetto che io neppure sapevo in cosa consistesse. Povero Guerino, che delusione!

Così come stavo, alterato, spaventato, con quest `affare grosso tra le gambe che non sapevo ancora bene come si gestisse, con un gran senso di colpa, scappai dalla sua stanza e dall’ appartamento del generale; per fare prima non aspettai l`ascensore per arrivare al piano 11º. Volai per le scale con gli scalini due e tre per volta per arrivare a casa mia, al 11º piano. E questa fu la mia prima esperienza erotica.

Secondo episodio:

E`stato poco prima della caduta del governo Mussolini.
Anno 1943. Nella Gerarchia dei Giovani Fascisti, ero arrivato al grado di capomanipolo ( 40 uomini paramilitari). Avevo fatto il Giuramento: “ Nel nome di Dio e dell’ Italia giuro di eseguire gli ordini del Duce e di servire con tutte le mie forze la Causa della Rivoluzione Fascista.”

Come tutti i ragazzi di quell`età formavo parte della G.I.L. Gioventù Italiana del Littorio che Hitler copiò con la sua Hitlerjugend. Tutti eravamo giovani dai 15 ai 18 anni, più o meno. E il sabato pomeriggio, quello che si chiamava sabato fascista, avevamo marce, sfilate, inni della Patria, canzoni dell `Impero. Non eravamo più Balilla. I Balilla erano ragazzini dagli 8 ai 14 anni. Facevano parte dell `Opera Nazionale Balilla ( O.N.B.), avevano la camicia nera e nel petto un bellissimo medaglione del quale eravamo orgogliosi con la M di Mussolini (mia nonna una volta ironizzò se era la M di Macor ) e un bellissimo fazzolettone di seta azzurro che si metteva intorno al collo, come facevano i cowboy e i ciociari, di un bell´ azzurro che probabilmente voleva ricordare il Blu Savoia della Casa Savoia, a quei tempi felicemente regnando in Italia, Albania ed Imperando in Abissinia, in felice combutta con il fascismo. Sua Maestà il Re Vittorio Emanuele III era il Capo dello Stato e Sua Eccellenza Benito Mussolini era Capo del Governo. Noialtri, del gruppo al quale appartenevo io in quell`anno, eravamo già grandicelli. Eravamo Avanguardisti. Non ancora Giovani Fascisti, che si diventava più o meno coincidendo con il primo anno di Università. Insomma, tutti inquadrati per benino,fieri giovani di Mussolini, in attesa che il Destino ci chiamasse alle grandi azioni. Noi avanguardisti non usavamo ancora i pantaloni lunghi, ma i pantaloni alla zuava, un pugnale bellissimo che era di alluminio perché “ Italia produce moltissimo alluminio nel Monte Amiata, in Toscana”. Di acciaio l`Italia ne aveva pochetto ed era riservato ai soldati veri e alla pancia dell`inglese, cosi si cantava. Armato con questo pugnale, un sweter ( pardon ) un maglione nero decorato con un teschio di morto e i pantaloni alla zuava, ci sentivamo eroici e poderosi.

Un bel pomeriggio , dopo le esercitazioni para-militari e volontariamente obbligatorie del Sabato Fascista per la Gioventù Italiana del Littorio, ma anche per i Figli della Lupa, per i Balilla dell`Opera Nazionale Balilla e per i Giovani Fascisti, me ne andai con il mio amico Ciotti per andare al Cinema Smeraldo di Roma, per vedere il film La Corona di Ferro. Era la storia della prima corona dei primi re d`Italia anche se i Goti o Lomgobardi che fossero erano piú tedeschi che italiani; ma non importava molto perchè nel film tutti parlavano italiano con certo redentore accento romanesco. E nel film si parlava della Corona di Ferro fatta con un chiodo ella Croce di Cristo, ottima garanzia della giustezza del Regno. E si parlava di Teodolinda, di Berengario, di Ostrogoti, di Longobardi ed altri personaggi fulgidi di italico valor dove chiaramente si captava nel dialogo che si profetizzava su di un prossimo Dux, che la propaganda fascista indicava chiaramente in Mussolini. E spesso, nel salone del cinema, vari battimano probabilmente anche sinceri davano la loro approvazione.

Aspetta aspetta, non ricordo come fu. L`amico Ciotti cominció a parlarmi di ragazze, di fichette spellacchiate, diceva lui, indicandomi a due che passavano in quel momento vicino a noi, anche loro con le Uniformi Paramilitari di Giovani Italiane Fasciste, si diceva, con una camicetta bianca, le tettine ballerine e una gonnellina plissettata nera che svolazzava con le loro belle gambette di quindicenni. Avevo anche io 15 anni? Insomma, tra quello che mi insinuava il camerata Ciotti ( si diceva camerata, non si diceva compagno...compagno ero un termine comunisto-anarcoide-bolscevico e disfattista) y el vezzoso giocherellare delle gonnelline che io guardavo con occhi entusiasmati, il mio “ signorino”, il mio fratellino minore, camerataocompagno che fosse, ebbe la sua doverosa erezione, molto comune a quei temi e a quell`etá, cuando se per la stada intravedevo tra due suore vecchiotte una giovane e timidella novizia, me la immaginavo, irrispettosamene, senza il Sacro Manto.

Ma guarda un po’ cosa hai combinato, mi dice Ciotti. Posso toccacrlo?

Seduti quasi stravaccati tutti e due in quella panchina, con le gambe stese, divaricate, ricordo che rimasi incerto ; la mia erezione si notava bene marcata con la tela “ sintetica” , si diceva e di cattiva qualità delle uniformi paramilitari; marcava molto, come una stoffa bagnata. Ricordo molto bene la sensazione di potere ed un certo piacere misterioso e nuovo al constatare per la prima volta che il mio affarino possedeva anche un notevole volume. Si, era piu grande di quello che pensavo. Ma... gli detti permesso a Ciotti? Si o no? Probabilmente non dissi nulla. Io ero ancora tontissimo e timido a quell’ età. Erano anni che mamma mi difendeva ancora da non so quali indefiniti pericoli della strada, non gradiva affatto le poche volte che mi azzardavo giocare con certi amichetti del quartiere... della strada, diceva lei. Non sopportava che io imparassi le parolacce. Cosi diceva: le parolacce. Le parolacce le dicevano solamente la gente “ bassa” ossia un operaio, un contadino, una serva...ma mai uno di noi. L`amico camerata Ciotti continuava con il suo prendi e lascia. Sopra i pantaloni, certamente. Ed io mi eccitavo sempre di più. Sempre di più.... però ad un certo momento si mi presentarono le immagini che ancora fluttuavano nella mia mente di adolescente, immagini di peccati, sensi di colpa, paure,di fare qualcosa che no era buono fare. Era il potere delle proibizioni inculcate con l`Ave Maria da mia mamma, dal parroco Don Ettore...Ma quello che mi impressionò più di tutto, fu la idea di Mussolini. Come se con il suo fulminante sguardo virile ci rimproverasse per dedicarci alle vergognose pratiche della “ plutocrazia anglo giudaico massonica decadente”.

E con tutta la mia emozione, rinunciando alla Corona di Ferro, me ne andai correndo a prendere il tram per andare da mamà.

Terzo Episodio


“ Sono arrivati gli Americani!! ”si sentiva gridare.

Erano arrivate gli Alleati a Roma. In quel periodo , che si chiamò La Liberazione, entrarono festeggiate a Roma le truppe del Generale Clark. Io le vidi alle cinque della mattina svegliato dal frastuono di allegria; e i tedeschi se ne erano andati il giorno prima: Roma, Città Aperta.

Nonostante gli Alleati e le caramelle e il cioccolato dei primissimi giorni di euforia, a Roma si continuava ad avere fame. Mia mamma mi mandò a cercare cose da mangiare con una valigia a Cesano, un paesetto vicino a Roma, dove noi conoscevamo certi contadini parenti della ragazza di servizio.

”Aldo, figlio, riempila con quello che trovi...”

Prendo il tranvetto, arrivo vicino al paesetto, cerco il contadino, pago un prezzo esorbitante però riesco a riempire la mia valigia di fagioli bellissimi. Riprendo a piedi la stradetta di ritorno che in un paio di chilometri di valigia sempre più pesante mi porterà alla fermata del tram-trenino per Roma. Completamente solitaria, la strada. La gente andava in giro il meno possibile. C´erano rischi i più impensati: in tempi di guerra può succedere di tutto. Mentre cammino, arriva un jeep, mi si avvicina, si ferma A.M.G. Governo Militare Alleato. C`erano quattro militari inglesi. Gli unici, insieme a Australiani e pochi Canadesi, a non vestire le uniformi americane. Gli U.S.A. avevano tela e industrie in piena e felice produzione per vestire tutto il mondo. La nazionalità distingueva la caterva di alleati di tutte le razze, con l`uso consentito dei più bizzarri copricapo e per un rettangolino cucino sulla manica sinistra con la bandierina della nazionalità. E chi sapeva, per esempio, quale fosse la bandiera del Nepal? Bene, Gli inglesi si fermarono vicino a me e mi offrirono un passaggio fino a Roma. Immaginare la mia contentezza. Caricai la mia valigia di fagioli e mi fecero posto tra i due militari del sedile posteriore. Cercai di chiacchierare qualcosa con l´ inglese scolastico imparato nella mia scuola inglese di Roma. Ma mi resi conto che i soldatini non avevano il minimo interesse di conversare con me. O chissà il mio inglese era incomprensibile come il loro per me. Forse era qualche dialetto di chissà dove.

Però...però... improvvisamente i due sudditi del Re Giorgio, all’ unisono, cominciarono a palpare le mie gambe ! Era d`estate, avevo pantaloncini corti.Faceva caldo. Ma rimasi di gelo.

“Ma allora questi so´ froci”, pensai.

Però furono anche gentili, dopotutto. Al rendersi conto che non stavo al gioco, terminarono le moine e i sorrisetti, fermarono il jeep, mi fecero cenno di andarmene, e con un “ You may leave anytine, fuck you! “ terminò il passaggio. Con la valigia pesantissima camminai dieci chilometri a piedi per arrivare a Roma, in una stradina senza nulla di traffico, perché quel benedetto jeep si era allontanato dalla strada del trenino, forse per cercare luoghi più appartati.

Ed in quella stradicciola, mi trascinai quel peso dell´ accidente, con il timore di incontrare, non altri inglesi ma qualche gruppetto di italiani morti fame come me, in cerca anche loro di qualcosa da mangiare e che mi avrebbero potuto riempirmi di botte e fregarmi senza tanti complimenti la mia valigia di fagioli.

Quarto episodio: I Marocchini.- Goumiers

Si confermò in anni successivi, ma noi di Roma lo sapevamo già quasi al momento del verificarsi degli eventi. Ci fu un accordo diplomatico tra Americani ( USA ), Tedeschi e Papa Pio XII, Pacelli: la uscita pacifica delle truppe del III Reich e la entrata altrettanto pacifica delle truppe Alleate a Roma, la Città Eterna, per preservarla il più possibile dagli orrori della guerra. I Tedeschi cominciarono a lasciare Roma dalle prime ore del pomeriggio del giorno stabilito. Io li vidi, personalmente, trascinandosi a piedi, avevano come mezzo di trasporto solamente qualche mula per portare carichi più pesanti dei loro zaini; andavano in fila indiana, sui due marciapiedi opposti del Viale Angelico che portava allo storico e antico Ponte Milvio di Costantino, quel ponte del IN HOC SIGNO VINCES., ancora funzionante dopo duemila anni e decine di invasioni. Eravamo abituati a vedere i soldati tedeschi forti, orgogliosi, arroganti. Questi erano giovanissimi, si vedevano stanchi, affranti, vinti, in ritirata e circondati dal silenzio ostile di molti romani. Mio papà, anche lui in strada, vicino a me, ebbe un gesto improvviso ed impensato: Offri sigarette a quei soldati che non avevano nemmeno la forza per ringraziare.
“ Tu, papà? Proprio tu che mi hai sempre detto che, nonostante il Patto di Acciaio Roma-Berlino, i tedeschi ti erano antipatici? Che invasero il tuo Friuli nel 1915 e che sparsero la tua famiglia paterna per tutta Italia?”
“ Si, Aldo “ mi rispose” Però questi sono solamente ragazzi di 16 anni, massimo. Della tua età. Non sanno niente della vita. Sanno solo che vanno a morire...”

Nello sguardo di papà vedevo la delusione di chi, dai suoi 19 anni, come mi disse una volta, aveva ferventemente creduto e partecipato al primo fascismo che si era presentato a lui, giovane disperso rifugiato dagli orrori della prima guerra mondiale, come l´unica strada per rinnovare con entusiasmo i valori nazionali degli italiani contro l`apatrida internazionalismo del socialismo, per difendere la religione e l `ordine contro l`anarchia bolscevica proveniente dalle lontane steppe russe. E che quasi tutto era cominciato a crollare a partire dal 1938, in pochi anni di atteggiamenti ridicoli, fanatismi, vergognose e tragiche e forse inevitabili sottomissioni al nazismo.
Clark e gli alleati entrarono alle cinque della mattina del giorno seguente. Non ci fu un solo sparo di fucile. Nulla di ostilità contro i nemici di ieri. Tutto il contrario. Solamente caramelle, cioccolate e ragazze esuberanti che montavano sui camion e su quegli imponenti carri Armati Sherman, per baciare i Liberatori vincitori ed esultare per quello che si credeva fosse la fine della guerra.

Bene. Peró, insieme agli Alleati veri, gli autentici, ossia i Nordamericani degli U.S.A., gli inglesi della Gran Bretagna ed ai Francesi di Francia, nella sacra e plurimillenaria patria dei Cesari, arrivarono anche una caterva di popoli, genti di paesi lontani e sconosciuti, negri d`africa, di america, marocchini e algerini di Francia, pakistani, il Commonwealth intero, indù della India, meticci da tutte le parti, Australiani, Neozelandesi: una babele di razze e popoli secondo la famosa profetica promessa-minaccia di Sir Winston Churchill all`inizio della guerra: "Riunirò contro di voi ( i Tedeschi) tutto il mondo, se sarà necessario, ma vi distruggiremo!” E tutte queste orde sbarcarono in Italia includendo anche i Marocchini Goumiers. Si seppe subito delle bestialità atroci e di violenze di ogni tipo di questi feroci guerrieri primitivi.

Per i misteriosi casi della vita, mio papà, che era stato fascista, era anche stato gran amico di un generale francese. Avevano studiato insieme non so dove. All`arrivare a Roma, questo generale andò subito a cercare mio papà, pensando di poter essere utile al vecchio compagno di studi, se ne avesse bisogno. E si videro. Il generale venne a casa nostra, vestito in borghese, per un certo rispetto e quella delicatezza che solamente può avere e capire un gentiluomo. Un salumaio avrebbe indossato la sua più bella uniforme.

Ricordo ancora quell`abbraccio. Commoventissimo. Bevemmo tutti un po´ di champagne per festeggiare non si sapeva bene cosa: fu la prima volta che provai il Dom Perignon. Portato da lui, naturalmente. Dopo i vari: “ Ti ricordi quando,,,” rispose a una domanda che mio papà non fece, ma che l´amico gli lesse sul viso E gli rispose in una conversazione destinata solamente a lui ma he io sentii:

“ Amico Titta, a questa gente ( si riferiva a Marocchini, Algerini et similia) non si può chiedere di combattere per la libertà o la democrazia. Non sanno cosa è. Si puó parlare loro solamente di bottino. Se vincerete il bottino sarà vostro e anche le donne, secondo le piú antiche tradizioni guerriere. Sono molto primitivi ma anche ottimi guerrieri, audaci e feroci. Li abbiamo utilizzati qui nella carneficina di Montecassino. E´inutile dire loro di rispettare quelle stesse donne che ieri erano le donne dei nemici. Ossia che ieri erano bottino di guerra ma oggi già non lo sono più. Ma sappiamo che dovremo portarli via di qui. Abbiamo ricevuto molte pressioni. Li porteremo in Grecia, probabilmente. La Grecia non è più la Grecia dei biondi Achei come tristemente constatò Lord Byron. Con secoli di dominio turco , nelle campagne sono ormai mischiati tutti e sono più abituati alle violenze anche sessuali delle truppe Turche e specialmente dai Giannizzeri. Hanno imparato a nascondersi e difendersi meglio. “

Più o meno questo è quello che ricordo di queste conversazioni tra mio papà e l`amico generale. Un film italiano, La Ciociara, con Sofia Loren, parlava vagamente di questo. Pero in realtà queste truppe causarono terrore in Europa. Non fu un caso quasi unico, come in un certo senso fu imposto che sembrasse al Regista; ci furono paesetti del sud Italia dove queste truppe coloniali francesi fecero stragi di donne. E non solo donne, ma ragazzine, ragazzini, adolescenti. E se gli uomini si opponevano, o li ammazzavano lì per lì o tagliavano loro le orecchie o il naso o i testicoli, per farne trofei da portare a casa, macabri souvenir. Così come certi indiani d`america scotennavano il nemico bianco ed appendevano i trofei nella tenda.

Ci furono due paesetti dove nessuno, assolutamente nessuno, si salvo dalla violenza sessuale. Neppure uomini anziani. Probabilmente non poteva essere solo desiderio sessuale. Evidentemente c`era anche l`idea di infliggere vergogna al nemico, di sfregiarlo in qualche maniera. Questo si seppe quasi di immediato in tutta la zona allora occupata dagli alleati, soprattutto nelle zone occupate dai Francesi. E di questo stavamo parlando per una stradina uscendo da Cesano, quel paesetto del quale ho parlato prima. Eravamo in “villeggiatura”; in realtà rifugiati in casa di questa famiglia di contadini dove si mangiava e si mangiava bene. Girovagavamo fuori Cesano, per cercare delle uova, bene preziosissimo e valida moneta di scambio. Già sulla via del ritorno nel tardo pomeriggio, ci vennero incontro due jeep, provenienti da Cesano, stracariche di Marocchini starnazzanti. A parte dalle facce, erano riconoscibili per i turbanti. Eravamo io, mia mamma, di circa 37/ 38 anni, ancora una bella donna, anche se vestita maluccio, dimessa, mia sorellina di 11 anni e la servotta contadina di 18. La nostra casa di “villeggiatura” era in realtà la casa dei suoi genitori, ignorantissimi ma furbi contadini che si lavavano solo quando pioveva. Le due jeep frenarono vicino a noi. Sguardi sorridenti, occhi nerissimi, brillanti. Mia mamma fece finta di niente. Con le sue braccia ci prese come una chioccia e indicando il tramonto, commentava sui colori del sole nelle poche nuvolette estive.

“ Tu signora no paura?” chiese uno di loro” No paura marocchini?”

Mamma fu di un coraggio da madre romana dei tempi della repubblica !

“ Paura? Io? Paura? Perché? Lei due mani... io due mani... Io no paura... “. E continuò a indicarci il tramonto. Mentì, mia mamma, ovviamente, simulando sicurezza , come sanno mentire solamente le donne.Quasi sempre per necessità. Gli uomini....noi uomini mentiamo male e non diamo importanza alla mentira. Continuiamo:

I marocchini se ne andarono, ridacchiando.

Avvicinandoci noi a Cesano, sentivamo grida, urli, che presagivano un ambiente di orrore, de tragedia, di pianti e maledizioni. Un vecchio senza denti sbiascinado nel suo dialetto, ci disse che a Cesano erano arrivate due jeep di Marocchini ed avevano violato non sapevano ancora quante donne e con le pistole si divertivano a minacciare gli uomini. Due donne erano morte. La nostra servotta scappó via, di corsa a vedere cosa era successo alle sue sorelle a casa di sua madre. Sapemmo dopo che si erano salvate nascondendosi in un pozzo secco.

Vari anni dopo, commentando questo episodio, mia mamma ci commentó a noi figli:

“ Siamo stati fortunati. Hanno pagato per noi quelle povere donne di Cesano. Quegli animali erano ormai sazi. Peró,sai Aldo... io non ero tanto preoccupata per me, né per tua sorella. Ero preoccupata per te. Perchè vidi gli guardi di alcuni di loro, quando ti guardavano.”

Ancora un episodio: L`amico ebreo

Quando arrivarono gli americani, con quell`aria di star bene, ben nutriti, ben vestiti , generosi e sorridenti, arrivò anche per noi civili la speranza...e nella speranza che la speranza si concretasse, mio papà ottenne per mezzo di una grande amico suo, anche lui amico di scuola, ebreo genovese, -- che si chiamava Colombo ma non Cristoforo, si chiamava solamente Dino Colombo,-- ottenne, dicevo, che io entrassi a lavorare alla A.C.S. , Allied Censor Service. Questo Servizio di Censura si supponeva che controllasse e sottoponesse a censura una grandissima quantità di lettere, cartoline, foto, biglietti postali, giornali, riviste ecc. Bisognava cancellare, togliere, sopprimere parole o frasi o sottoporli a un più approfondito esame alla Sherlock Holmes, per qualsiasi dato che potesse essere o apparire come informazione di carattere socio, politico, militare, economico utile al nemico Tedesco, ossia alla Germania. Ma in forma molto piú discreta si sottoponeva a censura, piú raffinata e piú attenta, anche ciò che poteva apparire come informazione utile alla Unione Sovietica.

Si, certo, la URSS erano alleati degli Alleati, per questo bisognava agire con i piedi di piombo ed i famosi guanti di velluto. Nell`aria già tirava un certo venticello di fronda.

Alla Censura si lavorava 24 ore. C´erano non so quanti turni.

A me toccó , o lo fece toccare l`amico Dino , il turno dalle otto della mattina fino all `una del pomeriggio. Cosi io potevo frequentare, alle tre, il mio secondo anno di Liceo Classico al Mamiani, in quel privilegiato orario estivo perchè l`edificio della scuola in ore della mattina era per accogliere studenti di altre scuole, distrutte dalla guerra, o per le migliaia si sfollati che venivano dal Sud. Nell`A.C.S. si guadagnava molto bene, . perchè la base per calcolar il nostro stipendio era quello in dollari di un lavoro corrispondente in USA e il risultato era qualcosa di astronomico per noi europei impoveriti, anche se ci pagavano in Lire italiane o con quelle maledette AM-LIRE , una specie di carta moneta stampata molto alla leggera dagli inesperti Nordamericani e che produssero una svalutazione spaventosa. Per dare idea de la svalutazione, dirò solo che con lo stipendio mensile di mio papá, Direttore di Banca, si poteva comprare una bottiglia da due litri di olio di oliva. Come si sopravvisse, fu sempre un mistero. Come sopravvisse Europa fu tutto un mistero.

Bene. Non c`erano molti italiani che lavoravano con gli americani. Indubbiamente io e gli altri italiani eravamo dei privilegiati. Scelti accuratamente dagli americani per provata fedeltà alle stelle e strisce. Molti, dei pochi, erano ebrei. Io non ero ebreo. Mia mamma e mio papà nemmeno. E nemmeno tanto filoamericani. Mio papà tra l`altro era stato fascista e sospeso da poco dal lavoro e stipendio nella banca dove lavorava da vent`anni, per sottoporlo a Epurazione per eventuali Crimini Fascisti.. Quando si accertò, dopo due anni, che papà non era stato criminale di guerra, fu reintegrato al lavoro nella Banca con il pagamento degli stipendi trattenuti e rivalutati. Cosi potemmo mangiare ancora e ritornare alla normalità. Si, certo, mio papà era stato fascista e con molto entusiasmo. Ma nella prima metà del periodo fascista. Dal 1938 in poi cominciò ad avere seri dubbi e delusioni. Contro le direttive del Partito Fascista aveva aiutato ebrei amici o conoscenti suoi, colpiti dalle leggi razziali che considerava ridicole fuori luogo e non sentite in Italia. E questi aiuti erano di notevole rischio, che mia mamma non condivideva appieno si corresse: i tedeschi non scherzavano molto con le leggi razziali. E gli ebrei sanno essere riconoscenti. Quando a sua volta papà si trovò inguaiato , gli amici ebrei lo aiutarono a rimettersi in piedi. Come quel generale francese che lo venne a trovare, come quel Dino Bottone, che per suo mezzo entrai nell A.C.S. e papá lavorò con lui durante tutto il periodo dell`Epurazione, per più di due anni, in affari che solo gli ebrei sanno fare benissimo e papá guadagnò molto di più di quel che avrebbe guadagnato rimanendo in Banca. In realtà il fatto che papà fosse stato obbligato a lasciare il suo lavoro di bancario per un paio d`anni, si trasformò per la famiglia in un grande vantaggio economico.
Ho tergiversato.Ma i ricordi affiorano. E cosi entrai a lavorare per la Censura Alleata. Certo che un ragazzo del secondo Liceo Classico, di buon famiglia borghese quindi un po` allocco a quei tempi, non aveva nessuna esperienza di vita né di altre cose e molto meno di censura Mi feci amico dei colleghi, tutti più grandi di me e con uno specialmente mi sentivo molto bene. Si chiamava Anticoli, tipico cognome ebreo romano. Era quasi un anno che lavoravamo per i Nordamericani e, per inciso, persi un anno di liceo. ( Che recuperai l`anno seguente facendo due anni in uno).

Un bel pomeriggio Anticoli ed io ci vedemmo per andare insieme non ricordo dove, ad una commemorazione di qualcosa culturale o pseudo culturale ed improvvisamente, lì , in quell`ambiente di avanzata, ovviamente di sinistra perché era di moda, cinema letteratura, arte, l`amico mi si rivelò, con molta franchezza,molto direttamente, parlandomi in inglese , lingua che non usavamo mai tra di noi, una specie di imprevista e improvvisa dichiarazione d´amore: IF YOU WANT ME, now, we may go...

Non ricordo assolutamente come terminò la frase. Sicuramente era per propormi di andare a casa sua. La faccenda fu che ci rimasi sorpreso e malissimo. Chissà triste, chissà anche deluso, perché mi resi conto che le sue gentilezze con me avevano un fine ben preciso. Non erano per fare un favore a me, ma perché io contraccambiassi con un favore a lui. Dopo questo episodio non ci vedemmo più da soli. Terminarono le conversazioni e forse anche l`amicizia. Perché ? Non lo so. Non lo seppi mai. Paura, chissà? Timori? Avevamo molti interessi in comune. Era intelligente. Di fatto, eravamo veramente buoni amici. Però ... dopo questa proposta mi sentivo a disagio se gli captavo uno sguardo, guardandomi. La idea che mi vedesse con occhi differenti di quelli degli altri amici miei, dove l `amicizia la sentivo pura, sincera, senza secondi fini. Mi metteva a disagio. Uno sguardo mezzo innamorato, scrutatore, interessato. Sensazioni, certo, come comincerò ad avere un poco più avanti nella vita e addirittura per molti anni. Sensazioni, certo. Non so se si possa comparare. Però mai fui capace di avere una amicizia pura, sincera, senza secondi fini con una donna, se questa donna aveva qualcosa che femminilmente mi attraesse. Mi distraevo con il suo sguardo, come ipnotizzato. Mai ho potuto guardare gli occhi belli di una donna senza che si mi sfumasse tutto l´ intorno. Confesserò adesso forse perché ormai non me ne frega più niente, come il titolo del mio blog, che anche degli occhi bellissimi di uomo mi turbano, ma se sono con certa grazia femminile. Ossia, direi, lo sguardo di uomo bello pero effeminato. E come si può parlare senza guardare negli occhi l`altra persona? E`stato difficile per me trattare, specie nei miei anni di mezza eta, sui 40/ 50, le mogli, sorelle o figlie di amici miei. E´stato un costante sforzo su ne stesso . Ed ancora oggi, a miei 82 suonati, ancora oggi e quasi mi vergogno al dirlo, la conversazione con una donna bella, femminile, attrattiva, anche se è una conversazione intelligente e interessante su qualcosa di valido, mi diventa difficile, al punto che devo distrarre il mio sguardo perché mi si sovrappone, come crudele ricordatorio la immagine che lei potrebbe avere di me, immagine schifosa, lubrica, del vecchio porcaccione bavoso che spero non essere, non voglio essere, ne´ sembrare di essere.

23 ott 2010

"CROTALUS TERRIFICUS" OFFESO




Anno 1967. Una notte pericolosa ed indimenticabile, Valerio mi salvò la vita. O per lo meno un parte importante di me.
Io stavo facendo una delle mie sporadiche visite in cantiere più che altro per stare un paio di giorni con il mio amico e socio Valerio, di Anzio, far quattro chiacchiere con lui e con gli operai che conoscevo abbastanza bene  da anni. Il lavoro in se non presentava problemi  perché era un semplicissimo contratto di disboscamento; non c´e nessuna difficoltà tecnica al buttare giù alberi dove verrà costruita poi una diga. Le macchine pesanti,  grosse trattrici  Caterpillar, avevano una magnifica assistenza meccanica  e  mandare ogni settimana  il denaro per le nomine era più che sufficiente perché il lavoro andasse  avanti bene senza problemi.
Tuttavia un capo di impresa  deve farsi vedere ogni  tanto sul lavoro; così come  un generale  deve occasionalmente mostrarsi in prima linea con i suoi soldati, rischiando magari anche qualcosa di sé, per animarli e concedere loro qualche premio, qualche elogio.  Se una persona ha la fortuna di saper parlare con i suoi dipendenti, soldati, operai, figli o  studenti che siano e se sa dare ordini giusti, dando prove di stima, considerazione e rispetto, questi dipendenti  gli si  affezioneranno.  Gli operai si affezioneranno al capo, i soldati al superiore e  i figli al padre. E obbediranno.
Arrivai al nostro ufficio nella zona. Avevamo affittato una casa di campagna relativamente grande che serviva da ufficio per la compagnia  e dove dormiva anche tutto il nostro personale. C' era la cucina, naturalmente ed il cuoco si dava da fare come poteva. Dopo una giornata di  10 ore di lavoro, manovrando una trattrice e buttando giù alberi in mezzo a nuvole di insetti e con la temperatura a 40 gradi, gli operai tornavano  " a casa"  stanchi morti.  Erano tutti di altre zone del Venezuela e lí accampati, isolati, dopo una buona doccia  ed una buona cena , andavano tutti a dormire presto.  Però sempre si conversava  qualcosa prima di tirarsi sul letto, o sulle amache, come la maggioranza di loro. Di che si parlava? Di qualche esperienza della giornata, o cose di casa, di ognuno di loro.  Quando c' ero anch'io, nella zona, compartivo la casa, la cena e  le conversazioni con  Valerio e con tutta la mia-sua gente, una trentina di persone.
Quella notte c'era luna piena. Avevamo cenato molto bene perché il cuoco ci teneva a far bella figura con me. Aveva preparato degli spaghetti conditi con Ketchup, in onor mio, che erano una tremenda schifezza. Però poi presentò una lapa, un animale di cacciagione che conobbi in quell´ occasione e che era una delizia. Come se fosse stata una lepre grande, tanto per intenderci.. Ebbe le mie sincere congratulazioni, facendomi dimenticare il   Ketchup. Stavamo tutti seduti fuori della casa-ufficio, chi in amaca, chi per terra, chi su qualche seggiola.  A me sembrava rivivere i miei tempi lontani in Italia, da militare,  perché le conversazioni erano le stesse: si parlava di donne, di progetti futuri e si raccontavano storielle o barzellette.  Tutti eravamo stanchi morti ed io con loro perché avevo sulla groppa un lungo viaggio in macchina.
 Quando mi decido andare a riposare vado a fare quello che faccio sempre prima di andare a dormire: una bella pipì. Non c'era bagno, naturalmente, così che come tutti vado a  pochi metri dalla casa, in mezzo ai cespugli.
E quando sono a metà del processo  sento come un rumore di tacchi, come della nacchere di una ballerina di flamenco. Naturalmente continuo   e il  flamenco continua....Ma  il mio amico Valerio mi si avvicina, da di dietro, quatto quatto, nemmeno me ne accorsi, mi prende per un braccio  e mi strappa, letteralmente, da quel posto. Al fare quella improvvisa piroetta  gli detti una bella spruzzata, all´ amico Valerio, con quello che tu, cara figliola mia, ti potrai immaginare.
- Accidenti, dottor Macor, scusi, sa, però, che cazzo.... mi disse mezzo ridendo e mezzo seccato per l´ improvvisa doccetta.-  Ma che si mette a fare, lei ? Non si è reso conto ?  Lei stava pisciando addosso a un serpente a sonagli ! Non sentiva come suonava ?   Il serpente si incazza, certo che si incazza...chiunque si incazza se uno gli piscia addosso....
E mi guardava, intanto, mentre si asciugava  alla meno peggio e gli operai se la ridevano.
-Si certo, ridete, ridete...che ve possino, - gridò loro Valerio- Rianse pendejos,  ridete pure, stronzi, che se il serpente lo beccava proprio lì, sul cazzo, volevo vedere io chi glielo ciucciava per togliergli il veleno...


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11 ott 2010

Noialtri, in questo lato


Esperienze e considerazioni in una casa di riposo per anziani in Latinoamerica

Non avevo mai avuto, prima, esperienza diretta di quello che fosse una vita quotidiana in una Casa di Riposo per Anziani. E´la prima volta che mi succede di essere vecchierello, ammetto. La mia nuova esperienza di vita in un geriatrico è cominciata l`anno scorso, ai miei spensierati 81 anni.
 

“Prima”, cioè fino ai quaranta, mi dicevano che ero giovane, bello,allegro,simpatico, seduttore . Anche se non sempre e se non tutti i giovani sono belli, allegri, simpatichi e seduttori, per lo meno rimane il fatto di essere giovani e tutte le eventuali cose negative si superano con un nuovo successo, con una bella bevuta o con una bella donna.
 
Questo era “prima”.
 
Però “adesso”, con la dolce decadenza progressiva, se si è vecchierelli e si toglie l`essere bello, allegro, simpatico e seduttore, quello che rimane è solamente l`essere vecchierello. Comincia così la inutile ricerca della quadratura del circolo e la si comincia solamente in questa ultima fase della vita; ed ancora di più se si vive dentro una a casa di anziani.. 

Si, certo, lo so, ce ne sono di vario tipo: si chiamano o si chiamavano anche in vari modi: Residenze per adulti della terza età, Manicomi ( si diceva prima, quando ai paralitici si diceva paralitici, agli idioti idioti e ai vecchi, vecchi).Si chiamano anche Asili, Conservatori, Sale di attesa dell’ ultimo treno per Yuma. Dal più miserabile che puzza a merda, al Residence di Lusso 5 stelle per Abili della Terza Età che entrano ed escono dai loro appartamentini in compagnia di disinteratissime ragazze da sogno nella affettuosa attesa che il vecchietto rimanga stecchito e ricevano la bella meritata eredità. Gratuiti i primi; a costi di 5000, 10000 Euro ed oltre gli altri. Però il denominatore comune è sempre mantenere in vita con piú o meno novità tecnologiche e supposte extracomodità a delle persone che hanno già compiuto con la loro primaria funzione fisiologica del crescere e moltiplicarsi, in obbedienza alla Volontà del Signore. E se, qualche volta, alcuni pochissimi sono riusciti a dare qualcosetta in più di se stessi lasciando “orme immortali” in questo mondo di porcherie e bellezze, questi pochissimi non sono ormai in condizioni di offrire niente più che non sia una pacchiana utile eredità o inutili saggi consigli di contorno. La prima sempre bene accetta, di sicuro, ma unicamente per l´ovvio rispetto deferente alle ultime volontà del de cuius, così almeno dicono gli eredi. I secondi sempre fuori dei tempi per l`incomprensione tra generazioni e comunque dimenticati al momento del grande saluto.
 
Ossia, il fine è sempre mantenere artificialmente in vita persone che non sopo più di nessuna utilità sociale, e che praticamente gia non vivono piú. Non siamo giardinieri: il buon giardiniere fa sempre tutto quello che può’ per i suoi virgulti. Le piante vecchie le manda alla spazzatura. Oramai quasi tutti i conglomerati umani si occupano dei loro fragili vecchietti. I Governi-Stato per la relativamente nuova filosofia sociale dove il voto del teenager, di un professore universitario o di un semi demente senile hanno lo stesso peso; le società con fine di lucro per cercare di ottenere l`agognato lucro; ed i familiari per seguire con le loro abitudini e tranquillizzare le loro coscienze. Così si mantiene in vita, in maniera antinaturale, a più o meno costi, quello che secondo le leggi della natura non dovrebbe Più esistere. Ci siamo trasformati o ci stiamo trasformando tutti in uomini bionici e usiamo stampelle: e stampelle sono le operazioni di cataratta, gli apparati auditivi, i denti falsi, gli impianti dentali, le varie e care operazione plastiche per felicità del chirurgo estetico, i bye pass, i varie carissimi trapianti di organi per gran soddisfazione professionale e economica del medico e pingui benefici illeciti per gli infernali affari legati alla mercantilizzazione di organi: cercasi bambino con fegato sano.
 
SIC TRANSIT GLORIA MUNDI
 
Sono seduto nella bella mensa del ristorante nel Residence che mi ospita. Per varie ragioni mie che non è il caso riferire e che comunque non interessano a nessuno, ho preferito il Residence alla alternativa dell`Hotel o dell`appartamento che con nostalgia patetica mi avrebbe ricordato la garçonnière dei miei Trent'Anni. E mi trovo bene. Abbastanza bene. Relativamente bene, insomma. Me lo indicarono, il Residence, come uno dei migliori e nuovi in questa parte del mondo dove la mia vita folklórica e variopinta finalmente e probabilmente terminarà dopo aver cambiato casa, domicilio, residenza o dimora , come si preferisca chiamarla, per 21 volte, fra tre continenti, 6 città in Europa e 4 in America Latina, a parte i viaggetti turistici semi culturali in tutti i vari continenti escluso solo l`Artico; dopo aver parlato, scritto o letto più o meno male o più o meno bene in otto lingue; dopo aver vissuto, anche se mai ben comprese per essere troppo giovane, le postrimería della guerra 39-45; aver usato la mia laurea di dottore in giurisprudenza solamente per poco più di un anno, a Roma, come funzionario pubblico; essermi trasformato in costruttore-contrattista-appaltatore dello stato venezuelano per venti anni con la compagnia di costruzioni fondata da me, guadagnato soldi, perdendo soldi due volte nella polvere due volte nell`altar; e dedicato per altri vent anni anni a trasformare il mio antico hobby per le arti plastiche in una seria attività professionale, cercando di convincere tutti delle mie sublimi abilità artistiche; e dopo aver letto e non dimenticati completamente ancora i 2503 libri della mia biblioteca.
 
E dopo di questo, continuo a disegnare, scrivere e curiosare adesso, qui, in Sud America, volontariamente limitato nel limitato perimetro della mia residenza attuale.
 
L´ambiente? Come quasi tutto , si compara con i simili. Come con le automobili. Ci sono di vari costi. Le migliori sono quelle con i migliori dati costo-prodotto. Non puoi affermare che un Ferrari sia meglio di un Volkswagen. Non puoi pretendere di comprare un Ferrari per il prezzo di un Volkswagen, però , attenzione, nemmeno accettare gatto per lepre. Cosicché, comparativamene: buona costruzione, aree verdi, vari servizi sanitari, sportivi e di divertimenti. Buona attenzione medico sanitaria alimentizia. Comode stanze monolocali per riposare da chissà quali sforzi della giornata. Televisione, telefono e Internet per chi la sa usare, cioè nessuno, a parte me stesso. Personale di buona qualità, bellini, pulitini, sorridenti. 

Quando alle volte conversano tra di “loro” vicino a ”noialtri”, non li capiamo perché tutti siamo con presbiacuzia. Ma sicuramente parlano di noi e bene. Nel lato “di ” ci sono, insomma, quelli che comandano: tutti giovani, cioè i medici, le infermiere, gli ausiliari, psicologi, nutrizionisti, vigilanti,camerieri, cuochi, giardinieri ed anche i familiari. Tutti giovani, certo, o tutti molto più giovani di noi, tutti che comandano sempre, anche se fanno finta di no.Con bei sorrisetti, ma sempre ci comandano.
 
Io osservo, vedo, sento.
 
Si ricorre allo spirito di osservazione, se ne è rimasto almeno un po’ si ricorre a vari tipi di occhiali , se le le cateratte o la maculopatia lo permettono. Si sente anche abbastanza bene, se ti parlano uno alla volta e hai potuto pagare i 4000 dollari per due buoni auricolari.
 
Cosa osservi? Cosa vedi? Cosa senti? Curiosiamoci un po`.
 
Al terminare della giornata arriva sempre , per esempio, e sempre affrettato il figlio di una signora che fu, la signora, molto importante nella sua epoca, nemmeno poi tanto lontana da oggi : medico, congressi internazionali, varie lingue, professionista conosciuta,forse anche bella donna, che non guasta mai. Adesso semiparaliticasemiciecasemisorda e semi non so che d`altro, in una seggiola a rotelle, amorevolmente spinta da un costante rinnovarsi di aiutanti-assistenti-camerieri che le puliscono la bocca durante i pasti ed altre cose. 

Il figlio, uomo sui 45, aria da intellettuale, chissà professore, sempre in jeans, sguardo leggermente da folle, attento, scrutatore, intelligente, fronte amplia, le si avvicina, la bacia, le da bacetti, le parla all’ orecchio quasi sempre con toni alti perché lei possa sentir bene e sentono bene anche gli altri del salone, nonostante la prebiacuzia. La conversazione con la mamá , che con affetto vagamente morboso accarezza e sbaciucchia nelle guance mentre con l` antebraccio la avvicina a se, è un monologo di parole quasi incomprensibili che ricordano i suoni di borborigmi intestinali in tono di basso. Monotoni e costanti. Durano a lungo. Improvvisamente vedo che si alza di scatto e, piè veloce Achille, si avvicina alla cucina, confabula con qualcuno o reclama qualcosa, gesticola, ritorna sempre con piè veloce dalla mamma, allontana. la assistente che continua a pulirle le labbra. Con sguardo rapido alla tavola vede il disordine lasciato dalla assistente nei secondi di sua assenza, riordina e riferisce alla mamma dell`esito dell`incursione in cucina. Altri borborigmi.
 
E la signora? La ex persona importante? Che fa adesso? Alle volte risponde al mio saluto, quando mi sente o quando mi vede.
 
L’ altro giorno, conversando vicino a lei suo figlio ed io, non ricordavamo il nome del socio di Pantagruel... come si chiamava? Come si chiamava? E lei, la signora senza nemmeno guardarci , suggerì: Gargantua. E rimanemmo congelati.
 
Non con la stessa frecuenza giornaliera però quasi settimanale arriva il figlio di un ‘ altra residente, a visitare sua madre. E`una signora che sicuramente è stata bella e che ancora cerca di mantenere impeccabile la un tempo rigogliosa chioma bionda che a me ha improvvisamente ricordato, mutatis mutandis, la enigmatica Veronika Lake. L`estate scorsa amava porsi al sole, per ore, nel giardino del Residence, felice e orgogliosa della tintarella e chissà forse anche dell`esuberante decolletè che invano le infermiere cercavano di ridurre parzialmente. Mi ero complimentato con lei più di una volta l’ anno passato per il colore che mi ricordava, le dissi in un complimento quissà eccessivo, le stupende ragazze in topless a Nizza, nella Cote Azul. Ricordo molto bene il sorriso con qualcosa di coqueteria che mi elargì, compiaciuta. Questo l`anno scorso, Ma quest`anno, all`inicio della primavera, in questi giorni, la avvicinai per un saluto e le suggerii che cercasse di riprendere la tintarella dell `anno prima. Mi guardò, questa volta con rimprovero:
 
“Il sole produce cancro”!
 
“ Puó darsi” le risposi” peró sono necessari anni di incubazione. Anche io mi metto al sole,cara, ma quando ci arriverà il cancro della pelle, saremo già belli e morti da un pezzo e non ci faremo piú caso.”
 
Il figlio, in visita dalla mamma in quel momento, mi guardó e il suo sguardo era di rassegnazione. E`un signore sui 50 anni, impresario, aspetto di uomo d`azione, attivo, occupato. Le ore che dedica a sua mamma sicuramente le dovrà ricuperare lavorando di notte. Si nota chiaramente l`affetto che ha per sua madre. Le porta sempre regaletti e altre piccole cose che lei chiede con l` insistenza del bambino che vuole il suo lecca lecca. Il mese scorso ebbe un episodio...e sembrava che...Ma si recuperó bene.
 
Cosa avranno provato i figli accorsi subito?
 
Con molta meno frequenza arriva il figlio di un`altra residente. Una dolce signora che conobbi l`anno scorso. In un solo anno grande deterioro. Alzheimer, suppongo.
 
Le “ malattie” dei residenti sono segreti riservati a medici e infermieri. Chissà ad altre persone ancora, ma mai ai “colleghi residenti”.Mai. Devono ignorarsi reciproca mente. Forse è meglio così. E quando lo sguardo quasi sempre distratto di un residente si posa casualmente su uno dei tanti dossier di ognuno di noi, mentre l`impiegato riporta diariamente le vicende e vicenduzze, questi, come colto in fragranti, chiude di scatto la cartella perhè il gran segreto del sacro si mantenga segreto,come nei misteri Eleusini. Forse è meglio cosí

Ed il gesto di chiudere di colpo la cartella mi ricorda quello di chiudere il libro, nei banchi del liceo, perchè il professore curioso non vedesse,deambulando, la foto della donna nuda tra le Anabasi di Senofonte.Forse è meglio cosí. E quando viene il figlio, alle volte solo, alle volte con la moglie, alle volte con i suoi condiscendenti figlioletti, si nota il dolore nel suo volto all` incontrare lo sguardo sempre piu sperso della mamma. Certo che le vuole bene. Ma, continua ad essere sua madre questa signora che quasi non riconosce nessuno? Chissà se lo chiede, chissá no. O chissá non ha il coraggio di pensare quello che pensa. E l`angustia continua, come continuava la mia, anni addietro, nelle visite che , stando io in America , non potevo fare che sporadicamente a mia madre, residente in un Residencial a Roma. Ed al momento del commiato, mi allontanavo sempre con quella immagine tristissima di una persona minuta, fragile, senza difese, che probabilmente vedevo per l`ultima volta, seduta nella sua terribile seggiola di esecuzione, con lo sguardo dolce triste ed angustiato, che sembrava stesse per piangere, che sembrava mi chiedesse aiuto. Aiuto? Quale aiuto? Come?
 
Li vedo tutti, i colleghi residenti. Loro ed io, seduto con loro. Sono i miei colleghi. Li vedo. Li studio.
 
Zombi. Seduti con gli occhi semichiusi di fronte al televisore immenso, di non so cuanti pollici. Guardano, ma non vedono. Chiedo: Che film stanno dando? Nessuno lo sa. E`anche senza sonoro. Bassissimo. Sicuramente parlato in NO spagnolo. Quelli che vedono, chissá vedono, ma non sentono. Chissà guardano il movimento come le fiamme nel camino,sempre suggestive ed attraenti. O l`acqua che scorre da qualche parte. Arriva una infermiera:
 
“ Andiamo... E`pronta la merenda”. Qualcuno guarda l`orologio per vedere se sono le 4 e mezza. 
Effetrtivamente sono le 4 e mezza. Si alzano dalle poltrone. Alcuni soli, da bravi. Altri, aiutati. Vanno convergendo al salone da pranzo. Ricordo il film di Michael Jackson. Il primo ed unico che ho visti di quel tipo la. Non dimenticherò mai. Ed ora i colleghi mi fanno riviveve la scena macabra della marcha. Non ricordo il nome del film. Chissà non voglio ricordarlo. O magari anche io comincio a fare cilecca con la memoria recente. Mi chiedo se l`ambiente contamina.
 
Dopo la merenda, attività sociali. Ci visita tutti i lunedí pomeriggio una bella morettina con anelli luminosi di capelli negrissimi. Gli occhi di due colleghi la seguono mentre onduleggia, ma per ancestrale istinto già sopito, con occhi stanchi. E`la tecnico in Arti Plastiche. Insegna loro a disegnare. Fanno arte. Cosí si chiama la lezione. Tutti intorno ai tavoli, pennelli in mano, acrilici, colori, macchie. Riempono di colori i disegni o le cose preparate dalla Tecnico in Arti Plastiche. Vedo i miei bambini al kindergarten. Lo fanno con gusto. Riempiono con diligenza le zone da riempire di colori forti, belli, vistosi. Ne sono orgogliosi. Va molto bene cosí, certo.
 
Altro gruppetto è andato agli esercizi fisici. Dirige un giovane tecnico, anche lui uniformato. Serio, competente, compenetrato. Ogni volta che mi vede, mi stende la mano destra con un affondo energico di saluto. Fa sedere i miei colleghi-atleti tutti intorno a lui. E uno e due e tre e quattro.
 
Suona un telefono da qualche parte. Sale le scale una aiutante: “Chiamata al telefono per....” Tutti sperano che sia per lui, la telefonata. Ma è sempre per un`altra persona. E uno e due e tre e quattro.
 
Si sente adesso il passo rapido, nervoso, di una donna. E`la Direttrice. Anche lei giovane, anche lei carina.Tutte giovani e carine, certamente, qui. Anche lei semre con un bellissimo sorriso amplio stampato. Sguardo attento a cento dettagli. Efficenza da valkiria. Decide lei quello che possiamo o non possiamo fare. Ma obbediamo. Ha gli occhi luminosi come nelle Mille e una notte.
 
Che faccio io, qui? Anche io in attesa dell`ultimo treno per Yuma?
 
Esco al giardino. Sono l`unico ad avere piena libertà di movimiento, dentro e fuori del Residence. Esco al giardino, mi dondolo nel chinchorro di moriche, la amaca che portai con me dal delta Amacuro dell`Orinoco. 

E vedo la mia statua della India Gurí. La statua in bronzo, pezzo unico, di grandezza naturale, che modellai e fusi anni addietro di una India Warao di Venezuela e che anche portai qui, con me e che da una settimana ho collocato nel giardino del Residencial. Mi è particolarmente cara, qusta scultura, anche perchè mi aiutò, posando, la mia figlioletta oltre venti anni fa. È una indiana giovane, seduta pensativa su una roccia, con mani e dita aperte, dove le scorre l`acqua del suo Caroní. E l`acqua le scappa dalle mani, si dilegua tra le dita, come si dileguó la sua cultura e come si sta dileguando la mia vita.