12 lug 2011

Il Re Marcone

L'   antenato bandito calabrese.


“E questo qui, chi era, mamma? Era il bis bis bis bis bis bis bis bis bis nonno ?”
“Si, Aldino.”
“Allora é molto vecchio, vero? Vecchissimo.”
“Uh...Aldino... Molto di più! E´tanto vecchio che é già morto. Da tantiiiiiisimo tempo!”
“Ah...Quanto tempo? Tanti anni come la Nonna Yeye?”
“No, Aldino, sono... Molto di piú...E`stato...come quattro volte cento anni.”
“ Ah... Mama però dimmi, quanti sono cento anni?” “Bé. Aldino, cento anni sono quasi come il nonno, pero un po' di più.”
“Ah...mamma, però mi racconti di questo bis bis bis bis bis nonno che è come quattro nonni?”
“Si, Aldino adesso la mamma te lo racconta, Ma non é una favola sai, è una cosa vera...quasi vera..”
“Ah mamma, allora è un po' vero e un po' una favola?”
“Aldino , adesso ti racconto. Un tempo, moltissimi anni fa, nel sud di Italia ,non c era Italia. C´era la Spagna. E c’ era un Viceré”
Cos´é un Viceré, mamma?”
“ Aldino bello, un Viceré é quasi come un re, pero’ comanda solamene quando il Re non c'è”
“Così che a quei tempi, laggiù, in quell ´Italia che era Spagna, c´era un Viceré spagnolo.“
“Ah come Franco?”
“Beh, proprio come Franco, no, però quasi. Allora un bel giorno questo Viceré che era lui che comandava da quelle parti, volle sposarsi con una bellissima ragazza calabrese.”
“Cosa é Calabria, mamma?”
“Aldino stammi a sentire: ti ricordi quando la maestra vi ha detto che con la punta dello stivale il nostro Mussolini darà un bel calcio nel sedere agli Inglesi?”
“Certo che lo so, mamma, lo ha detto la maestra e ci ha fatto anche vedere un disegno un po strano...”
“•Una caricatura.”
“Ah bé..si un disegno dove si vedeva quello. E allora?”
“Allora la punta dello stivale è la Calabria.”
“Ah e allora con la punta dello stivale è che diamo i calci nel sedere?”
“Si, Aldino e per questo i calabresi sono tipi molto forti per dare calci fortissimi a tutti i nemici che ci sono”
“ Allora anche in Nonno Paolo Francesco é forte cosi?”
“ Certo, vedo che te lo ricordi bene. Allora Aldino, a un certo Viceré di Spagna che però comandava in Italia, e che era brutto, gli piaceva quella bella ragazza calabrese e si sposò con lei. Era molto bella. Bellissima. Con dei bei occhi neri brillanti, dei capelli nerissimo ondulati che sembravano di seta. E aveva un sorriso bellissimo. E tutti quelli che la vedevano dicevano: ma guarda che bella che è.”
“Era come te, mamma?”
“Eh eh eh Aldino....più o meno...però si...tua mamma era un po’ cosi da ragazza. Allora questa ragazza calabrese si sposò con il Viceré, pero non gli voleva bene. Era veramente brutto ma i suoi genitori la obbligarono a sposarlo. E a quei tempi le ragazze si sposavano con chi dicevano i genitori, e si sposò. Passarono due o tre anni e la ragazza che adesso la chiamavano la Duchessa di Alcalá, era sempre triste. Però un bel giorno, mentre passeggiava sola con la sua carrozza...
“Mamma, la carrozza come quella di 
Tontolomeo?” “No, Aldino, Questa di Tontolomeo che tu dici è una carrozza normale, di affitto, come un tassi, che sta in fondo a via Sivori, a Genova, dove adesso vive Nonna Yeye. Pero quella carrozza era una signora carrozza, molto bella, di lusso, elegante, con due cavalli e nella porta c`era lo scudo del Duca. E la Duchessa passeggiava nella carrozza e alle volte aiutava alle persone povere e regalava sempre qualcosa.”
“ Ah mamma, allora era buona?”
“ Si Aldino, era molto buona. Però era sempre triste poverina... Ma un giorno, passeggiando nella carrozza, vide qualcuno che la guardava molto fissamente...con molta insistenza. La guardava e la guardava Era un uomo giovane. Vestito un po’ come un povero, però era molto bello”
“Bello come lo zio Bersagliere, mamma?”
“Più o meno, Aldino, si. Bello cosi, con quegli occhi brillanti e un sorriso che gli illuminava tutta la faccia. Si vedeva che stava su bello diritto, come una persona che comanda, pero era vestito male. Si vedeva che non era un nobile, pero era molto bello. E quel sorriso e quello sguardo, io spero tanto, Aldino che anche tu li continui a avere da grande come li hai adesso; quel sorriso e quegli occhi, come li ha lo zio Bersagliere e come li aveva quel bis bis bis bis bis bis nonno tuo.. Lo sguardo e il sorriso, Aldino. Bene. La Duchessa lo vide, rimase a guardarlo, e rimasero a guardarsi un bel po’.
Finché si innamorarono.”
“E poi? si sono sposati,mamma?”
“ No Aldino, non potevano sposarsi. E mia mamma, tua Nonna Yeye, mi diceva che non potevano sposarsi perché, prima di tutto, la Duchessa era già’ sposata con il Viceré’. E se una donna e‘ sposata con un marito, non può’ essere sposata con un altro marito. Ti sembra Aldino ? Altrimenti i bambini avrebbero due papa’ e questo non si può’, ti sembra?”
“ Si, certo, mamma mi sembra che non si può”
“ E poi anche perché’ quell’uomo, anche se era bello e sembrava lo zio Bersagliere, non era nobile. Era una persona del popolo, un plebeo, in somma e queste cose non si potevano fare. Ognuno doveva sposarsi con una persona come lui. Pero’ questo giovane bello si era innamorato.
“ Come si chiamava, mamma?””
“ Si chiamava Marco Berardi. E poi lo chiavavano anche Re Marcone perché’ comandava tanta gente.”
“ Berardi? Mamma ? Come il nonno Paolo?”
“ Si, certo,Aldino, perché’ quell’ uomo giovane e bello era il bis bis bis bis nonno del nonno, e si chiamava come lui. Pero’. Sai? Era un bandito! Gli dicevano anche brigante.”
“Ah...un bandito? Di quelli che rubano e ammazzano?”

Aldino, non tutti i banditi sono uguali. Non tutte le persone che cerca la polizia sono persone cattive. Io spero che da grande tu capisca bene questo. Lui era un bandito buono, come Robin Hood. Ti ricordi, Aldino, di quella volta che ti ho raccontato di Robin Hood?”
“• Ah... Robinu’...Si lo so. Era anche lui un bandito perché la polizia lo cercava. Pero’ non era cattivo vero?”
“ No, Aldino, Robin Hood non era cattivo. Cattiva era la polizia del fratello cattivo del re d’ Inghilterra e lui si nascondeva nel bosco. Cosi’ come faceva questo bis bis bis bis nonno tuo che si nascondeva dalla polizia spagnola in mezzo agli alberi con lupi e orsi. E viveva solo. Pero’ poco a poco cominciarono a arrivare amici suoi  e cominciarono a essere un po’ tanti e per questo lo chiamavano Re Marcone. E sai cosa facevano?”
“ Che facevano, mamma?”
“ Questo bis bis bis bis bis nonno tuo con i suoi amici che lui li comandava, stavamo nascosti nel bosco e quando passava di la’ una carrozza con gli spagnoli ricchi, lui faceva l’ assalto alla carrozza e prendeva tutto l’ oro che avevano. E quell’ oro poi lo dava tutto ai poveri. Pero’ al Vicere’ che era il Duca di Alcala’ non gli interessava tanto quello che succedeva in campagna in mezzo ai contadini. Lui se ne stava a Napoli, divertendosi e che non gli rompessero le scatole.
Però un giorno, un prete spagnolo gesuita che era il confessore della Duchessa, andò dal Duca a raccontargli quello che la duchessa gli aveva detto nella confessione: che si era innamorata di quel tal bandito Marco Berardi e che ogni tanto andava a trovarlo e stava li con lui nel bosco a darsi tanti bacini. “
“ Ah...si volevano molto bene, mamma?”
“ Si, Aldino, si volevano molto bene. Ma quando il Vicerè seppe tutto questo dei bacini, diventò verde dalla rabbia, anzi, tutto giallo come dicevano i suoi medici. E li mandò subito a cercarli. Mandò tutto l`esercito perché non scappassero. Però sai,Aldino, si eran dati tanti bacini che erano stanchi morti e si erano addormentati tutti e due. E quando arrivarono quelli della polizia spagnola li arrestarono e li riempirono di catene. Il Duca non volle nemmeno vedere la Duchessa e la mandò  in un convento dalle monache. E a lui gli misero ancora piú catene e lo lasciarono senza mangiare per un sacco di giorni. E quando era mezzo morto de fame , lo ammazzarono completamente. E lo ammazzarono perché si era innamorato di chi non doveva.”
“ E tu mamma, quando ti sei innamorata di papà, non era proibito? Non dovevi?”
La mamma si mise a ridere.
“ No, Aldino. Non era proibito, E potevo innamorarmi e mi innamorai di tuo papà. E dopo tanti tanti bacini, un bel giorno sei nato tu..”
                                                          ***





5 lug 2011

La mia cuginetta Taluscia

(1935-1939)
Un giorno la mamma mi disse:
” Aldino,  adesso papá é diventato piu importante e tra un po´ andremo a stare a Roma. Prima di partire andremo peró    a  salutare la tua maestra e i tuoi compagni di classe. “
 Compagni non ne avevo tanti, perchè la mamma non voleva che stessi molto con loro, sennó imparavo le parolacce. Era la mamma che veniva quasi sempre a prendermi a scuola. Cosí le parolacce non le imparavo. Papá diceva che cosí mi faceva crescere come un gelsomino. Ma lui non poteva venire a prendermi  e stare un po con me perché lavorava molto. Lavorava nel Banco e nella Confederazione Fascista.  Nel Banco lo pagavano, ma nella Confedarazione no.  E la mamma diceva  cha la Confederazione gli rubava il marito il sabato e la domenica. Ma alla mattina era quasi sempre   lui che mi accompagnava   quando anche lui andava in ufficio.
In casa io giocavo con Taluscia, che era la mia cuginetta Carla. Era molto carina  Carla. Un poco piú  piccola di me. Certo.  Ma io ero  maschietto e lei solamente una bambina. Peró era molto bella. Certo non come la zia Titti, perché era ancora bambina e non le erano ancora cresciuti bene i capelli. Anche Carla era bionda. La mamma diceva che perché nella famiglia di papá erano delle Alpi, del Nord, e che erano austriaci.   Anche la zia Irma era bionda. Era tanto buona e io le volevo tanto bene quasi come alla mamma, peró era un po brutta, poverina e piccola. Io non ero biondo e la mamma nemmeno. Peró eravamo belli. Lo dicevano tutti. E la mamma mi diceva che io ero piú come lei, come la familia della mamma che erano del sud.  Con i capelli belli neri, ondulati e forti,  e gli occhi che brillavano. Allora andai allo specchio a vedere se mi brillavano gli occhi, ma  mi sembrava che  non mi brillavano tanto.  Nemmeno a Carla le brillavano gli occhi ma perché erano celesti.  La mamma diceva che gli occhi celesti del nord non brillavano perché sembravano lavati con sapone. Che erano bellissimi anche gli occhi blu, ma quelli blu non sono del nord ma del sud. Ce ne sono pochi ma  sono i piu belli di tutti. Peró Carla era  bella, anche se aveva gli occhi lavati col sapone. E aveva dei riccioli belli. Biondi. Ah, i boccoli, come quella bambina che piaceva tanto a me  ma che era del cine e la vidi una sola volta che la mamma mi portó a vederla. Si chiamava chirlitemple,  ma non era italiana. Ma Carla mi diceva lasciala stare perchè da grandi ci sposiamo noi.   Peró un certo giorno, prima di noi, Carla era andata a Roma con il suo papá  e la sua mama perchè anche suo papá era diventato importante e lavorava con il Prefetto.  E io mi ero quasi dimenticato di lei.  Peró non avevo piú con chi giocare. Alle volte giocavo un po’ con la zia Irma ma i grandi non sanno giocare bene. E la zia Irma  aveva i geloni.   Io non sapevo cosa erano perchè non li avevo  mai visti.   Peró la zia Irma mi insegnó a cantare quello che lei cantava quando stava nel collegio delle monache,  in Friuli. Dindine Dindone. Lei diceva che non era italiano. Peró la zia Irma scappò dal Friuli quando durante la guerra arrivarono i Krauti ( Austriaci) che mangiavano i bambini. Peró  alla zia non se la mangiarono perché parlava quasi uguale  e era bionda come loro. Pero' quando la mamma mi disse che andavamo anche noi a Roma ero contento cosi potevo giocare ancora con Carla. Nel treno  si viaggiava di notte  e quando uno si sveglia é arrivato a Roma.
 La mamma era nata a Roma, peró prima. E la mamma parlava come i romani. Pero sapeva parlare anche come quelli di Genova, come la zia Gigetta che quando parlava genovese io non la capivo mai. E la mamma sapeva parlare  anche come quelli di papá. Io no. Io non capivo niente. Capivo solo se parlavano normale.
Quelli di papá se la ridevano e dicevano  che ero terun-del-ostia  e    quasi africano.   A papá quelli di Roma non gli piacevano tanto e nemmeno quelli di Napoli. Per questo papá non mangiava spaghetti ne la pizza, perché diceva che erano cose di napoletani. Lui mangiava  il risotto e la polenta e il zuff.  Peró papá aveva un po ragione, perche' una volta mi ha portato a Napoli a trovare una specie di parente, diceva papá, e  quelli li mangiavano gli spagheti con le dita. E non dicevano “testa” ma dicevano “capoccia”.
Pero  quella volta  era  la prima volta viaggiavamo in treno da Genova a Roma. E la mamma mi disse di stendermi tutto sui tre posti come se fosse un letto,  cosi nessuno si metteva nel nostro scompartimento. C`erano i vagoni di prima classe dove viaggiavano i ricchi. C`era la seconda dove viaggiavamo noi. E c´era  la terza dove viaggiavano quelli che puzzavano. Peró io volevo vedere la gente. Ero tutto emozionato. Le stazioni avevano un odore stranissimo e tutti fischiavano. E in ogni stazione la gente  del marciapiede correva  su e giú e  parlava differente. Pero nel nostro  scompartimento       si mise un  signore  bruttissimo e grasso e pieno di valigie.  E si mise a fumare la pipa senza nenche dire buona sera. E a me il fumo mi dava la  tosse. La mamma glielo disse. Ma il signore non diceva niente e fumava. E io tossivo. Allora la mamma mi disse: aspetta, non ti muovere! E usci e tornó subito dopo con un soldato di quelli in camicia nera. E gli disse di andare in un altro scompatimento. Quel signore scappo'  subito via con tutte la valigie e sudava.  Ma la mamma non lo aiutó. E quella volta vidi che gli occhi della mamma brillavano davvero. Mi misi a dormire e pensavo alla maestra.  Quando ero andato a salutarla perché partivo, mi venne voglia di darle un bacetto.  E la abbracciai tanto, anche. E la maestra si mise a piangere. Non avevo mai viso piangere una maestra. Le maestre piangono senza fare rumore. Mi abbracció molto. Mi disse qualcosa che io non avevo capito.  Peró poi la mamma mi disse che lei aveva detto che non si dimentichera' mai di me. Che  a Roma da grande sarei stato tra le gente importante. Peró disse,  e questa volta la sentii che piangeva un po' di piú, disse che “anche quando saró diventato  un Grande Gerarca lei  ricorderà sempre  il mio visetto innocente di ragazzino..”  Io non sapevo cosa era un Gerarca. Non lo sapeva bene nemmeno la mamma. Papá ci disse che Gerarca è una Grande Capo delle Camicie Nere.
“ Come Mussolini?” chiesi alla mamma.
 La mamma rise e mi abbraccio:
“ No, come Mussolini, no, E´impossibile essere come Mussolini. Peró sarai importante... quasi come Mussolini !”.
 Cosí mi disse la mamma.
Bene. Poi siamo arrivati a Roma. Roma é come Genova con tanta gente e tanti tram, autobus  e filobus.  Peró non ci sono tante scale e scalini come a Genova. Quasi non ce ne sono. E poi c è tanta acqua dappertutto. Acqua freschissima e tante fontane e fontanelle senza rubinetto. Pero Carla non c`era. Viveva vicino a noi con la sua mamma e il suo papá. Ma non stava piú con noi, insieme, nella stessa casa, come prima,  a Genova. Io la  vedevo qualche volta dalla terrazza.  Noi avevamo due terrazze grandi. E da una io la vedevo. Qualche volta ci salutavamo da lontano Ma niente  di piu. La gente grida molto a Roma. A Genova non grida nessuno. A Roma si.  La mamma mi ha portato una volta al mercato e tutti gridavano moltissimo. Credevo che litigavano, ma no. Gridavano POMMODORI  POMMODORI e tante altre cose cosi' . La zia Irma diceva che i romani sono molto sguaiati maleducati, perché  una volta che stava salendo su un tram pieno di gente e lei non poteva entrare in fretta, un tipo le gridó: “E movi ‘sto culo grosso !!!! “ E non si deve dire culo perche è una parolaccia. Ma il romano lo disse e lo  disse gridando  e le mise una mano sul sedere alla zia Irma per spingerla dentro al tram. La zia Irma  gridó come se la stessero ammazzando. E tutti a ridere come matti. Anche io mi misi a ridere. E la zia Irme mi dette una sberla tremanda! Fu la prima e ultima  volta. La zia aveva ragione. Non dovevo ridere, io.   Ma quel romano che spingeva il sedere della zia mi faceva proprio ridere.
 Peró a Roma si marciava. E il sabato dalla scuola tutti in divisa marciavamo e a me mi piaceva marciare. Avevamo un bel fucile, il moschetto, e tutti contenti marciavamo. A me mi diedero un bel tamburo e con il moschetto a tracolla e il tamburo io suonavo il tamburo per la marcia. Io e alri due Balilla. Cosi eravamo tre avanti a tutti, aprivamo la marce tutti ci guardavano. Eravamo i piú belli. Con noi c´era  anche il mazziere che faceva fare le capriole al mazzo. Ma ogni tanto gli cadeva per terra. Ma allora non ero già piú Figlio della Lupa ma ero diventato Balilla. E ero anche diventato Capo Scuadra. E avevo un bel Medaglione nel petto con il ritratto del Duce. Nella strada, marciando e suonando i tamburi,  cantavamo le canzoni  contro i negri anche se ormai li avevamo ammazzati tutti. Peró mancavano ancora  da ammazzare  gli inglesi che erano tutti brutti e con i denti storti  lunghi  e gialli. Pero in questo ci aiutavano i tedeschi che erano i nostri camerati. Erano belli i tedeschi. Piu alti di noi e quasi tutti biondi.  Nelle stazioni dei treni, quando arrivava un teno con soldati tedeschi, loro uscivano dai vagoni, si spogliavano quasi tutto e si lavavano con l ´acqua  che era  per le caldaie delle locomotive.  I nostri soldati no, non potevano lavarsi. La mamma diceva poverini con questo caldo no li lasciano farsi neanche una bella doccia. Peró una volta mi disse che tutta questa mania di lavarsi dei tedeschi era perché erano sempre molto sporchi, puzzavano  e avevano molto sporco da togliersi di dosso. Imparammo a cantare una bella canzone tedesca, ma noi la cantavamo in italiano. Si chiamava Lili Marlin. Era la storia di una ragazza tedesca innamorata di un soldato tedesco.  Le ragazze sempre si innamorano perche non hanno mai altre cose da fare che parlare di amori e innamoramenti.  Io ogni tanto pensavo a Carla, a Taluscia, pero Carla diventava sempre piu grande e  non mi pensava piú tanto. E non voleva piú che a chiamassi Taluscia. Cuado ero molto bambino la chiamavo  Taluscia. E qualche volte mi dava qualche bacino. Ma da quando era a Roma, mi diceva che lei era Carla. E non piú Taluscia.
 Un altro giorno papá voleva andare a  vivere in una altra parte di Roma. Era un appartamento molto bello. Si diceva attico, penthouse. Da li si vedeva tutta Roma. Beh, non propio tutta ma quasi.  E c`era un ascensore! Non ero andato mai in ascensore,
 Solo una volta, la mamma mi aveva portato alla Rinascente, a Roma, vicino alla Banca di papà, dove avevano inaugurato in quei giorni la scala mobile, per andare al piano di sopra. E andai su e giu' per un pezzo.  Peró non era ascensore. E quello nostro  arrivava da sotto, dal piano terra,  fino a casa nostra.   In questo appartamento a papá gli piaceva stare vicino alle finetre per vedere il panorama... E vedevamo tutto.
 Anche Piazza Venezia dove sempre lavoraba Mussolini. E lavoraba anche di notte, perche noi vedevamo la luce accesa fino a tardissimo. Papá era amico del Generale Garibaldi, che viveva nel piano sotto di noi.  Era un signore un po’ anziano; papá mi disse  che era il nipote di quel Garibaldi del ritratto nella scuola di Genova. Peró era vestito normale, non con il poncio e la camicia rossa. Peró aveva una sposa che non era una sposa. La mamma diceva che i Garibaldi non erano religiosi e non si sposavano. E questa signora era molto carina e sempre profumata. Papá giocava a scacchi con questo Generale Garibaldi e sempre faceva il baciamano alla sposa che non era la sposa. Il generale era molto importante peró papá lo vinceva sempre a scacchi. Pero' alla mamma non piaceva tanto questa sposa che non era la sposa.  Me ne resi conto una volta. Peró papá giocava anche bridge con l´ Ammiraglio Scognamiglio che viveva due piani sotto di noi.  Lui sí,  era abbastanza anziano. Una volta mi disse che aveva 82 anni.  Era sempre molto elegante e aveva degli occhiali strani  perché erano per un occhio solo. Chissá aveva perduto l`altra metà con tante empeste nel mare.  Giocavano sempre in quattro. Ma non giocava mai il figlio dell`Ammiraglio. Il figlio dell´Ammiraglio era un signore brutto, era Senior de la Milizia Facista. Papá diceva che era cretino come tutti quelli della Milizia Fascista. Questo non lo ho capito mai bene come si fa a essere importanti e anche cretini.  Peró  la mamma mi disse che non bisognava ripetere questo, perché papá lo diceva per scherzo. Pero il figlio dell`Ammiraglio era veramente brutto, piccolo e mezzo storto. Cosi un pó  come era brutto  il mio maestro.
Sí, il mio maestro, perche a Roma non avevo una maestra come a Genova ma un maestro,  brutto e che somigliava una tartaruga. Peró aveva un automobile. Si chiamava Balilla, come me, l’ autmobile, pero aveva una targa stranissima. Non diceva Roma come le altre Automobili. Ma diceve R.S.M.  Reiubblica di San Marino. Insomma non era come noi che era Regno d´Italia con il Re e con il Duce.  Quella del maestro era solamente una Repubblica.
E il maestro sempre invitava a me e alla mamma a andare a spasso con la sua autmobile. E la mamma diceva sempre  di no. Una volta quasi mi misi a piangere perché il maestro  ci aveva invitato a andare  tutti e tre alla spiaggia di  Fregene dove lui aveva una bella casetta per l´ estate.   Io ero felice. Peró la mamma disse di no  ancora.  E  a me diceva ridendo che era troppo brutto. E la veritá era che si, era veramente brutto.  
E adesso basta. Mi sono stancato di raccontare




28 giu 2011

La Zia Edvige-La Zia Titti

 ( Un giorno  o due o tre nella vita di un ragazzino europeo di sette anni nel 1.935, o giu di li.)
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La mamma mi sveglió:“ Su, su, Aldino, dai…Sbrigati ¡  Devi andaré a scuola! Non fare tardi !
Avevo sette anni. Facevo la seconda nella mia scuola di Genova. D´inverno sempre si andava a scuola. D`estate, no. C ‘erano le vacanze e si andava al mare. Si  andava al mare allo stabilimento.  Peró nel periodo della scuola sempre faceva freddo.
La mamma  mi aiutava a mettermi i calzettoni di lana. La notte prima me li toglievo e li piegavo e li mettevo vicino al letto, sopra le scarpe.  La mamma era lei che diceva quando bisognava cambiarli, ma non tutti i giorni, certo. Faceva molto freddo. Era ottobre. A Genova fa  freddo in ottobre. Non é come a Napoli che quelli laggiú sono africani, diceva papá. La mamma rideva. Era molto bella la mamma quando rideva. Diceva a papá di stare attento perchè lei aveva il sangue calabrese. E ridevano tutti e due. E allora ridevo anche io.
Poi andavo al bagno. Veramente si diceva cesso, come a scuola. Ma cesso era quando  per la pupú non ci si sedeva  si stava in equilibrio e si stava li  attenti a non scivolare. Papá era gia andato e la mamma anche. Mancavo solo io. A Genova non c’ é tanta acqua. O era cara, non so. Bisognava stare attenti, non sprecarla. Cosí che io facevo la pipí, papá la aveva già fatto e anche la mamma. Non si poteva tirare la catena dell`acqua solamente per il poco pipí di una sola persona. Peró in tre, giá si poteva. E allora la mamma veniva per tirare la catena, Io non ci arrivavo. E l´ acqua scendeva dall`alto, dal serbatolio. Certo che se si faveva pupú, si tirava l`acqua subito, sennó puzzava. Peró alle volte quando  io avevo fatto la pupú, dopo entrava subito la mamma anche lei per farla. Cosí si tirava l’ aqua una volta sola.
Poi mi lavavo la faccia e le mani. “Metti i polsi  sotto l’ acqua” diceva la mamma “ cosi ti svegli bene”.  La mamma era molto ordinata e sapeva tutto.
Peró i denti non me li lavavo tanto. Sí, é vero, la mamma me lo diceva ma non si usava molto. Nonna Yeye diceva che i contadini azzanano  con i denti una mela e cosi si lavano i denti  e non è necessario spendere per quei tubetti. E diceva che  usare quella roba lí dei tubetti era di “quelle”; non ho mai saputo chi erano quelle.
Poi mi mettevo i miei pantaloncini corti. Estate o inverno erano sempre i pantaloncini corti e a sedersi a tavola per il “ caffellatte”. La mamma mi  riempiva la tazza di latte caldo, ci metteva un po di caffé ( ma non era proprio caffè) e zucchero di quello marron, che costa meno e fa bene. Pero lo zucchero lo metteva la mamma, perché non doveva essere troppo ! Doveva durare fino al 27. Chissà cos´era ‘sto 27!
A me il caffellatte piaceva dolce e alle volte la mamma me ne dava un cuchiaino in più e mi sorrideva come se avesse fatto una biricchinata. Poi io riempivo la tazza di pane, ci ficcavo un sacco di pane dentro. Poi prendevo la cartella e … via! Corri alla scuola!
“ Hai messo i quaderni? Quello a righe e quello a quadretti? E  l `astuccio di legno  con le matite colorate? E il temperalapis? e la penna? e il pennino?”
Certo che mettevo tutte quelle cose e anche il nettapenne, si chiama, quell`affarino di feltro che serviva per pulire il pennino prima di intingerlo nel calamaio a scuola. La nonna Yeye lo faceva lei, quando ne aveva voglia. La nonna Yeye era molto importante perché era nata in un castello, vicino a Roma.  E ogni tanto    diceva : Mahhhh  e sospirava.  La mamma mi diceva que la nonna Yeye pensabva semre alle cose lontane e non faveva niente. E la nonna Yeye diceva che si era fatta le molle per non scottarsi le dita. E parlava sempres strano  quella nonna. Un giorno la mamma mi disse che da giovane la nonna Yeye era scappata dal castello per sposare il nonno. Ma l’ altra nonna non poteva  fare niente, nemmeno il nettapenne, perchè era giá morta.
“ E non ti sporcare tanto con il calamaio e  con l’  inchiostro”  mi raccomandava la mamma. “ Peró, Aldino, se ti sporchi, cerca di lavarti le manine a scuola prima di venire a casa.  Perchè lí  hanno il sapone e non costa niente.”
 Pero l`acqua della scuola era buona solo per lavarsi le mani. Non si poteva bere. C`era  un’ altra  fontanella che diceva acqua potabile. Pero solo per bere. Non per lavarsi.
 E allora uscivo  di casa correndo e scendevo per quei tantissimi scalini che stanno da tutte le parti , a Genova.  A Genova quasi non si usano le strade. Solo per gli autobus, per i tram e le poche automobili. Erano     tutte scorciatoie. Certe volte mi accompañava papá e io ero molto orgoglioso. Perchè papa era bello, il piu bello di tutti. Elegante. Usava la bombetta. Erano pochi a usarla. Papá non era un operaio che andava senza cappello o con il berretto unto  con la visiera.  No, papá era elegatissimo  sempre,  con  il     gilè, le ghette bianche.  Alle volte usava un bastoncino di bambú con il manico di argento! Papá lavorava in un banco. Pero non mi lasciava usare il suo bastone. Una volta la mamma me lo ha lasciato toccare e mi guardavo allo specchio. Si arrivava alla scuola che si chiamava come la mamma di Mazzini,  Celesia  Mazzini. C`era un bel ritratto di lui nella scuola. Non di sua mamma, ma proprio del figlio.  Di Giuseppe Mazzini. E diceva sotto PENSATORE. Sarà che pensaba molto. Pero aveveva una faccia un poco triste. Sarà che quello che pensava non gli piaceva tanto. Era magro, anche ,con una specie di fragetta sulla fronte. E di fianco a lui , a Giuseppe Mazzini, c`era una`altra foto grande di Giusepe Garibaldi.
Questo sí,era simpatico. Un po vestito strano, con i capelli biondi lunghissimi.  E diceva Eroe dei due Mondi. Io credevo che si fosse un mondo solo.  Chiederò a papá. Lui sa queste cose. La mamma no, la mamma dice che lo chieda a  papá. Peró  mi da piu bacini la mamma del papá eh!  E anche piú zucchero nel latte. E Mazzini e Gabribaldi erano nati tutti e  due a Genova. Peró io mi chiamo Aldo e loro si chiamano Giuseppe, tutti e due. Il bidello stava sempre al portone della scuola con un grande grembiule grigio. Era un po vecchio, aveva i  capelli  tutti  bianchi, ma aveva un fischietto che si sentiva dappertutto e ci faceva entrare a scuola.  Ah era una scuola di tutti maschietti, diceva la mamma, meno male. Il portiere ci metteva in fila due a due  per  entrare in classe.  Lí c’ era sempre la maestra.   Era un po’  cicciottella come diceva la mamma. Cicciottella era una parola que a Genova non si diceva. La diceva la mamma perché la mamma era di Roma, e li sanno piu parole. E la maestra aveva i  capelli messi rotondi, dietro, come mamà Tortella, la mamma di Bibí  e Bibó. E che era la sposa del Capitan Coccoricó. Era sempre vestita di nero la Maestra. O chissá era un grembiule nero per non sporcarsi il vestito. Era molto buona  e molto dolce. Peró una volta lei non c´ era e c`era  una maestra che si chiamava Supplente. Pero no era como la maestra vera: era magra e brutta.  La mamma la chiamava Maripopi.  E una volta eravamo in classe e avevo bisogno di fare pipí subito. Alzai la mano con le dita a V come si doveva fare.  Ma lei mi disse di no, che tra un momento andavamo tutti. E infatti  suonó subito il campanello e tutti in pìedi per andare al bagno, ordinati: una fila di qua e una di la del corridoio. Ma a me mi scappava.  Strinsi le gambe ma la pipí mi uscí: me la feci addosso.  Non tutta ma un po. Si vedeva in terra  Che vergogna. Tremavo  tutto. Finalmente la maestra mi vide e mi disse súbito:” Macor, corri al baño.” E  ci andai di corsa  lasciando     goccette qua e la... e i compagni che ridevano.  Una vergonga!
Peró dopo la mamma  mi disse di non preoccuparmi e rideva con me peró era anche arrabbiata con la maestra. Poi mi disse  che mi cambiava le mutandine e i pantaloncini e li lavava subito  e li metteva a seccare vicino alla la stufa, quella cosa que aveva un tubo grande ma che non bisognava toccare perchè bruciava. E quando faceva molto freddo si metteva la legna dentro al fuoco. E i pantaloncini si seccarono bene per il giorno dopo. Peró mi vergonavo tanto. Le dissi per favore di non dire niente a papá. Pero non ho mai saputo se poi glielo aveva detto o no.
Ah ecco. Quando entravamo in classe, alle otto della mattina, ci mettevano tutti in fila in piedi, al lato del banco,  che eravamo due per banco. E in piedi dicevamo  l´Ave Maria. Certo, si pregava per papá e mammá. Mai si deveva mamma e papá. Mamma e papá si diceva quando eravamo in casa che parlavamo tra di noi, e si diceva mamma e papa. Peró  fuori si diceva Papá e Mammá, e Papá era primo, certo, perchè  era l `uomo.  Peró si pregava anche per il Re e per il Duce e anche per Gesú, che era sopra gli altri due. Certo Gesú non aveva bisogno lui che lo pregassimo, pero lo pregavamo per chiedergli cose. Una volta alla settimana veniva il prete per spiegarci perche dovevamo pregare. Peró sempre diceva le stesse cose  e gia le sapevamo. Pero tutti sapevamo ormai che bisogna pregare Dio perchè non si dimentichi di noi. E Dio sapeva tutto, anche i nostri pensieri. Diceva il prete e bisognava stare attenti sennó si andava a finire all`inferno che é come una stufa ma piú grande. Quando la Maestra metteva la carta dell`Africa vicino alla lavagna, avevamo conquistato una cittá in Abissinia e la Maestra metteva una bandierina sulla citta  che era stata liberata da noi italiani. Ma la bandiera si metteva anche alla finestra della casa.  Io ero orgogliosissimo uno zio mio, il fratello di mia mamma, era bersagliere, aveva le piume sul cappello e stava combattendo in Abissinia per vincere i negri cattivi e liberare i negri buoni. E io speravo che lo zio tornasse presto cosí mi  raccontava le sue avventure di guerra. Peró quando tornó era gia stanco di raccontarle e stava per sposare la zia tedesca.  Sí, la zia Edvige; yo le dicevo la zia Titti perché era piu facile. Era tedesca austriaca, molto bella, biondissima  peró no le piaceva tanto a mia nonna Yeye e nemmeno alle altre zie. Peró a me mi piaceva perche era molto bella. Era la piú bella di tutte le zie e parlava in una manera strana che a me mi faceva ridere un po. Pero io rimanevo a guardarla. “Ma cosa guardi?” mi diceva la zia Irma. E io le dicevo che guardavo la zia Titti perche era tanto bella. E la zia Irma non diceva niente. Anche lei era bionda ma diversa.  Una volta io stavo un po male, a letto, e la zia Titti era venuta a visitarmi e si  era seduta vicino a me sul letto. Io allora le acarezzavo la mano. Era tanto bella la sua mano. Non come la zia Irma, poverina, che aveva le mani dure perché dava sempre la cera in terra, stava in ginocchio  e dava la cera con le mani. Pero poi, dopo un po, tutti si arrabbiavano con la zia Titti perche era troppo bella. Dopo un po lo zio bersagliere andó un`altra volta in guerra. Pero questa volta non era contro i negri cattivi per auitare i negri buoni. Questa volta era contro gli inglesi che erano cattivi tutti. E erano tanto cattivi che lo hanno persino ammazzato, allo zio Bersagliere.  Cosi la povera zia Titti rimase sola ma siccome era tedesca aveva amici tedeschi. E questo non le piaceva alla Nonna Yeye e nemmeno alla altre zie. Pero a mia mamma si, diceva che la zia Titti aveva ragione. E a mio papá anche gli piaceva molto la zia Titti. E alle volte mio papá cantava con lei e al piano suonava la zia Jole. Anche la zia Jole aveva delle belle mani, ma non come la zia Titti. Peró quando i tedeschi in Italia cominciarono a essere un po´ padroni, le zie dicevano che la zia Edvige tradiva la memoria dello zio.  Io non ho mai capito bene questo tradire la memoria dello zio.  Peró io so che in quel periodo avevo sempre fame, tutti avevamo fame, solo la mamma diceva di no e mi dava molte delle sue cose da mangiare.  E la zia Titti portava molte cose da mangiare  casa della Nonna Yeye. E la nonna le distriuiva tra le zie. Cosí che io mangiavo il pane tedesco. Il pane tedesco non   è bianco come il pane nostro. E`molto scuro e quadrato e si chiamava pane di broten. Pane nero. Peró noi non lo avevamo ne´ bianco ne´ nero. Pero alle zie mai le piaceva la zia Edvige. Certo lei era bella e elegante e aveva amici importanti, ufficiali tedeschi, que erano i suoi paesani. Peró poi i tedeschi persero la guerra, arrivarono y comunisti Yugoslavi, le tagliarono tutti quei bei capelli biondi larghi e poi la amazzarono. 
Ma per oggi non voglio ricordare piu altre cose.