20 set 2014

5/8. italiano,. STORIA SI...MA... da WICKLIFF a SPINOZA

 47/                        JOHN WICKLIFFE

                                      1320-1384



Sin dai primissimi tempi cristiani ci furono discussioni, concili, decisioni, per i vari criteri di diversi pensatori, filosofi e religiosi su quesiti che si presentavano alla nuova religione; così come generalmente si verifica agli inizi dei grandi movimenti di opinione. La nuova idea  prende forma, si amalgama, si adatta ai tempi e luoghi, fino ad acquisire un corpo di norme che si considereranno definitive. Ma niente è statico nemmeno nelle religioni perché anch'esse prodotte dalla mente dell'uomo, unico essere creativo cosciente nel nostro universo ed in costante evoluzione. Così che vediamo anche nella storia della cultura religiosa la mente dell'uomo che la modifica e continua a porsi quesiti nuovi.

Fu un inglese, il primo che si azzardò in Europa a criticare l'autorità, fino al momento quasi indiscussa, della Chiesa Cattolica Apostolica Romana e del suo massimo rappresentante sulla Terra, il Vescovo di Roma, il Papa, Vicario di Dio.
Con John Wickliffe si inizierà la scintilla che dal centro nord Europa darà inizio ad una grande riforma negli atteggiamenti e nei sentimenti religiosi cristiani. Questa "protesta" si manifesterà anche come notevole desiderio di rinnovazione o addirittura di indipendenza dalla teocrazia  di Roma ritenuta troppo mondana. Il tutto con un solido contorno di motivi di  peso: i quattrini ed un certo orgoglio tipico germanico nei confronti del latino.
La differenza nel modo di agire, pensare e vivere è ancora notevole oggigiorno tra i popoli del nord e quelli del sud Europa; quasi mille anni addietro era molto più accentuata.
I buoni sassoni germanici,  più risparmiatori dei mediterranei spendaccioni -- la cicala e la formica -- cominciarono a stancarsi di pagare l' obolo della cristianità europea a San Pietro per opere d'arte considerate pressoché inutile lusso. Per invidia o per quello che fosse, non intendevano continuare ad essere i finanziatori dello splendore del Rinascimento italiano e della Corte Papale. Corte che con su Curia romana continuava in quasi appannaggio delle famiglie principesche italiane. Avevano tutti i torti ?
Così apparve un inglese, come detto. Ma non un inglesuccio qualsiasi dallo sguardo scialbo, ma un tipo di carattere, professore molto stimato dell'Università di Oxford, John Wickliffe, teologo, riformatore e più tardi fondatore del movimento dei Lollardi e considerato da molti come l'iniziatore del movimento protestante.
Chissà il suo enunciato più importante teologicamente fu il negare la transustanziazione. Ossia negare che il vero sangue ed il vero corpo di Gesù Cristo fossero presenti nell'Eucarestia, -- l'Ostia della comunione -- ma che si trattava solamente di un simbolo. Senza dubbio una discussione di questo genere si presenterebbe ridicola  oggigiorno con tanti altri problemi più concreti e visibili per l'umanità. Però a quei tempi la religiosità nella sua forma "originaria" o folclorica come nelle sottospecie superstiziose, permeava il vivere quotidiano. Ed aveva il suo peso.
Altre considerazioni di carattere teologico furono:
1) La devozione del sacerdote era imprescindibile per poter realmente somministrare validamente i Sacramenti (battesimo, cresima, comunione, confessione, matrimonio...). Se lo stesso sacerdote era in peccato,  il sacramento non poteva considerarsi valido. E questo il nostro inglese lo affermava decisamente, mentre Roma altrettanto decisamente pensava  molto diversamente. Con la corruzzione e la lussuria imperante nella Santa Roma, dove si sarebbero potuto trovare sacerdoti puri? D'altro lato, come poteva il credente essere sicuro che il sacramento a lui somministrato fosse valido? I suoi figli, se nati con un no-matrimonio  perche invalidato da un prete in peccato mortale, sarebbero stati figli illegittimi ?
Chissà il concetto del Sacerdos in aeternum della Chiesa era meno puro ma dettato dall'esperienza. E di questo parleremo chissà un poco più avanti.
2)Altra considerazione di Wikliffe era ammettere una specie di predestinazione. Il suo ragionamento, scarnificato era: Se Dio nella sua onnipotenza conosce passato, presente e futuro di tutto e tutti, sa da sempre chi sia il predestinato all'inferno, al paradiso o al purgatorio. Se un uomo ha il suo destino segnato prima ancora di nascere, qualunque cosa possa fare  di bene o di male nella sua vita, dove andrebbe a finire il libero arbitrio ? 
3) Wickliffe non fu il primo in assoluto a tradurre i Sacri Testi, giacché erano già stati tradotti dall'arameo o ebreo o greco al latino. E furono tradotti, allora, e con non  pochi errori, nel latino della "Vulgata" cioè della di-vulgata edizione in latino medioevale del IV secolo.
Però mille anni dopo l'edizione della Vulgata, nel secolo XIV il popolo europeo, il volgo, non parlava più latino. Ne' il classico di Cicerone ne' quello della Vulgata e tanto meno il greco o l'arameo. Latino e greco erano riservati agli eruditi o a certi chierici. Ed il professore di Oxford fu il primo a tradurre i Sacri Testi  nella lingua volgare  parlata e quindi comprensibile ai suoi connazionali: l' inglese della sua terra e della sua epoca, del secolo XIV.
Non esisteva ancora la tipografia di Guttemberg ne' le edizioni di Aldo Manunzio. Non fu quindi una cosa facile. Ma Wikliffe era convinto che la Bibbia doveva poter essere letta direttamente  dal popolo. Quel popolo che a dura pena poteva leggere in volgare, ma sicuramente non in latino. 
Però mettere a disposizione i Sacri Testi con una edizione in volgare contemporaneo e quindi comprensibilissimi a tutti gli alfabeti era un atteggiamento  contro la volontà di Roma che pretendeva il monopolio delle Sacre Scritture. Ed anche di questo parleremo, chissà, un poco più avanti.
4) Sosteneva anche la esistenza di una relazione diretta tra Dio e l'uomo, escludendo quindi l'intervento protagonico della Chiesa. E criticò severamente alcune altre pratiche della Chiesa come contrarie allo spirito cristiano, come la schiavitù e la guerra.

Altre considerazioni meno teologiche si riferivano al potere temporale della Chiesa di Roma.
1) I veri cristiani dovevano ritornare alla povertà apostolica dei primi tempi. La Chiesa doveva pagare tasse e imposte per tutti i suoi beni temporali, così come le pagavano i proprietari laici. Naturalmente l'applauso fu da parte di tutti gli invidiosi dei beni ecclesiastici e l'anatema scandalizzato da parte dei chierici chiamati a pagare  di imposte.
2) Scrisse contro gli "attriti" tra Avignon e Roma. Ebbe l'ardire di comparare lo Scisma ad una lite tra cani per un osso, con lo scopo unico di ottenere potere ed una alta posizione nella società.
Era  logico che i poderosi ella terra, come l`alto clero, i laici o i principi condannassero il sognatore di Oxford. Chi sta bene favorisce los STATUS QUO ANTES e non si avventura in novità pericolose. Finalmente un Tribunale ecclesiastico non tardó a  dichiararlo  eretico e fu destituito dalla cattedra in Oxford. Era il minimo che poteva succedergli e si salvò dal carcere grazie alle sue importanti conoscenze ed ad un certo atteggiamento del Parlamento Inglese che in certo senso difese il compatriota  dalle pretese Romane.  In qualsiasi altro paese sarebbe stato dato alle fiamme purificatrici.

Ma circa trent'anni dopo la sue morte, nel 1414, il Concilio di Costanza esumò quel che restava del suo corpo, dette alle fiamme purificatrici i libri di Wycliffe e le sue ossa. E poi il tutto “fu buttato a fiume”, il fiume Swift.

Ma lui non lo seppe mai. Continuò il suo sonno eterno, forse soddisfatto di aver suscitato il vespaio. 










         48/                     JAN HUS

                                   1373-1415


Jan Huss, filosofo, riformatore e teologo era Boemo per il jus soli, ossia per essere nato in Boemia. Era figlio di contadini poveri, presto orfano di padre e fatto educare con molto sforzi da sua madre. Si racconta che leggendo la vita di San Lorenzo fu tanto impressionato per il martirio del Santo  abbrustolito che volle avvicinare la sua mano alla fiamma, per vedere quanto tempo poteva resistere il martirio del fuoco. Preannunzio premonitore alla pira?
 Quel desiderio di provare sè stesso, curiosità di conoscenza, in fondo, rivelava  un giovane  intelligente che si poneva quesiti. Divenne sacerdote come la grande maggioranza di quelli che allora volevano “sapere” e non avevano i mezzi di fortuna per mantenersi negli studi più cari. Arrivò ad essere niente di meno che il Magnifico Rettore dell'Università di Praga. Era un successo notevole a quei tempi per un figliolo di contadini poveri. Evidentemente si trattava di una mente vivace. Però spesso una mente aperta ed uno spirito critico senza l'appoggio di una famiglia importante potevano soprattutto in quei tempi produrre inconvenienti seri. Dalla sua altissima posizione di Rettore rimproverava la ricchezza ed avarizia dell'Alto Clero ed auspicava un vero ritorno ai principi cristiani iniziali, di purezza e povertà. Ovviamente non era bene accetto alle alti classi sociali. Si era nell'epoca dello Scisma di Occidente, il litigio che portò a trasferire la sede papale da Roma ad Avignone. Ci furono tre papi, allora, che per appropriarsi del Soglio di San Pietro bisticciavano tra di loro in una vergognosa lite come cani famelici per un osso , come aveva detto Wickliffe, l'inglese. Uno dei tre Papi, Alessandro V, regnò per pochi anni ed il suo pontificato si caratterizzò per aver permesso il rogo del povero boemo. Si racconta. come aneddoto senz'altro molto improbabile, ma creduto, che già vicino alla pira Hus commentasse all'incineratone : Adesso farai un bell'arrosto di oca (in boemo Huss significa Oca) ma tra un po' troverai un cigno che non potrai arrostire. In realtà Martin Lutero, ai suoi tempi sarà soprannominato il Cigno. E non sarà mai arrostito.

Come dimostrazione di vero pentimento e probabilmente anche come calcolo di convenienza al fine del mantenere in piedi  una istituzione con molti scricchiolii, ultimamente il papa polacco Giovanni Paolo II ha  chiesto scusa pubblicamente per gli eccessi commessi dalla Chiesa Cattolica, includendo la pira per Huss. Qualunque ne siano stati i motivi,  decisamente è appropriato  chiedere scusa per gli eccessi commessi in generale da chicchessia in qualsiasi campo ed in qualsiasi tempo.
Ne prendiamo atto.
Però... però, siamo franchi: senza minimizzare gli eccessi commessi della Santissima Inquisizione, certamente gravi, non si può non rilevare che nei nostri 6.000 anni di storia ci sono stati una infinità di tanti altri eccessi dello stesso tipo ed in ambienti differenti, nelle epoche e geografie. Difetti comuni all`homo sapiens (... ma non troppo) di tutti i tempi e luoghi. Come, per esempio, per la chiesa Ordodossa al aver fatto Santa a una certa Irene Imperatrice   che bruciò gli occhi a suo figlio per disobbedianza.
Dopotutto, ironizzando, non fu anche un eccesso il supposto castigo eterno ad Adamo per voler sapere qualcosa di più? Così come  lo fu la maledizione del "giusto" Noè che colpì non solamente il figlio negretto, supposto peccatore, ma i suoi figli ed i figli dei figli, ad eternum ? A considerarla bene la eternità, se è vera,  deve essere un po' lunghetta...
Ed anche ultimamente non sono stati eccessi anche i Campi di Sterminio e lo sterminio epocale con la prima atomica? 
Qualcuno ha chiesto veramente scusa per questo?
Di gente ammazzata, scorticata o arrostita o mutilata ce ne è stata tanta nel mondo...perché l'uomo, che io sappia, è il solo essere che non solo ammazza ma anche gode al torturare i suoi congeneri.
Sarebbe da sperare che l'unica differenza con oggigiorno fosse che i "popoli civili" non solamente smettesero di fingere di scandalizzarsi, ma siano piu bestie e meno uomini. 
Sì, proprio così. 















    49/                       THOMAS MÜNTZER
                                          1490-1525


                               La Guerra dei Contadini 

                           OMNIA SUNT COMMUNIA



Come abbiamo detto, con Wickliffe si suscitò il vespaio. Furono anni di discussione, di nascita di movimenti differenti, tutti in generale nel centro o nord Europa. Ramificazioni anche nei paesi latini, ma soprattutto con caratteristiche germaniche. Si cominciò a criticare insomma, a protestare e in vari casi a ribellarsi con accanimento.
Discussioni di carattere teologico, dubbi su certi sacramenti, ma anche rivendicazioni che chiameremo sociali, come nei Lollardi, Anabattisti ed un mucchio di convulsioni per rimuovere la antica struttura della chiesa cattolica di Roma che dettava le leggi. La religiosità permeava ancora tutti,  fatti e persone. Ma si trattava anche di rivoluzioni non solamente nel pensiero, ma anche nel senso letterale, armi alla mano, come la rivoluzione dei contadini, o la pazzesca ribellione di Münster. Ci fu il nascere, crescere, morire di uomini di pensiero tra i quali primeggeranno personaggi come Lutero, Zuiglio, Calvino, Erasmo...e altri minori pero numerosi. Insomma, un bel lavoro per la Santissima Inquisizione e grattacapi per i Papi di Roma che al principio minimizzarono e non capirono l' importanza della protesta.
Diamo uno sguardo superficiale a questi signori, ribelli in minor o maggior grado rispetto a Roma, molti dei quali hanno pagato con la vita il loro diritto di esprimere le loro idee e tra i quali apparsero santi, seri pensatori e filosofi, ma anche contastorie, malfattori, fanatici, matti da legare, di tutto un po'.
Vediamoli.
Tommaso Müntzer nacque in Germania due anni prima della scoperta d'America. Fu predicatore della Riforma Protestante ed anche Anabattista e lider rivoluzionario dei contadini nella cosí chiamata Guerra dei Contadini. Aspirava a una forte riforma sociale e nei suoi trentanni di età lo nominarono parroco della Parrocchia Operaia di Santa Caterina. Era Anabattista, ossia non accettava che il battesimo fosse concesso a bambini o infanti, ma voleva che fosse riservato solamente alle persone adulte, già con un certo discernimento e che lo chiedessero. Lo espulsarono dalla Germania. Andò a finire a Praga. Costì si rese famoso con il Manifesto di Praga, donde sostanzialmente affermava che era solamente il popolo povero che poteva rinnovare la Chiesa, troppo corrotta da Chierici ricchi. Poco tempo dopo pronunziò il famoso "Sermone ai Principi". Sembra impossibile che lo abbia potuto dare, questo sermone,  e veramente lo fece di fronte a certi Principi, nobili laici ed ecclesiastici: la crème de la crème. Molto probabilmente lo si autorizzò pensando in una distrazione di corte con un nuovo buffone per ridere dei principi assurdi del pretino. Pero non fu un buffone che parlò loro. Cominciarono a preoccuparsi. Müntzer infatti era un uomo deciso, oltre che intelligente e preparato e non il pretino con il timor reverentialis per la Corte; non si faceva spaventare. La cosa di maggior impatto nel suo discorso-sermone fu che quando le autorità non compiono con il proprio dovere si deve loro togliere il comando, bisogna destituirle. Si doveva togliere loro l'uso della spada. 
E bisognava ritornare veramente alla primitiva comunità comunistica evangelica. 
I nobili si resero conto immediatamente di aver preso un tremendo abbaglio, che non si trovavano di fronte a un buffone di Corte ma a un personaggio serio e pericolosissimo. Ne presero atto ma non reagirono. 
Poco dopo questo avvenimento volle dare il suo supporto alla famosa ribellione contadina. Ne fu lider importante. Ma probabilmente i tempi non erano ancora maturi e questo primo grido di ribellione terminò, nel 1525, con la morte di 6.000 poveri contadini affamati, che non sapevano bene neppure quello che volevano,  pieni di entusiasmo ma armati solamene di armi di legno: i loro forconi. Cosi tutti, assolutamente tutti morirono recisi dalle spade d'acciaio, nella tristemente celebre battaglia-strage di Frankenausen.














   50/           LA RIVOLTA DI MÜNSTER

                             Il Panettiere e il Sarto
                                          1535


Pochissimo tempo prima del fatidico anno 800, secolo IX della nostra Era, la crème della cristianità si emozionava per la "rinascita" dell'Impero Romano, sia pure come Sacro Romano Impero Germanico con Carlo Magno, Re dei Franchi, incoronato dal Papa con tutti i santissimi crismi di obbligo. E in quel tempo in Sassonia un piccolo monastero cominciò a trasformarsi in una piccola città, la città di Münster. La quale piccola città in realtà non interessava a nessuno e dormì sogni tranquilli fino al 1500, secolo XVI. Settecento anni senza novità, nella tranquillità del non protagonismo. Contadini a lavorare la terra, qualche artigiano, tutti senza idee bislacche per la testa, ubbidienti, forse anche un po' testoni, qualche lusso con un po' di birra e poi il nascere, crescere, far figli e morire tranquillamente. Alle volte qualche sopruso da parte del nobile, ma tutto sommato  il tran tran  delle abitudini. Pero un bel giorno questa cittadina si mise in testa di diventare famosa. E terminò la calma. Pochissimo tempo dopo il massacro dei 6000 contadini in Frankenhusen che volevano chissà cosa, arrivarono dei tipi di fuori nel paesetto città. E cominciarono a dire cose strane. E i contadinotti giù a sentirli come gli imbonitori dei mercati. Erano gli Anabattisti. Prima cominciarono a dire che il battesimo non si doveva dare ai bambinetti, ai piccolini, agli infanti, ma doveva essere somministrato, secondo loro, a persone già adulte con un certo grado di raziocinio. Forse tanto raziocinio quei semplici tedescotti di Sassonia non ne avevano molto ne' da neonati ne' da adulti. E fino lí la cosa non sembrava grave. Quello che diceva il prete andava sempre bene. Ma dopo un po' si cominciò a parlare anche di altre cose, stravaganti, come la idea che gli uomini fossero tutti uguali, che era meglio abolire la moneta, i soldi, i talenti... e si diceva che era meglio avere tutti i beni in comune, cosi che ognuno poteva avere tutto secondo i suoi bisogni. Come gli antichi Apostoli di Nostro Signore Gesù Cristo. Come loro. Insomma una specie di comunismo cristiano. Ci furono molte incertezze. Non tutti erano d'accordo con queste idee, molti non le capivano  e molti se ne andarono  a vivere in altri paesetti dei dintorni. Però ci fu anche molta gente che da fuori veniva a vivere a Münster, perché entusiasti di queste nuove idee politico religiose.
Ma che succede qui?  Cosa è tutto questo vociferare? deve essersi chiesto a un certo momento il  Vescovo di Münster. Cosa succede al mio gregge? Preoccupato dalle notizie di queste idee strampalate, decide di raccogliere un specie di esercito e mette assedio alla città effervescente. Come si ricorderà a quei tempi la caricha di Vescovo non era solamente di carattere religioso, ma spesso rappresentava anche il potere temporale. Di chi? Del Papa? dell'Imperatore? del nobile ? Non si sa bene, i casi variano....Ma insomma nel caso di Münster si trattava si un vescovo battagliero e all`occasione armato di spada e non di  sole Ave Marie. Mette assedio  alla cittadina. E questa, con un guizzo imprevisto di ribellione, nomina un certo Jan Mattijz, panettiere come capo della Città. Certo, il panettiere è un uomo importante, un tipo che sa il fatto suo, perché è lui che ci da il pane tutti i giorni: il famoso panem nostrum cotidianus. Forse anche lui come il prete è uno strumento di Dio? Però quando questo bel panettiere trasformato in lider sente l' obbligo di cominciare ad arringare la folla, i sicari del Vescovo lo fanno fuori. Morto ammazzato, subito. Un bel putiferio, allora, ma il potere passò subito a mani di un altro personaggio  che la mani le sapeva usar perché era il sarto del paese. Un'altra persona che risaltava. Si chiamava Jan Van Leiden. Ed era un tipo stranissimo ed originale. E, come vedremo, squilibrato matto. Appena nominato capo della città, volle coronar se stesso come Re Anabattista di Münster!  E si coronò. Poi si autonominò Nuovo Davide. E lo accettarono senza sapere bene cosa fosse 'sto Davide.  Confidò agli accoliti più vicini che aveva della rivelazioni dal Cielo su come introdurre nuove forme di vita. E gli credettero.  Tra queste nuove forme di vita incluse la poligamia, in rispetto alle abitudini dei tempi biblici. E i maschietti si ringalluzzirono. E dopo un po' la dichiarò obbligatoria. Chi non la accettava lo schiaffava in carcere, se gli andava bene. E se non gli andava bene, decapitatio!
Gli uomini, be', si sa come siamo noi uomini...ma le donne tutte contrarie! Forse perchè si trattava di poligimia   e non di poliandria. 
Finalmente una delle sue tante concubine lo criticò in pubblico. denunciando la sua vita lussuosa e lussuriosa. Il Re di Münster, offeso per  la mancanza di ripetto, lì stesso, in piazza, le tagliò la testa....e cominciò a ballare intorno all'orrendo corpo mutilato. E con questi eccessi la città cominciò a reagire e facilitò l' entrata alle truppe vescovili assedianti. Finì la luna di miele con i rivoluzionari. I capi degli anabattisti furono ammazzati subito tutti e alcuni dei corpi, dei più importanti, furono collocati dentro gabbie ed appese al campanile della Chiesa, a monito, ad esempio della giustizia divina.
 Ed ancora oggi quelle tre gabbie sono lì, ancora.... attaccate al campanile....ma non più i cadaveri, trasformati in fumo. 

Quissà  come pre-edizione del folkore locale.



























   
51/                     MARTIN  LUTERO


                                  1483-1546

Martin Luder, o Martin Luther o Martin Lutero, come tutti i buoni tedeschi sono soliti fare, era nato in Germania. E come quasi tutti i tedeschi era una persona seria. Credeva in quello che faceva, credeva nei suoi Superiori, credeva nell'Autorità, credeva seriamente in tutto quello che credeva. Veniva da un ambiente semi contadino, suo padre muratore e basta osservare qualcuno dei suoi ritratti per capirne il  carattere: mandibola quadrata tipo bulldog che non lascia la presa, tratti somatici forti di contadino teutonico ma con occhi da sognatore, di uomo che crede.
Nonostante la sua famiglia non fosse di grandi possibilità economiche, suo padre voleva che Martin avesse una buona educazione. Aveva capito che il ragazzo era di una intelligenza speciale e che meritava qualcosa di più. Ai suoi 17 anni comincio a frequentare l'Università. Cosa imparò? A suonare il liuto e cominciò a studiare Diritto.
Però un bel giorno, cosi dice la storia o la leggenda, Martin fu "fulminato" da una visione del suo futuro. Ritornando a casa, un bel fulmine cadde molto vicino a lui. Nonostante fosse tedesco ed appartenente alla cosiddetta razza superiore, ebbe paura. Ed implorò aiuto, chissà perché, a Santa Anna, la nonna di Gesù Cristo, la mamma di Maria. Per inscrutabili disegni del destino, o forse per lo scampato pericolo della saetta del cielo, decise di farsi monaco. Vendette tutti i suoi libri, meno quelli di Virgilio, chissà perché ed entrò in un Convento Agostino, ai 22 anni. Ed essendo, come già detto, una persona seria, volle mettere in pratica veramente tutte le dottrine del cristianesimo. Dedicava un tempo al digiuno, alle flagellazioni, molte ore alla preghiera e riflessione. Ma soprattutto si dedicava a compiere opere buone a favore del prossimo. Era un monachello buono, caritatevole come si suppone debbano essere i veri monaci. Col tempo fu ordinato sacerdote e poi gli chiesero che insegnasse teologia nell'Università di  Wittemberg. Insegnò ed a un certo momento decise di andare o lo mandarono fino a Roma, a Roma Santa si diceva, in pellegrinaggio.
E lì,  in Roma Santa, ebbe la gran disillusione della sua vita.
Non fu tanto e solamente per la vendita delle indulgenze della quale si parlerà e che sarà il cavallo di battaglia dei Protestanti. Ma fu per qualcosa di più profondo che lo scandalizzò e gli dette una gran tristezza. Si deluse per lo spirito tutt'altro che cristiano della Roma Papale del Rinascimento. Se la immaginava cristiana e pura ed incontrò una città pagana. E il popolino sguaiato.
Dopo tutto era quasi un contadino, tedesco, di provincia e non poteva giustificare e nemmeno capire il lusso, il desiderio di cultura umanistica, tanto amore per l'arte e meno che meno quella abitudine alle cospirazioni politiche con contorno di veleni, di nepotismi, corruzioni, costumi rilassati della Corte di Roma. Si rese conto che Roma era cristiana solamente di nome, con Corte fastosa e peccaminosa come qualsiasi corte di Principe italiano illuminato del Rinascimento.
Non era l'ambiente che cercava e immaginava.
Ritornò schifato al paesello. Schifato e addolorato perché lui davvero credeva ed amava la Chiesa.
Da allora in avanti tutti i suoi sforzi saranno perché quella Chiesa alla quale si sentiva tanto legato potesse ritornare agli insegnamenti della Bibbia e dei Vangeli con il vero spirito d'amore del suo Fondatore e dei primi anni del cristianesimo.
Ovviamente ebbero peso su di lui personaggi come Wickliffe di Inghilterra, Huss di Boemia nonché eventi come le pazzie di Münster. Ma altri eventi ce ne furono, diciamo laici,  attribuibili a Lutero ed importantissimi per le conseguenza nella società tedesca ed europea in generale.

Ma chissà la scintilla  dell'incendio, lo spunto della protesta fu la vendita delle indulgenze ed il crescere di certo nazionalismo quasi razziale conto il predominio latino di Roma.

La vendita delle indulgenze significava  pagare alla Chiesa perché questa potesse garantire una più veloce ascesa al Paradiso dell'anima di qualche defunto con problemi nell'aldilà. Ed i proventi servivano per la costruzione della magnifica Basilica di San Pietro a Roma e non lasciare alle intemperie le ossa dei Santissimi Apostoli Pietro e Paolo. 
Ma questo costante invio di fondi tedeschi alla Città Eterna, quasi sempre amministrata da Papi Italiani che di fatto erano più Capi di Stato che Capi Religiosi, cominciò a produrre sempre più malumori tra   i tedeschi che stavano cominciando a sentirsi orgogliosi della loro razza germanica e da sempre preoccupati per le loro borse. Anche Lutero era contrario alla vendita delle indulgenze e remissione dei peccati, secondo i casi. Ma la obiezione di Lutero non era solamente pecuniaria, ma più profonda  e di principio: temeva che il comune fedele peccatore potesse confondersi e credere che fosse più efficace ottenere un perdono ecclesiastico pagando in contanti e sonanti quattrini invece di pentirsi realmente con una normale confessione. 
Così che  al ritorno deluso da Roma, dopo averci un po' pensato su, il nostro Lutero affisse, inchiodandole alla porta della chiesa di Wittemberg, le famosissime e storiche 95 tesi, condannando la avara esosità ed il paganesimo della Chiesa Cattolica Apostolica Romana.
Si armò il gran putiferio.
 In quindici giorni tutta la Germania sapeva di questo e in due mesi tutta Europa cominciava a riempirsi di copie tradotte delle 95 tesi di Lutero. La stampa, recentissima novità in Europa, dimostrò per prima volta il suo potere. 

Il Papa fu informato di questi eventi ; era Leone X, figlio del gran umanista Principe Lorenzo de Medici, quello che sarà chiamato Lorenzo il Magnifico, personaggio di spicco nella letteratura e storia rinascimentale. Per la sua maniera di essere, per l'ambiente , per la sua cultura aristocratica il Papa Leone X non poteva dare importanza ad un evento insignificante in un paesello insignificante, lassù tra i rustici insignificanti tedeschi.
Non vi preoccupate, si tratta solamente di un tedesco ubriaco di birra. Quando sarà sobrio, si ritratterà.

Ma Lutero era tutt'altro che un insignificante tedesco ubriaco di birra.
A rimarcare e ironizzare il problema delle indulgenze a pagamento e della corruzione in generale, cominciò anche a circolare con il gran potere della stampa un certo documento, chissà allarmistico, chissà sornione, chissà irriverente, di dubbia autenticità, molto discusso o chissà esagerato, ma che comunque voglio riferire in parte per curiosità ma anche perché probabilmente qualcosa di vero doveva pur esserci. E ammettere questo mi rattrista perché anche se non sono più il bambino "buono" che faceva occasionalmente il chierichetto nella scuola-ginnasio religiosa per personcine bene, questa benedetta Chiesa Cattolica la sento ancora come una cosa mia, nostra, italiana, alla quale non credo più, come purtroppo non si crede più alle favole ne' agli eroi politici di allora. Eppur  dispiace sentir parlar male di qualcosa o di qualcuno che adoravamo da bambini e giovinetti. E' un vecchio amore al quale non si crede più, ma il cui ricordo è sempre dolce, perché quello che si infila dentro il nostro animo di giovanissimi, forse un po' svanisce ma non si perde mai.
Il documento di cui parlo è la  TAXA CAMARAE, ossia alcune penitenze o tasse o tariffe autorizzate dal Papa da esigere a tutto il gregge cristiano per ricevere il perdono dei peccati. Non erano però solamente le solite 4 Avemarie e 5 Paternostri; ma anche un pagamento contante e sonante. Ovviamente par la costruzione della grande Basilica di San Pietro, a Roma.
Riporto qui alcuni esempi.

1) L'Ecclesiastico che incorre in peccato carnale, sia con monache, con cugine, nipoti, o ragazze adottate e in fine con qualsiasi donna, sarà assolto con il pagamento di 67 libbre e 12 soldi.
2) Se l'ecclesiastico , oltre al peccato di fornicazione, vuole essere assolto da un peccato contro natura o di bestialità, deve pagare 219 libbre e 15 soldi. Ma se ha commesso il peccato con bambini o con bestie e no con donne, pagherà solamente 131 libbre e 15 soldi.
3) Il sacerdote che deflora una vergine deve pagare 2 libbre e 8 soldi.
6) Per qualsiasi peccato di lussuria commesso da un laico, la assoluzione costerà 27 libbre e 1 soldo. Se si tratta di incesto, in coscienza si aggiungeranno 4 libbre.
7) La donna  che chiede assoluzione per essere liberata da qualsiasi processo e ottenere ampie dispense per continuare con la su relazione illecita, pagherà al Papa 87 libbre e 3 soldi. In caso uguale, il marito pagherà la stessa somma. Se hanno commesso incesto con i loro figli, in coscienza si aggiungeranno 6 libbre.
10) Se un assassino dà morte a due o più persone nello stesso giorno, pagherà come se avesse assassinato una sola persona.
11) Se il marito bastona sua moglie, pagherà nelle Case della Cancelleria 3 libbre. Se la ammazza, 17 libbre e 15 soldi. Se la ha ammazzato per sposarsi con un 'altra donna pagherà in piu 32 libbre e 9 soldi. Quelli che hanno aiutato il marito a ammazzare la moglie, pagheranno 2 libbre a testa. 
13) Se una donna ammazza il proprio figlio che ha ancora nel ventre e il padre che ha contribuito all'atto criminale, pagheranno 17 libbre e 15 soldi ciascuno. Chi faciliterà l'aborto di una creatura che non sia suo figlio, pagherà una libbra meno.
14) Per l'assassinato di un fratello, sorella o madre o padre si pagheranno 17 libbre e 5 soldi.
15) Chi ammazza un Vescovo pagherà 131 libbre, 14 soldi e 6 denari.
16) Se l'assassino ammazza molti sacerdoti in varie occasioni, pagherà 137 libbre e 6 soldi per il primo assassinato e la metà per i successivi.
25) Il frate che voglia passare la sua vita in eremitaggio in compagnia di una donna, pagherà 45 libbre e 19 soldi
28) Il figlio bastardo di un prete che voglia fare il curato di suo padre, pagherà 27 libbre e un soldo.
29) Il bastardo che voglia diventare prete e ricevere i sacri ordini, pagherà 15 libbre, 18 soldi e 6 denari.
30) Il figlio di padre sconosciuto che voglia entrare negli ordini, pagherà 27 libbre e 1 soldo.
33) Gli eunuchi che vogliano entrare negli ordini pagheranno 310 libbre e 15 soldi.


Lasciamo questo argomento perché comincia ad avere un fastidioso sapore di pettegolezzo.


Abbiamo già detto, lo ripetiamo, che c'erano già stati conati di ribellione alla Chiesa di Roma, come nel caso dei Lollardi di John Wickliffe in Inghilterra e di Huss in Boemia.
L'uno fu condannato trent'anni dopo morto e le sue povere ossa puzzolenti riesumate furono buttate con disprezzo al fiume. L'altro, che era vivo quando lo condannarono, fu morto sulla pira. "PULVIS ES ET IN PULVEREM REVERTERIS"
 La grande polemica dalla quale nacque poi la Riforma Protestante & Soci scoppiò avendo come protagonisti il  Papa umanista Leone X de Medici  e il figlio di muratore Martin Lutero, sassone.
Quest'ultimo, da bravo tedesco, agiva sempre molto seriamente e le sue famosissime 95 tesi, in quel formidabile J'Accuse a Roma, furono esposte pubblicamente nella porta della Chiesa di Wittemberg, nel 1517, come detto prima. Ed il Papa, un anno dopo, resosi  finalmente conto che non si trattava solamente di  fantasie di un tedesco ubriaco, ordinò al colto frate domenicano Silvestre Mazzolini di andare in Germania ad investigare. Il Mazzolini parte, investiga, ritorna a Roma, informa il Papa e il papa dà alle fiamme i libri di Lutero e lo scomunica.
Costui, di rimbalzo, con gesto drammatico, però efficace,  ricorre alla coreografia teatrale stile italiano e a sua volta dà pubblicamente alle fiamme la Bolla Papale di Scomunica.
La questione passò alle mani di Carlo V. Ma l'Imperatore del Sacro Romano Impero Germanico era allora molto giovane e inesperto a decidere su una controversia religiosa superiore alle sue forze. Convoca una Dieta a Worms ed ordina a Lutero di presentarsi a discutere le sue tesi,  per sapere se le conferma o le retratta. Lutero è dubbioso se presentarsi. Gli amici lo sconsigliano: gli ricordano che Worms ha tanti diavoli quante sono le tegole delle case e che non dimentichi Wickliffe e Huss. Però Lutero era una persona seria e coraggiosa. Decide presentarsi anche se sa che ci potrebbero esserci tanti diavoli quanto tegole. Si presenta. C'è  un mucchio di ecclesiastici arcigni, l' Imperatore in persona e lui, solo, nel banco degli imputati. Lo accusano, lanciano accuse, le più astute, le più insidiose. Ma Lutero resiste. Non si ritratta. Battibecchi. Rinvii.  Ma non si ritratta. 
E Carlo V lo dichiara eretico.
Lutero riesce a scappare, letteralmente, da Worms, dalle sue tegole e dai suoi demoni, grazie a certi uomini mascherati in una azione rocambolesca degna di Robin Hood. Arriva in Turingia dove lo ospita il Principe Federico, il Saggio, nel suo splendido castello. E rimane lì nascosto per un po' il serio e austero tedesco; per nascondersi meglio si farà crescere la barba fingendo essere un certo Cavaliere Junker Jörg. E tranquillamente continuò con il suo lavoro nella traduzione della Bibbia al tedesco della sua epoca che lui stesso stava formando. Perché questo fu il grande lavoro di Lutero per facilitare la sua Riforma: tradurre la Bibbia e inventare il tedesco.  I due eventi, traduzione della Bibbia e questa traduzione farla in una lingua -- come il tedesco -- che ancora non esisteva, sembrerebbe impossibile. E Lutero lo fece.  Le antichissime versioni in arameo, greco latino e la VETUS LATINA convogliate poi nel IV secolo nella VULGATA di San Geronimo ed il tutto poi ritrasformato ancora al latino elegante di Erasmo,  fu ciò che Lutero tradusse. E la traduzione fu  un amalgama dei vari dialetti tedeschi  nel tedesco volgare del suo tempo, del XV secolo. Così che questo Monaco Agostiniano può con ragione essere considerato, con i suoi amalgami dialettali, il fondatore-unificatore della lingua tedesca. Così come all'incirca era successo con il nostro Dante Alighieri per l' italiano. Con la differenza che il nostro Dante, forse più pretenzioso, non amalgamò i vari dialetti italiani, ma li ignorò sdegnosamente  ed impose il suo, il toscano di Firenze, che  diverrà la lingua italiana, del  bel paese là dove il sì suona.
Dopo un anno circa, ringraziato il Principe Federico,  Lutero, previa rasatura della barba, ritornò nella sua Wittemberg. E lì fu con-protagonista di una divertente fatto che riferisco per il suo lato comico. Tra le varie regole che voleva apportare alla Chiesa Cattolica, della quale continuava a sentirsi parte, ma che voleva modificare, c' erano, a mo' d'esempio, proposte di carattere pratico, ma di un peso enorme e di impensabile attuazione: come eliminare certi abusi del Clero, diminuire il numero dei Cardinali, abolire o almeno ridurre moltissimo le entrate economiche del Papa, riconoscere come validi anche i Governi laici. Chiedeva inoltre la rinuncia del Papa al Potere Temporale, le eliminazione di certi tipi di pellegrinaggi che considerava poco utili, la riduzione dei troppi giorni dedicati ai Santi ma tolti al lavoro; inoltre riforma delle Università ed in generale una riforma seria e a fondo della morale pubblica. Ma una cosa che fece moltissimo scalpore fu quando disse, in più di una occasione, che il più bel regalo che poteva fare Dio all'uomo era quello una moglie allegra, simpatica, rispettosa di Dio, dedicata alla casa, con la quale poter vivere in pace ed alla quale poter affidare i propri figli, i propri beni, il corpo, la vita. Logico che auspicasse la soppressione dei conventi di monache. E di conseguenza la eliminazione del celibato del clero. Immaginarsi le emozioni specie nelle monache giovani. E fu a conseguenza di questo che successe l'evento comico che ebbe come protagonista il serio riformatore tedesco e nove monachelle emozionate, spaventate, speranzose e puzzolenti di pesce che volevano scappare dal convento. E scapparono.
Scapparono nonostante a quei tempi rinunciare alla vita religiosa da parte di una monaca poteva significare un castigo nientedimeno che fino alla pena di morte!
Il Buon Lutero, quando seppe di queste intenzioni di fuga dal Monastero delle   giovani monachelle innocenti innamorate dell'amore, per poter salvarle contratta un venditore di pesce affumicato, con il suo bel carrettone, il suo cavallo y vari barilotti di pesce puzzolente per simulare. E una bella tela sopra per coprire tutto. Le monachelle, spaventatissime, ma più spaventate ancora dall'idea di rimanere sempre vergini, si ammucchiano di notte in una porta secondaria del Monastero, tremanti di freddo e di paura. Arriva finalmente il carrettiere e le carica su tutte, in silenzio, felici ed emozionate, nascondendosi tra i barili puzzolenti di pesce affumicato. E tra cento segni di croce, sognano con il loro principe azzurro profumato.
E vanno cammino alla libertà.
Tre di loro andranno direttamente a casa dai loro genitori. E le altre sei si presenteranno a Wittemberg in casa di Lutero! Immaginarsi il povero monaco ribelle ! Colto di sorpresa, perplesso... previa grattatina in testa , si organizza da bravo tedesco che è. E le accomoda trovando un impiego per tutte e persino marito per qualcuna ! Tutte, meno una. Meno una certa Caterina von Bora, nientedimeno che di famiglia nobile senza quattrini che si incapricciò con Lutero e voleva sposarsi con lui. Al principio Lutero non voleva, chissà perché. Ma poi, si sa, anche una monaca è donna e conosce le sue arti di seduzione, così che finalmente il buon Riformatore rimase riformato lui stesso e innamorato per giunta! Si sposarono, vissero felici e contenti e la unione fu allietata dalla bellezza di sei figli.
Pur tuttavia, non andiamo a credere che Lutero fosse un gran modernista in ogni campo.
Ricordiamo: lui amava la Chiesa Cattolica. Voleva solamente toglierle quel manto di peccato e corruzione che la corrompeva. Voleva aiutarla nella sua resurrezione. Voleva che fosse più seria. Meno Rinascimentale. Meno pagana e più cristiana. Forse anche più tedesca e meno latina.
Ma anche lui come tutti era figlio del suo tempo. Ed alcuni pregiudizi di antica data rimasero anche in un uomo del suo stampo. Così che in lui c'era l'antisemitismo tipico dei germanici. Antisemitismo feroce come scrisse nel 1543 nel suo Von den Juden und ihren Lügen ( Sui Giudei e le loro menzogne). Scriveva che bisognava bruciare le loro Sinagoghe, distruggere i loro libri di preghiera, impedire che i Rabbini predicassero la loro religione, distruggere le loro case, espropriare i loro beni, confiscare il loro denaro ed obbligare quei vermi vergognosi ai lavori forzati o espellerli per sempre. Niente male come propedeutico a Hitler.
E poi Lutero credeva nelle streghe come ci credevano i cattolici e tutti gli altri. Ma credere nelle streghe non era mascherarsi per l'Halloween. Significava la vera caccia alle streghe, la tortura e il rogo purificatore per cacciare il demonio. Era pieno compartecipe della superstizione medioevale ed era logico che fossero perseguitate  sia da Cattolici come da Luterani.
Che significa questo? Come più volte già detto, anche i più alti ed indipendenti intelletti sono soggetti alle abitudini del secolo in cui vivono.


Cosa penserà di noi l'uomo tra mille anni ? Della nostra morale, delle nostre guerre, della nostra famiglia, delle nostre religioni ?

Sarà con la stessa bonomia di superiorità come noi adesso giudichiamo le folli superstizioni dell'uomo del MILLE E NON PIÙ MILLE?






52/                     ERASMO DA ROTERDAM


                                        1469-1536




Erasmo di Rotterdam era nato in Olanda. Intellettuale. Si fece prete non perché folgorato dalla grazia divina, ma semplicemente per sbarcare il lunario e cercare di risolvere il problema economico della sua vita, giacché era figlio illegittimo di un modestissimo prete e della sua insignificante perpetua. ( la serva-domestica del prete)
La terribile epoca della peste europea, anche quella  da annoverarsi  tra i vari regalini dall'Oriente, lo prese ai suoi 14 anni. Così, per mettersi sotto difesa di qualcosa che si considerava solido, entrò nel seminario dei Monaci di San Agostino. Lì scoprirono la sua notevole intelligenza. Poco dopo lo fecero sacerdote e... mai esercitò la "professione".
In realtà, poi attaccherà la vita dl Monastero che considererà uno dei mali della Chiesa Cattolica. Al poco di essere dichiarato sacerdote chiese ed ottene di poter andare a studiare nell'università di Parigi. A spese dell'Ordine, ovviamente. Era quello che sperava. A quei tempi Parigi era ben influenzata dalla cultura del Rinascimento. E sotto il cielo grigio di Parigi respirò la nuova aria dell'ambiente culturale che arrivava, per loro, da oltralpe. E così si formò Erasmo: libero pensatore, senza legami a culture o religioni che significassero imbrigliare la sua indipendenza. Era per natura inquieto e curioso e sempre con insofferente avversione a tutto ciò che fosse routine o soggiacenza all'autorità costituita; però mai con la forma quasi sempre violenta dell'anarcoide, ma con la calma  del saggio.
In Inghilterra sarà titolare della Cattedra di Teologia e niente di meno che in Cambridge, che non era cosa da poco. E sia detto incidentalmente,  diventerà un gran amico di Tommaso Moro, altro bel capoccione di quei tempi. E sempre durante il suo periodo inglese scriverà i famosissimi adagi - aforismi - apoftegmi che si spargeranno rapidamente per tutta Europa e non avranno assolutamente nessuna connotazione religiosa. Erano i tempi di Enrico VIII e poco dopo gli offrirono dei lucrosi incarichi vitalizi nel Collegio della Regina, sempre nell'Università di Cambridge. Ma il nostro indipendente ad oltranza disse No thank you, per non avere legami con chicchessia.
Dopo di questo se ne andò bel bello a Venezia, nella prima casa editrice del Mondo, quella di Aldo Manunzio ( Aldus Manuntius). Stando colà  gli piovvero molte offerte di lavoro, di impieghi interessanti e con buona remunerazione come educatore. Le rifiutò tutte dicendo che anche se Aldo Manunzio lo pagava pochettino perché spilorcio peggio di un giudeo ( cosi disse ), quello era sufficiente per vivere e non doveva essere soggetto a nessuno. Dopo un po' decise di andarsene anche da lì, andò a Basilea in Svizzera, dove si sentiva al riparo da "persecuzioni". Ed in Svizzera cominciò a scrivere relativamente tardi nella vita, perché prima voleva riuscir a dominare lo stile narrativo del latino, la lingua colta dell'epoca.
Si commentò più di una volta che le polemiche di Erasmo dovevano interpretarsi come anticattoliche. Non era vero. Erasmo non era ne' anti-tutto ne' anti-niente. Voleva innanzi tutto fare i fatti suoi e rispetto alla chiesa voleva solamente liberalizzarla  e scuoterla dalla paralisi che la aveva inchiodata per non sapere o non volere adattarsi ai tempi. La nuova cultura del Rinascimento non era un fenomeno marginale ed era la Chiesa che doveva riconoscere i valori del Rinascimento e non viceversa.
Il Medio Evo era passato ed Erasmo auspicava che le nuove menti vedessero la realtà con occhi differenti. Nel suo periodo in Inghilterra aveva cominciato gli studi del Nuovo Testamento  ( I Vangeli) per raggiungere una buona e moderna traduzione in latino delle Scritture. Intorno a quei decenni si direbbe che c' era una mania diffusa di voler tradurre Bibbia e accessori in una lingua più accessibile. A parte la recente versione all'inglese di Wickliffe, che sappiamo come finì, certamente della Bibbia c'erano già state da secoli tante versioni, in arameo, in greco, in latino, quella dei Settanta e nei primi secoli del cristianesimo  quella poi chiamata la Vetus Latina ( la Vecchia Versione Latina), a sua volta sparsa in parecchie versioni e con vari errori. Però era arrivato il V secolo dopo Cristo ed un Papa al quale piaceva l'ordine aveva incaricato uno studioso serio, quello che poi sarà San Girolamo -- sempre rappresentato in pitture ascetico magro come un'acciuga perché eremita che macerava se stesso e certe giovani penitenti dell'aristocrazia romana -- affinché facesse un compendio di tutte queste versioni. Il bravo San Girolamo studia e studia e se ne era andato per la bellezza di 10 o quindici anni a vivere a Gerusalemme e a Betlemme, per imparare qualcosa della lingua del posto e poter leggere veramente gli " originali o presunti tali". E dopo tanto anni di studio aveva scritto quella che si chiamerà la VULGATA, cioè la Versione in un "latino" che non era più quello di Cicerone -- che ormai capiva solo Girolamo, forse perché era santo, e pochi altri saggi sofisticati -- ma nel latino trasformato durante quattrocento anni in quello che il volgo europeo del IV-V secolo mezzo parlava e mezzo capiva: ed era già molto se mezzo lo intendeva. Era il "latino" che si parlava in Italia ai tempi dei Goti di Teodorico. Altroché la consecutio temporum ! E questo "latino" della VULGATA di Geronimo fu adattato da Erasmo, mille anni più tardi, nel secolo XVI, in nuovo adattamento. Ma sempre in latino. E a questo nuovo adattamento di Erasmo si adattò Lutero per la sua versione nel SUO volgare-germanico che, incidentalmente, come già detto, contribuirà ad unificare la lingua tedesca dai cento dialetti. Così come anche anteriormente detto, aveva fatto il nostro Benemerito Dante Alighieri con la sua Commedia, unificando i nostri dialetti senza ricorrere alle Tragedie di roghi e persecuzioni. I Latini sono sempre più attratti dalle Commedie e i Tedeschi dalle Tragedie.
E questa nuova versione latina di Erasmo fu tanto impattante nell'ambiente colto europeo che immediatamente si cominciarono a pubblicare edizioni, con la novità della stampa, nelle lingue volgari ossia non nel "latino", anche detto  volgare, dal 300 dopo Cristo ma addirittura nel Volgare delle neo-lingue di ogni nazione. Cosi si rese possibile la lettura diretta dei Sacri Testi a tutto il "gregge" che sapesse leggere e scrivere ma che non aveva nessuna conoscenza del latino classico ne' delle varianti volgari. C'è da ricordare che sin dagli inizi del Cristianesimo Romano fino alla Riforma, la Chiesa cattolica si era opposta ferocemente alla lettura libera dei testi per tutti, senza l' intervento del sacerdote. Soprattutto per la Bibbia, il Pentateuco;  forse perché puzzava di ebreo. E le pene potevano essere le quisquilie della forca o rogo.
Con ironia finissima il nostro Erasmo dedicò la sua versione al Papa Leone X Medici. Quello stesso Papa che con la famosa Bolla aveva scomunicato Lutero e, agli inizi,  lo aveva sprezzantemente  "bollato" come tedesco sbronzo di birra. Ed era anche il Papa che notoriamente rappresentava tutto quello che l'olandesino non sopportava nella Chiesa ne' nello Stato. Il Papa Medici, dall'alto del Suo Sacro Solio, non intese l' ironia e ringraziò sinceramente Erasmo.

Lutero aveva tradotto al suo tedesco "unificato" la elegante versione latina di Erasmo. E il Luteranesimo accese tutta Europa all'anno dalla pubblicazione e diffusione in una lingua ancora dichiarata volgare, il " Volgare Tedesco unificato".
Da allora cominciarono problemi seri per il nostro saggio indipendentista. Luterani e Cattolici, tutti assillavano Erasmo affinchè  si dichiarasse esplicitamente favorevole agli uni o agli altri. Era un personaggio di cultura, molto importante e stimato e ognuno lo voleva per sé. Però “ Erasmus est homo per se”, come esplicitamente si definì a sé stesso. Ed il per se acquisisce una connotazione diversa. Cioè che non si dava ne' all'uno ne' all'altro, se non a sé stesso. Un po' arrogante la affermazione, sicuramente mal accettata dall'uno e dall'altro, perché è impossibile per il fanatico capire la indipendenza intellettuale del saggio.
La Inquisizione censurò parecchie affermazioni dei suoi scritti.
Pero mai, mai, assolutamente mai osò qualcosa di concreto contro di lui per l'enorme lavoro teologico che secondo la Inquisizione rivelava la sua vera fede. Era in personaggio invidiato ed ammirato da tutti. Anche Lutero lo apprezzava moltissimo ed il saggio olanese ed il rivoluzionario tedesco furono anche molto amici. Si scrivevano molto, tra di loro. C'era amicizia vera, basata sull'affetto e sulla stima. Indubbiamente nel suo foro interno, il più intimo, era ovvio che Erasmo simpatizzasse più con Lutero che con l'edonista Leone X.
Ma Erasmo sapeva anche molto bene distinguere tra un personaggio ed un istituzione. Con il tempo il Papa lo accusò con una frase che diventò famosa:
Si, è vero, lei non è luterano. Però lei ha messo l'uovo e Lutero lo ha covato!
Al che Erasmo rispose:
Si, è vero. Pero io speravo che nascesse un pollo diverso!
Così che fino agli ultimi anni della sua vita, fu sempre assillato e amareggiato sia dagli uni che dagli altri.




Il motto della sua vita fu:
Quando ho un po' di soldi compro dei libri, Se avanza qualcosa compro vestiti e cose da mangiare.

Forse diceva così perché la sua veste di chierico gli assicurava un tozzo di pane ed una tunica.
Il nostro Erasmo non provò mai la vera fame di pane. Perché si fece prete senza averne nessuna vocazione e senza mai esercitare la professione di sacerdote? Mai andò in giro di notte a piedi, d' inverno, tra le stradicciole fredde e pericolose di Rotterdam, con il turibolo ondeggiante per dare la Estrema Unzione a qualche vecchio poveraccio moribondo nella sua stalla ...TU ERES SACERDOS IN AETERNUM...
Però è anche vero che nulla di questo scalfisce i suoi meriti di saggezza e cultura che sono veramente enormi.
Se si ha fame veramente, tutto il resto salta. E fu anche un gran furbetto, quindi, il nostro Erasmo. E chissà qui mi piace un po' meno. Come certi impiegati che marcano la entrata al lavoro e poi se ne vanno pei fatti loro.
Però è anche difficile distinguere tra il mantenersi intellettualmente indipendente e il barcamenarsi tra i flutti senza affrontare gli ostacoli ma aggirandoli.
Forse, alle volte anche gli eroi hanno paura. O sarà che esistono solo se ci crediamo.


Ecco qui alcuni adagi di Erasmo e che ancora si sentono oggigiorno dopo tanti secoli:

Non possiamo vivere con loro (le donne) ne' senza di loro.
E` meglio prevenire che curare
Nel paese dei ciechi il guercio è Re
Sta combattendo contro la sua ombra
Ha un piede nella tomba
Non lasciò pietra su pietra
Un po' di tosse per nascondere una scoreggia
Più facile dirlo che farlo
Lacrime di coccodrillo
Una rondine non fa primavera
L'erba è sempre più verde nel campo del vicino

Chi lo direbbe che nella nostra vita quotidiana utilizziamo frasi di questo olandesino di 500 anni fa?
Insomma era di intelligenza superiore, un gran furbo e un gran saggio che fece sempre quello che voleva. Prese in giro molti. E di questo molti, molti non se ne accorsero nemmeno.































        53/              JUAN CALVINO

                              1509-1564




"Adesso che il Buon Dio ci ha dato il Papato, cerchiamo di godercelo! "

Può essere vero o non vero che l'Ambasciatore della Serenissima Repubblica di Venezia presente alla incoronazione del Papa Leone X abbia riferito che il neo Eletto al Solio lo avrebbe privilegiato con questa confidenza. Cosi come anche può essere certa o non certa o parzialmente certa la famosa TAXA CAMARAE dello stesso Papa Medici; il medesimo della scomunica a Lutero. Però senza alcun dubbio l'ambiente eccessivamente mondano-pagano della Corte Papale, con tutti i meriti e difetti di qualsiasi altra corte Rinascimentale specialmente in Italia, poco aveva a che vedere con i profondi ma umili insegnamenti di Cristo o Santo Francesco. La qual cosa fu origine delle proteste dei Protestanti. Le Indulgenze e l'Orgoglio Germanico ne furono solamente concause. 
Pur tuttavia le azioni del Monsieur Jean Cauvin, latinizzato Calvinus, furono decisamente ancora più estremiste ed in senso contrario. Fanatismo ascetico vs corruzione mondana. Una critica, una buona critica, è sempre utile. In fondo, quando ci guardiamo allo specchio e cerchiamo di migliorare il nostro aspetto, facciamo giornalmente una critica estetica a noi stessi ma con fini di miglioramento. Gli estremismi sono pazzie. Indici di ignoranza o deviazioni psichiche. Il caro amico Cauvin, dal viso arcigno e fanatico, era certamente convinto e in buona fede di essere l'Unico Interprete della Volontà Divina. E questi sono i personaggi più pericolosi perché generalmente riscuotono le simpatie degli sciocchi. Lo sciocco è pigro. Non si domanda. Vuole credere. E` meno faticoso. E sicuramente di gran lunga è da preferire il bugiardo al fanatico. Il bugiardo è senz'altro in mala fede mentre il fanatico è un puro. Pero il bugiardo può ammettere la sua colpa. Il fanatico mai.
Per questo è pericoloso, perché ammalia. Come è successo con i Grandi del secolo passato. Non credevano in Dio perché erano Dio loro stessi. In buona fede.
Il caro Monsieur Cauvin voleva reprimere con l' intransigenza dell'Inquisitore tanto aborrito alcune condotte che certamente erano peccaminose dal punto di vista della imperante religione Cristiana in Europa, ma che, dopo tutto, fanno parte intrinseca della natura umana. Il bello e il brutto, l'onesto e il disonesto, il santo ed il peccatore son tutte qualifiche amalgamate nell'uomo. L'uomo, nel top della graduatoria del regno animale, non ne è esente come lo sono tutti gli altri congeneri. E ci auto imponiamo delle regole, imbrigliando spesso condotte decisamente gradevoli di cui i congeneri molto meno fortunati generalmente non ne usufruiscono; non sanno farlo. La nostra cara cugina scimmietta non ama, fa solamene sesso, non gode dell'arte, della musica, di un panorama, non gode di Dio. E noi vogliamo autolimitarci contro il volere della Natura-Demiurgo.
Cosa fece questo signore quando ebbe potere politico?
Perseguitò l'adulterio e passi: può essere equa norma di convivenza. Perseguitò la fornicazione, cioè l'amore e il sesso fuori del matrimonio: e su questo ci sarebbe molto da ridire; comunque  in pochi gli fecero caso. Anche proibì il gioco, il vino, il ballo, le canzoni oscene ( poveri CARMINA BURANA) , obbligò ai servizi religiosi portando i recalcitranti alla Santa Messa presi per la collottola.
Volle semplificare i rituali della chiesa cattolica. Però anche qui esagerò, perché con la semplificazione li ridusse all'estremo: proibì la musica, organo o piano o liuti; e addio ai bellissimi Canti Ambrosiani. Addio ai bei vetri colorati con episodi religiosi. Nemmeno volle sentire più il rintocco delle campane, quel dolcissimo din don dan ovattato dei Mattutini che si spargevano nella campagna ancora scura e sonnacchiosa. I canti ambrosiani venivano dalla peccatrice Italia e le campane qualche scemo deve avergli detto che le suonavano quelli del Catai, i cinesi, popolo barbaro e senza Dio.
Pretese anche sopprimere qualsiasi forma di arte nelle chiese. Niente quadri, niente affreschi, niente sculture, niente di arte. In qualche chiesa si arrivò all'estremo di sopprimere anche gli altari, perché un lusso. Tutto, assolutamente tutto doveva ridursi alla sola scarna preghiera e recitare Salmi, in ambienti assolutamente austeri e grigi. Immaginarsi che razza di Burka dovessero indossare le floride bionde contadinelle tedesche o francesi, per le quali la Messa significava l'unica occasione per sbirciare i giovanottelli ansiosi e timorosi con il cappelloccio tra le mani,  forse a occultare  certe emozioni.
E ritornato a Ginevra impose la sua bella Dittatura Teocratica per la bellezza i 25 anni, senza ammettere critiche.
Però ad un certo momento volle distinguersi dai giochi pirotecnici dei roghi cattolici per gli eretici. Bisognava fare giustizia certo, pero " magnanimamente".Ipse dixit... sed non fecit...
Ma arrivati qui non si può non ricordare il caso di Miguel Servet ( Miguel Serveto), spagnolo. Era costui uno scienziato, che viveva e studiava in Svizera: non un fesso qualunque ma un tipo che aveva scoperto per primo nel mondo la circolazione del sangue dal cuore ai polmoni e viceversa. Ma, guarda caso, un giorno sfortunato per lui, scrisse qualcosa sulla Santissima Trinità che non piacque a Calvino. Non piacque nemmeno ai cattolici, come vedremo. Forse c'era della vecchia ruggine  da parte di Calvino verso lo scienziato. Forse considerava con sospetto gli studi anatomici come qualcosa molto vicino alla magia. Forse. O era solo invidia. Fatto sta che l' illuminato e smemorato Calvino dimenticandosi ella "magnanimità" perorata poco prima, lo schiaffò il galera con i suoi alambicchi e poi lo mandò al rogo come eretico. Ed il povero Servet rese l' anima a Dio, anche se un po' abbrustolita, senza avere la inutile soddisfazione di saper del suo Primato Guinnes per essere bruciato vivo per due volte, sia dai Luterani come, dopo, anche dai Cattolici.
Perché i Cattolici, consultati i sacri Testi dei Padri della Chiesa, convinti del NIHIL OBSTAT per applicare il rogo a Servet per seconda volta, lo condannarono al rogo anche se solamente in effige per motivi ovvi; ma anche perché il rogo dei Luterani non poteva liberare l'anima di Servet dal dominio del Demonio come solo poteva fare un rogo cattolico. Sic. E cosi i Cattolici furono magnanimi. E gli salvarono l'Anima, il bene più prezioso.
Ma non è finito qui.
Perché commentando la condanna di Servet, un altro studioso, francese, che anche viveva in Svizzera, Monsieur Sebastian Châtellon, si permise scrivere chissà dove che "ammazzare un uomo non è difendere una dottrina ma solamente ammazzare un uomo". E il povero Sebastian dovette scappar a rotta di collo in Francia , per evitare un'altra bella pira.

Le sue teorie sulla religione  il dotto Calvino le aveva enunciate nel Institutio religionis Christianae e la sua influenza non si limitò geograficamente come nel Luteranesimo al Nord Germania e ai Paesi Scandinavi. Ma si sparse moltissimo di più, in Svizzera, in Francia con gli Ugonotti, in Scozia con i Presbiteriani, in Inghilterra e Stati Uniti con i Puritani. Ed ebbe anche la sua bella influenza in Ungheria, Polonia e il resto della Germania. Un po' dappertutto, come si vede, meno che nell'Europa Mediterranea, sempre più godereccia. Certo, quelle guglie misteriose, a punta nelle chiese gotiche germaniche, mezzo nebbiose, severe, somigliavano di più a Calvino e male si adattavano agli aperti cieli azzurri del Mediterraneo, dove le chiese latine spagnole italiane sfavillavano di ori, forse di allegria e forse, anche, ancora paganeggianti.
Calvino non volle mai nemmeno parlare dell'eventualità di unificazione tra le varie forme Protestanti per formare una falange contro la odiata chiesa peccatrice di Roma. Chissà non voleva rinunciare al suo protagonismo ascetico né accettare che si osasse discutere sulla sua teoria della predestinazione: era inspirata, secondo lui, da San Paolo ed in realtà si rimontava addirittura al Fato dei Greci, degli Stoici, dai Cinici, dall'uomo con la lanterna che viveva in una botte. Ma fu trattata, la predestinazione, anche dai Padri della Chiesa come Agostino. Insomma, la Chiesa Cattolica "uscì pazza", direbbero a Napoli, per conciliare Predestinazione con il Libero Arbitrio. Ovviamente non lo faremo in questa sede. Ma in poche parole la "predestinazione di Calvino" era una predestinazione presa in serio, germanicamente, dove si affermava che dagli inizi dei tempi o dall'eternità -- nonostante la contradictio in terminis, perché se ha un inizio non è eterna -- Dio, Massimo Fattore Eterno, aveva deciso chi si salverà e chi non si salverà. ERGO il Paradiso lo raggiungeranno solo i predestinati, gli eletti, gli uomini superiori che saranno scelti dalla Grazia di Dio ma non per le loro azioni; ed il tutto secondo un calcolo di necessità di osannanti nel Cielo le glorie del Signore. E quelli che avanzavano, una specie di gleba, avanzavano e basta. Erano esuberi e che se ne andassero per i fatti loro, magari all'Inferno. Nietzsche?
Un'inattesa caratteristica delle sue idee era accettare il prestito ad interesse, proibito, teoricamente, dai cattolici. E proibito anche agli ebrei, tra di loro.
Ed in questo caratteristica si volle vedere in Calvino il propedeutico al Capitalismo. Insomma se sei un morto di fame significa che a Dio non interessi. Se sei uomo di successo, sei toccato dalla Grazia.
Pur tuttavia dal punto di vista personale Calvino non era come la stragrande maggioranza dei predicatori che  predicavano bene e razzolavano male. Non si limitava ad esigere ordine e serietà. Era lui stesso ordinato e serissimo. Accettò uno stipendio molto esiguo, di solamente 100 corone durante tutta la vita senza chiedere indenità di caro vita. I suoi eredi ricevettero solamente 300 miserabili corone, equivlenti a tre stipendi mensili.. Mai accettò incarichi speciali che avrebbero significato un maggior ingresso economico. Mai cercò posti onorifici per sé o per i suoi familiari. Niente di nepotismo, favoritismo, mai nessuno scivolone. Me lo immagino facendo all'amore con la sua sposa Idelette de Burè, unicamente con fine riproduttivi. L'unico che produsse furono tre figli che morirono ai pochi mesi di vita.
Un'altra cosa interessante rivelatrice del carattere di questo soggetto: Come si innamorò Calvino ? Come si sposo? Chi lo accettò? Lui non scelse la moglie da solo, per suo conto, per innamoramento o per i soliti dolci giochetti di gioventù. La incaricò. Si, una specie di compera per Internet. Si rivolse a un amico ed immaginiamo già il tipo. Gli chiese che gli trovasse una moglie che fosse ""gentile, pura, economica, modesta, paziente e la cui maggiore preoccupazione nella vita fosse  prendersi cura del marito"". L'amico scelse Idelette, dicendogli in gran confidenza che aveva tutti i requisiti.
E con tante virtù non poteva che essere uno scorfano.
Aggiungiamo un'alta caratteristica: mai, mai nella vita il nostro Calvino si prese un giorno di vacanza.
Sarà andato per lo meno in luna di miele?
Allora siamo franchi, poteva essere simpatico un tipo così?
Chi se lo sposerebbe?
Appunto: uno scorfano.
( c.v.d.)























       54 /                ALESSANDRO VI


                Rodrigo Borjas  (Papa dal 1492 al 1503)  

Basta accennare a un Borgia, in Italia, che subito si pensa a un Papa corrotto, simoniaco, libidinoso, peccatore, puttaniere, con figli sparsi qua e là ed anch'essi della stessa risma del padre: con contorno di veleni, confabulazioni, dalle mille maniere di fare politica sporca, a proprio vantaggio o della propria famiglia o amici o cortigiani.
E tutto questo è vero. E' il quadro perfetto di un Borgia. E non solo del Papa Borgia, Alessandro...ma anche dei suoi, soprattutto il favorito, il Cesare Borgia fatto cardinale giovanissimo dal potente padre, poi marito di non ricordo chi nobile spagnola figlia di Re e suggerita come sposa dal Re di Francia che lo nominò Duca del Valentinois.
Il Duca Valentino, il prototipo del Principe del Rinascimento, è astuto, amorale, crudele, traditore, bugiardo, abilissimo soldato conquistatore, descritto mirabilmente dal Machiavelli che macchiavellicamente dá una lezione di comportamento politico a chi vuole emergere, comandare e reggere i destini di uno stato, fregandosene di tutto. E nel quadro della famiglia forse potrebbe entrarci anche la bella Lucrezia Borgia, della quale si parlò tanto male e anche tanto bene ed alla fine si preferisce non parlarne affatto. Forse le donne sono sempre state più astute dei loro uomini, fratelli o padri o sposi che siano. Ed ella seppe adattarsi ai principi senza principi dei Principi italiani, terminando la sua avventurosissima vita in fama di virtuosa e colta Duchessa d'Este, tenera, sposa fedele e mamma amata dai suoi sudditi.

Però, c'è un però grande come un castello.
Cioè che anche gli altri erano tutti così,...o quasi tutti. E per "altri" non si intende solo principi del Bel Paese, Papi compresi -- forse addirittura in prima fila -- ma anche altri principi e duchi e nobili e imperatori sparsi per il mondo. E quelli che erano i virtuosi, erano i poveretti forzosamente virtuosi e che avrebbero voluto esserci loro al posto dei privilegiati, ma non ne avevano le forze.  Mancavano di quelle mali qualità necessarie all'uopo. Intelligenza, astuzia, amoralità, fingere buone virtu e fottersene degli altri. E sapere ammaliare. E magari in fin di vita pentirsi veramente delle malefatte e con un momento di contrizione, da furbi, entrare nel  paradiso per il buco ella serratura. 

Quindi, alla fine dei conti, nessuno si scandalizzava poi tanto al rendersi conto che un determinato Papa non era un santo. C'erano abituati.
Ma come era veramente questo Borgia? Questo bel Papa Alessandro VI ossia il valenziano - catalano Rodrigo Borja?
Arrivò al Triregno con l'appoggio del Re di Spagna e non del Re del Cielo. Non per preghiere e l'aleggiare di Colombe Bianche, ma per pagamenti a Cardinali. Era il delitto-peccato di Simonia, così chiamato a ricordo perenne di Simon Mago che offri denaro a San Pietro per ottenere doni speciali dallo Spirito Santo.
Uomo di  forti appetiti sessuali, libidinoso;  prima e dopo essere nominato Papa, ebbe la bellezza di otto figli e con diverse belle romane sposate o non sposate, nobili o popolane seguendo la moda del nepotismo-paternalismo.
Nominò Cardinale il nobile Alessandro Farnese, più tardi Paolo III. Fu un altro esempio di "riconoscenza" cristiana da parte del Borgia, perché il Farnese, per appagare la sensualità del vicario di Cristo, aveva offerto alle sua brame l' innocente sorellina di 15 anni, Giulia Farnese. E il Papa Borgia, per riconoscenza cristiana, come dicevo, lo nominò Cardinale.
Però, l'antipatia del popolo romano, più plebe che popolo, si dimostrò subito alla elezione del Borgia. E poi, più avanti nel tempo, con sollievo o addirittura allegria, ebbe la notizia della sua morte, probabilmente avvelenato. Ma non lo avevano accettato obtorto collo per i suoi eccessi virtuosi, o per lo meno non solamente per quelli : con secoli di porcherie politiche e amoralità ormai i romani erano di pelle dura.
Non era loro simpatico perché era un papa straniero e non lo sentivano come Vescovo di Roma; perché era straniero e continuava a parlare il suo diletto, mescolanza tra il valenziano, il catalano e forse anche un tantinello di quella pronuncia che rivelava qualcosa di ebreuccio.
Che successe?
La Fama Nera di questo Papa & Flia ,con il Duca Valentino e la misteriosa Lucrezia, angelo o demonio, impedì ai contemporanei riconoscere i meriti del suo pontificato. Como statista, naturalmente, non come uomo di chiesa.
Perché fu un gran Statista. 
Nei suoi diedi anni di pontificato seppe organizzare finalmente il disordine spaventoso nel governo temporale. Ed anche con il trattato di Tordecillas, partorito in due tempi, voluto da lui, seppe evitare guerre tra Cristiani, Spagna e Portogallo, famelici per dividersi le scoperte del nostro bravo Colombo, un po' ebreo un po' spagnolo, un po' genovese: tirchio da matti, anhe lui, come gli altri. Per questo mai  pagò i 10.000 maravedi promessi a Rdrigo de Triana.

Fu anche un gran Mecenate delle arti, il Borgia e senza di lui forse oggi non esisterebbe la pietà di Michelangelo.
Inoltre - e questo non era cosa da niente - non era solamente il vecchio libidinoso a caccia de ragazzine, cosa che alla storia non interessa affatto; ma seppe dettare leggi giuste, sapeva come amministrare i suoi territori, dette sviluppo all'industria, al commercio e riusci a restaurare la pace; e dimostrò buona dose di tolleranza aiutando colonie di ebrei scacciati dalle fanatiche folle iberiche. Cercò anche di formare uno stato tutto italiano, senza predominio ne' di spagnoli ne' di francesi. Naturalmente sperava di ottenerlo come regno a sé, con lui a la testa, come ci speravano anche gli altri pretendenti. Chi ci provò molto più tardi con i suoi entusiasmi popolari fue quel simpatico arruffone eroico di Garibaldi, ma non ci riusci completamente.. Forse aveva scelto il candidato peggiore, che nemmeno parlava italiano.

E tornando al Papa Borgia, questi che abbiamo raccontato furono senz'altro i suoi meriti come statista. Era ebreo anche lui? Si sussurrò anche questo. Discendente di Aharon Cybo, nobile famiglia di ebrei genovesi, forse anch'essi legati al Colombo quasi nostrano? Genova e Catalogna non sono tanto lontane. E se ci prendiamo il bizzo di comparare i due ritratti, dove spiccano quei due bei nasi... di Borgia e Colombo, se si guardano e comparano i due ritratti, con quel bel naso semita, a scimitarra, la domandina ce la facciamo. Il Papa Borgia e Cristoforo Colombo sembrano due fratellini gemelli.
Però, insomma, nasi o non nasi, i tre Borgia, il Padre Santissimo e i due figli, continuavano a parlarsi nel loro peculiare dialetto. E chissà questo fu per i romani il più grande oltraggio. Il Papa della Chiesa di Roma doveva essere Romano, sennò, che razza di Papa era? La maggioranza di loro nemmeno sapeva che Gesù Cristo e san Pietro erano ebrei circoncisissimi. 

E nun je  aveva chiesto Gesu a Pietro, qui a Roma, QUO VADIS? Ndo' vai? E nun era latino? Certo che Gesu parlava latino, 'a linguaccia zozza che parlavano li preti e li mortacci nostra, l'antenati nostra. E mo'...??   'sto papa, che parla? 

E per giunta qualcuno disse che il folklorico popolo romano non perdonò mai a Papa Borgia che bestemmiasse. Non fu per la bestemmia in sé. Non gliene fregava un bel niente. E infatti tutti rideranno a sentire tra qualche anno le parolacce scurrili del Papa Giulio II  che sacramentava con il suo amico Michelangelo nella Sistina. Ma non gli  perdonarono a Sua Santità le bestemmie  perché il tradizionalista Borgia lo faceva nel suo dialetto, che i romani non assaporavano e questo toglieva gusto alle sue effervescenze. Avrebbe dovuto usare il dialetto romanesco, quello folklorico e strafottente del VAFFANCULO... e che i romani s'intercalavano tra  lezzi durante le tante feste religiose di Roma Santa; e dove, grazie a Dio, si abbuffavano di porchetta pagata dal Obolus Sancti Petri degli altri cristiani al di là delle Alpi. E il tutto con le stornellate popolari, le pacche del Volemose bbene e tiramo a campá... e Con le fontane dei Castelli che davano vino.

Francamente, siamo seri, doveva parlare romanesco, altrimenti, che  razza di Papa era? Per questo tutti sventolavano i suoi peccati. 
 Pe' sfregio! si dice a Roma



















    55/
/                    LUCREZIA BORGIA
                                    LUCRECIA BORJAS

                                   (1480—1519)


Su Lucrezia Borgia si è scritto moltissimo. Un personaggio intrigante del quale si potrebbe sapere tutto e niente. Figlia illegittima di un Papa peccaminoso, con tre mariti, non si sa bene con quanti amanti, donna bellissima, colta, con tutte le caratteristiche per essere famosa nel bene o nel male. Forse vittima innocente di uno Stato e in un periodo tra i più scostumati del Rinascimento nella Curia Romana. E che terminerà la sua vita come virtuosa Duchessa D'Este a Ferrara, amata e stimata e colta dama.
Era figlia -- e non lei solamente -- del Valenzano-Catalano Rodrigo Borgias, Papa Alessandro VI e della sua amante principale, la contessa Vannozza Cattanei. Ed anche la Cattanei non era nemmeno una donnarella qualsiasi. Apriamo una piccola parentesi. Le sue avventure, affari, attività, amanti e mariti li ebbe anche lei, oltre che figli vari. Era nobile di Mantova, la città di Virgilio. Di antica nobiltà però venuta a meno, arrivò a Roma dove si mise a fare la locandiera, ristorante trattoria, con camerierette tutto fare dove andavano nobili e preti, da Monsignori in su. Un posto VIP. Era una donna che sapeva il fatto suo. Anche bella, esuberante e per varie circostante che astutamente seppe approfittare, fece anche quattrini a palate. Diventò amante del Cardinale Rodrigo Borgia e spodestò tutte le altre concubinette. E con il Borgia conviverà in piacevole e simpatica relazione anche di affetto e stima. Quando il suo importante amante diventerà Papa Alessandro III, la relazione amoroso - sessuale terminerà, però rimasero amici ed ambedue con sincero affetto per i figli comuni. Rimasero amici, al punto che il Papa si preoccupò di trovarle un buon marito, per lasciarla sistemata, insomma.
Bene, ci sarebbe tanto da dire ancora su questa contessa di Mantova. Ma lasciamo stari lì. Accontentiamoci di dire che fu la mamma di Lucrezia Borgia e del Famoso Cesare Borgia, il principe di Macchiavelli, il Duca Valentino.
Che poi, nel tempo, l'ex cardinale Borgia, trasformato in Papa Alessandro VI, abbia accettato di buon grado dall'ecclesiastico Alessandro Farnese il dolce suggerimento di sverginare la sua innocente sorellina di 15 anni, Giulia Farnese, questo non ha a che vedere ne' con la Vannozza ne' con Lucrezia.
E che poi questo favore, in un mirabile DO UT DES , abbia posto un bel Cappello Rosso sulla capoccia dell'ecclesiastico per trasformarlo in Cardinale ed in più con la possibilità, una parolina di favore allo Spirito Santo per farlo diventare il Papa Paolo III, Paolo III Farnese; anche questo, lo ammetto, si direbbe un poco fuori tema.
Però tutto questo serve per rivelare meglio dettagli, caratteristiche e intrallazzi e nefandezze di certe famiglie di cristiani in Roma Santa, tanto per descrivere meglio l'ambientino.
Se fosse apparso Gesù Cristo... altroché frustatine come ai mercanti del Tempio, la qual cosa, che io sappia, fu l'unico episodio riportato dove l'Uomo del perdono, il Messia, abbia perso le staffe.
Sono arcisicuro che non andò a Roma, poverino, per non perderle del tutto.
E sarebbe caduta irrimediabile la teoria dell'altra guancia!

Continuiamo.
Senz'altro a Lucrezia Borgia non si possono attribuire le responsabilità per le azioni violente, peccaminose, simoniache e immorali del suo bel Fratellino nonché del suo bravo papà Papa e nemmeno quelle, molto meno gravi, di su mamma, la polifacetica contessa mantovana. La punibilità delle cattive azioni non dovrebbe considerarsi estensibile a parenti come pretese Noè incolpando tutti i futuri negretti innocenti, per i secoli dei secoli, con la sua famoa maledizione. E nemmeno la disobbedienza di un certo mangiatore di mele dovrebbe punirsi ad aeternum, castigo estensibile a tutti i posteri. 
Però la Volontà Divina è imperscrutabile. Chiniamo la fronte al Massimo Fattor. come esortò il Manzoni.

Ma, a proposito di Lucrezia, nemmeno si può affermare con sicurezza tutto il contrario.
Era ancora una ragazzina ed anche molto bellina, poco più che bambina quando entrò nel turbinio della corte di Roma. E addio innocenza.
In generale si può dire di lei che si cominciò ad utilizzarla come merce di scambio a favore del papa Borgias, AlessandroVI, suo padre. Fu consegnata da lui come sposa a personaggi diversi secondo le convenienze politiche del momento.
Prima la fecero sposare con Giovanni Sforza, Condottiero, uomo d'armi.
Dopo un po' non ci fu più necessità di quell'alleanza con gli Sforza e il buon Papa Alessandro volle tenerla a disposizione per altre future alleanze più vantaggiose. Che ti fece 'sto bel Papa? Ordinò l'assassinato di suo genero.
Però sembra che il cattivo fratellino Cesare Borgia, intelligentissimo ma poco di buono e scostumato, fosse innamorato della sorellina. Chissà come mai le svela il complotto. Non vogliamo chiedercelo. Perchè la ragazzina intanto si era innamorata del Giovanni Sforza, marito voluto non da Dio ma dal suo Vicario, il Papa. Si innamorò. Succede a volte.  E come disobbediente figlia ma come buona sposa,  aiutò il marito a scappare. Scappò da Roma e da morte sicura.

Ma il Papa non rinuncia facilmente ai sui propositi. Chiese allora al Cardinale Ascanio Sforza, zio di Giovanni, il favore di persuadere il nipote a chiedere l'annullamento del matrimonio. Giovanni, che ancora stava scappando, non solamente si oppose ma accusò allora suocero e cognato di incesto con Lucrezia. E per imbrogliare ancora di più la vergognosa matassa, si affermò da parte di chissà chi che il matrimonio non era mai stato consumato perché il Condottiero di gran rinomanza era forse eroe nel campo di battaglia ma non eroico nelle battaglie d'amore. Impotentia Coeundi. Lo abbiamo scritto in latino ma tutti i miei lettori lo capiranno. Allora Papa Alessandro VI, uomo saggio, giurista e latinista, insistette con il presunto genero che si trattava di un matrimonio invalido perché non consumato: il matrimonio non c'era mai stato perché non suggellato dalla unione carnale tra i due nubendi. Cosi sentenzia il Codice Canonico. E quindi il Tribunale Ecclesiastico della Sacra Rota poteva tranquillamente dichiararlo nullo, a richiesta di parte. Ed ognuno per i fatti suoi.
Il gran Condottiero, esausto per le tante pressioni, finalmente accedette alla richiesta, si autoproclamò impotente e la sballottata Lucrezia fu "libera" per altri compromessi.
Come divertentissima pennellata di folklore romano, romano inteso sia in senso laico come religioso, poco prima del suo secondo matrimonio, questa volta con Alfonso d'Aragona, la ormai diciassettenne Lucrezia ebbe un bel bebè: passò alla storia come Il Bebè di Roma, l'Infante di Roma, perché non si sapeva chi fosse il padre.
E qui si scopre un'altra cosetta bella di quei tempi. Sembra che il buon Papa Alessandro, una volta fatta dichiarare la nullità del matrimonio di sua figlia Lucrezia con il Condottiero, in attesa di nuove disposizioni matrimoniali per sua figlia, sempre preziosa merce di scambio da conservarsi con attenzione, la mandò a rinchiudersi in un Convento, a difesa di tutti i pericoli. Nessuno poteva vederla o vistarla, con la sola eccezzione di tre persone: suo papà il Papa; suo fratello Cesare, il Duca Valentino; e naturalmente il suo vigilante-carceriere, un certo Perotto, uomo di assoluta fiducia del Papa.

Dei tre maschietti, chi poteva essere il padre del bimbo? Conoscendo l'ambientino e le abitudini, poteva essere qualsiasi dei tre. Poteva ribellarsi un ragazzetta di 17 anni agli eventuali tre pretendenti? Un padre Papa, un fratello senza scrupoli e il suo aguzzino? 
E così continua la novella Boccaccesca.
Il Papa Alessandro emise due Bolle Pontificie a proposito di questo bambinello innocente di tutto. Nella prima Bolla pontificia riconobbe il bambino come figlio di sua figlia Letizia con suo figlio Cesare, ammettendo implicitamente l'incesto. E nella seconda Bolla mantenuta in segreto per anni riconobbe il bambino come suo, avuto con sua figlia Lucrezia.
Nell'intrallazzo tra una Bolla e l'altra apparve anche la dichiarazione del tal Perotto dicendo che Lucrezia era stata  sua amante e il bambino era frutto della relazione tra aguzzino e prigioniera. 
Come furono in realtà gli eventi?
Tutto possibile.
Possibile che ciascuno dei tre, in buona fede, abbia creduto ognuno di essere il padre del bambino: cosa che spesso accade agli ignari mashiettini. E magari poi si viene a sapere che è stato un altro, magari il frate confessore. 
E può anche darsi che la bella giovane ed inesperta Lucrezia sia stata abusata da ciascuno dei tre personaggi.
La leggenda nacque ed ormai non si saprà più la verità.

 Però, per la verità,  c'é da dire che Alessandro VI e i Borgia in generale  erano pieni di nemici rabbiosi da tutte le parti e che volevano  disprestigiarli al massimo, dicendone  sempre di cotte e di crude, vere o inventate o esagerate.  
Poco dopo questo evento, del bebè di Roma, a Lucrezia fu imposto altro matrimonio con Alfonso d' Aragona, nuovo alleato dei Borgia. 
Ma poco dopo, resasi già superflua questa nuova alleanza, il nuovo alleato fu mandato tranquillamente a assassinare. Da chi? Dal Papa, secondo una versione.
 Così come cercò di difendere il primo sposo, così Lucrezia aveva cercato di difendere il secondo. Ma non le fu possibile. La giovane donna apparentemente si affezionava ai mariti sia pure imposti dalla politica. Chissà, forse proprio come mezzo per sfuggire alle grinfie della famiglia. Chissà...
Pero c'è anche un'altra versione, niente affatto politica.
Cesare Borgia, libidinoso e peccatore sempre innamorato anche di sua sorella, cominciava ad essere geloso di Alfonso d'Aragona, molto un bel ragazzo, del quale si diceva che Lucrezia si fosse adesso sinceramente innamorata. E si disse che per questo Lucrezia non voleva più rispondere alle esigenze sessuali del fratellino. Il quale fratellino, intanto, era diventato bruttissimo per uno scoppio di sifilide che aveva spaventosamente deturpato quello che prima era un bel volto di giovane. Il Duca Valentino cercò di nascondere le fattezze del viso butterato con una barba spaventosa. E si disse che, rabbioso di gelosia, abbia ammazzato il suo cognato.
E può darsi anche questo.
Pero la vita continua per la nostra eroina. Al poco tempo di inizio della vedovanza sarà nominata Amministratrice della Chiesa e del Vaticano. Siccome il Papa Borgia macchinava adesso un matrimonio-alleanza con i Duchi d’Este, una delle nobltà piu antiche e prestigiose d`italia, voleva che la figliola Lucrezia aggiungesse fama di abile aministratrice alla sua già nota fama di bellezza govanile. Questo incarico di enorme responsabilità  fu molto criticato per la sua gioventù ed inesperienza. Pero Alessandro VI insistette tanto con il Re di Francia, preannunciadoli favori speciali per le  sue aspirazioni su Napoli, con tal che Parigi facesse pressioni a Ferrara  per celebrarsi  il matrimonio voluto dal Papa.   E i Duchi di Ferrara che al principio non volevano, abbozzarono e dissero di sì al matrimonio  pero esigettero una dote immensa che il Papa pagò e i Duchi d'Este contarono moneta a  moneta. 
E si arriverà  alla terza disposizione di Lucrezia con conseguente nozze con Alfonso; un altro Alfonso, ma Alfonso d'Este.Ma fu da allora che la vita di Lucerzia cambiò. Alfonso rimase impressionato tanto dalla bellezza di Lucrezia, capelli biondissimi ed occhi neri, al punto che un ficcanaso di  cameriere privato del Duca ebbe a commentare che il suo principe nella notte di nozze volle consumare il matrimonio cattolico per ben tre volte di seguito.E la nostra Lucrezia andrà vivere a Ferrara.
Metamorfosi?
Anche lei si innmorerà del marito; e come Duchessa d'Este a Ferrara la si ricorderà come magnifica moglie, come dama raffinata amante delle arti, amica platonica di illustri intellettuali tra i quali emergerà il Bembo; ed anche la si ricorderà come mamma preoccupata per i suoi figli, donna intelligente ed ancora intramoltabilmente bella.  Tutte doti positive anche se si seppe riconoscere che nella sua prima gioventù fu utilizzata per le ambizioni politiche del suo caro papà e del suo fratellino.  E con i sei figli che ebbe con il Duca d’Este fu possibile  che alquante gocce del suo sangue Borgia arrivassero con il tempo a tutte le case regnanti d’Europa, fino al  seolo XX.
Senza ancora aver superato la soglia dei 40 anni, morì a conseguenza del suo ultimo parto. Aveva avuto la bellezza di otto figli in totale tra maschi e femine:  Giovanni Borgia, il  bimbo di Roma; Rodriguito d'Aragon; ed i sei come Duhessa d'Este. Erano tempi molto difficili, specialmente per una donna, ma la sua dipartita fu tranquilla. E volle, per ultima veste, quella umile della Francescana.Se ci si chiedesse se fu angelo o demonio, la risposta sarebbe difficile da dare.
Indubbiamente fu una vittima dei suoi tempi.
E soprattutto nell'ambiente in cui crebbe: di incensi e di peccati, di culture e crudeltà, di bellezze, di arti e di sozzure.



56/                  LEONARDO DA VINCI

                                  (1452-1519) 

            


Si è scritto tanto su Leonardo di Ser Piero da Vinci, che se riunissimo tutti i libri, tra i molti buoni ed i moltissimi cattivi, ci sarebbe da riempire una biblioteca. 
Mi riferirò quindi a uno dei pochi episodi della vita di Leonardo poco, molto poco conosciuto. Il Leonardo alchimista di veleni, al servizio di Casare Borgia, il Duca Valentino, che è lo stesso Principe, diciamo "amorale", del Machiavelli.
C'era una volta una bella Italia del Rinascimento dove non esistevano solamente opere d'arte in pittura, scultura, architettura e una nuova visione di vedere il mondo, ma anche una bella maniera per eliminare i nemici. Le lotte aperte in campo di battaglia, con cavalleria fanti, arcieri, tamburi e stendardi non presentavano ormai nulla di interessante per i Principi italiani che cominciavano ad incaricare questa forma volgare e pacchiana di sbudellarsi a truppe mercenarie normalmente straniere. I sempre più raffinati Principi preferivano ricorrere ai veleni, dove il genio e la fantasia si mischiavano in maniera che l'assassinato raggiungesse la bellezza della creatività dell'Arte. Si potrebbe forse anche dire che ci fosse quasi una concorrenza tra Principi. E per rifulgere in questo, il bello e astutamente crudele Cesare Borgia, il Duca Valentino, volle contrattare niente di meno che al grande Leonardo d Vinci.
Leonardo, uomo dal multiforme ingegno, era curioso di tutto ed amava anche cercare e divertirsi con strane ricette di cucina, nuovi sapori e salse misteriose.
Il Duca lo contrattò, come ingegnere, perché aveva dimostrato eccellenti qualità nella costruzione di fortificazioni per il suo padrone anteriore, il Duca Sforza di Milano. La sua fama stava velocemente spandendosi ovunque. Il Valentino sapeva che Leonardo era praticamente esperto in tutto, tutto inventava, a tutto apportava nuove idee di realizzazione, nelle cose più diverse, come esperto in preparare cene speciali, festeggiamenti, robe da sbalordire le Corti allegre pagane e fastose del Rinascimento Italiano. E realmente Leonardo, lo sapiamo tutti, fu uno dei cervelli più privilegiati nel mondo. Probabilmente l'unico che ebbe tante intuizioni. Uomo universale.
E per questo, però, è anche vero che causa un malessere morale, parlare di un genio come artefice di veleni sapendo che con la sua invenzione si sarebbe ammazzata un persona. Complice?
Poi si pensa a tanti altri scientifici che con le loro scoperte hanno prodotto armi letali dove non una persona ma cento e mille e milioni di persone possono trovare e hanno trovato la morte. Complici?
Ma i fatti sono i fatti. Ed anche se Leonardo avesse inventato veleni o bombe per distruggere tutta una città, la sue realizzazioni e intuizioni geniali non sarebbero scalfite da considerazioni morali.
Nel caso specifico, il Cesare Borgia e lo stesso Papa Alessandro VI Borgia, suo padre, volevano far fuori un nemico. Ammazzarlo ma senza risultare colpevoli. A Leonardo arrivò l'incarico, lautamente pagato, di inventare un veleno sofisticato che assolutamente passasse la prova del "provatore di cibo" e che la persona morisse il giorno dopo, simulandosi un attacco di cuore.
I gentiluomini italiani normalmente usavano per questi casi la Cantarella , o Acquetta di Perugia, una bella mescolanza tra rame, fosforo ed arsenico. Però qualsiasi buon Provatore la avrebbe individuata.
Chi era il Provatore? Quella del Provatore era un professione molto ben pagata però anche con alti rischi, in auge nel Contraddittorio Rinascimento soprattutto Italiano ed in Spagna, tra nobili, laici ed ecclesiastici. Tutti VIP, per intenderci.
Prima che l'invitato d' onore cominciasse a mangiare, il Provatore personale dell'Invitato provava lui stesso il cibo nel piatto dell'Invitato. Tutti a guardarlo. E lui provava un pochettino per vedere se riusciva a individuare sapori dei veleni conosciuti. Se non individuava, mangiava un po' di più fino ad individuare, o veniva colto dai dolori del veleno, spesso mortali. Si usava così. Nessuno si offendeva ed il nobile andava a pranzo da chi lo invitava accompagnato dal suo Provatore, come se fosse un normale cameriere del suo seguito. In Spagna questo si chiamava Fare Salvo il Cibo ( hacer salva la comida ) ed era anche un segno di grande onore per l' Invitato. Come esempio aneddotico dirò che quando il Grande Marinaio tornò festeggiatissimo dal suo primo viaggio dalla Indie Occidentali, carico di onori e pappagalli, i Reali di Spagna vollero concedere il grande onore a Colombo facendogli salva la comida. Ossia lo stesso Provatore delle loro Maestà provò il cibo nel piatto di Colombo. La qual cosa, essendo un gradissimo onore mai concesso a un plebeo, contribui a provocare invidie e antipatia tra i nobili spagnoli presenti.
Grande Ammiraglio del Mar Oceano, ma forse pirata genovese, forse di origine ebrea spagnola, sefardita. ¡Que vergüenza!...Salva la comida para un plebeyo!


Bene, continuiamo.
Il nostro Leonardo riceve l'ordine dai Borgia di trovare un veleno speciale nel termine perentorio di cinque giorni. Attraverso un marinaio di ritorno dal terzo viaggio di Colombo da Trinidad, ottiene un'erba speciale, Ichigua o un nome simile. E comincia a lavorare e alambiccare con questa ore e ore per togliere ogni possibile sapore all'intruglio pero preservando intatta la qualità mortifera a scadenza di un paio di giorni, simulando un bel colpo apoplettico di cui nessuno sarà responsabile. Invitati al banchetto di Cesare Borgia c'erano suo papà, il Papa Alessandro VI, nonché il Cardinal Minetto, futuro Candidato al Soglio Pontificio, in questi momento con l'incarico preciso di combattere la sempre più dilagante corruzione nella corte del Papa e nel Concistoro.  
Presenti anche il Vescovo di Santiago di Compostella e il Monsignore di Salamanca. E c'era anche invitata la giovanissima Lucrezia Borgia, figlia del Papa, bella, dolce, bionda, occhi nerissimi che giocherellava con suo gattino bianco.
Il severo ed apparentemente onesto Cardinale Minetto sapeva molto bene -- e come si rumoreggiava anche già da tempo in Vaticano -- che Alessandro era un Gran Capo di stato ma assolutamente corrotto come Capo della Chiesa. Conosceva gli eccessi "mondani" del Papa, dei suoi vari amori sensuali e li sospettava anche con la sua figlioletta. Sospettava anche incesto tra Cesare e Lucrezia.
E il Cardinale Minetto sapeva anche del famoso ballo delle castagne, la Castagnata in uso ancora oggigiorno in parecchi paesi italiani. Pero allora si celebrava nelle stanze riservate del Papa e terminava in una franca orgia pagana. Oggigiorno non è più cosi. Qualcuno forse ne avrebbe ancora nostalgia. O tempora o mores direbbe ancora quel qualcuno.
Cosicchè mentre i commensali si preparavano per la cena, il nostro Leonardo stava preparando la sua salsa misteriosa, condimento a delle bellissime trote. Cuando tutto era pronto, lo stesso Maestro provò una goccia di salsa del piatto avvelenato senza notare assolutamente nessun sapore estraneo. Però bisognava provare un po' più abbondantemente quando improvvisamente il gattino di Lucrezia, con intenzioni suicide, si avvicinò strusciandosi goloso alle gambe del Maestro che avevano qualche odore di trota. Leonardo era un tipo sveglio, prese il gattino e gli dette da mangiare un bel pezzo di trota, ovviamente avvelenata. Il gattino ringraziò con un tenerissimo miagolio. e si allontanò. A morire tra un po' in qualche angolo del giardino... deve aver pensato il Divino Maestro.
Si servirono le bellissime trote ai commensali, ovviamente dopo la tradizionale e indiscussa approvazione del Grande Provatore del Cardinale Mileto.
Cesare Borgia guardò con riconoscenza e ammirazione il grande Maestro alchimista.
Però improvvisamente il Cardinale si alza dalla sua poltroncina. Si porta le mani alla gola, gli occhi quasi gli escono dalle orbite, e cade morto in pochi secondi. Il terribile sguardo di Cesare Borgia, con ira repressa, fulminò il divino Maestro. Evidentemente l' effetto del veleno si era prodotto immediatamente e non al giorno seguente come ordinato a Leonardo.
Però....
Però, improvvisamente, in questione di secondi, passa per di lì, in un angolino, i gattino di Lucrezia, miagolando.
Cesare e Leonardo si scambiarono un'occhiata interrogativa...Si precipitano a vedere il cadavere di Sua Eccellenza, i commensali tutti intorno al corpo senza vita e Leonardo, con la tranquillità che gli era normale, osserva e fa osservare una enorme spina della trota che si era infilzata nella gola del Cardinale. Il principe della Chiesa era morto per asfissia. Nessun'altra causa.

Ed il giorno seguente, il Papa Alessandro VI, il duca Cesare Borgia ed il divino Maestro assistettero compunti e sollevati ad una bella Messa di Miserere.













57/                  GIULIANO DELLA ROVERE

                                   PAPA  JULIO II
                               (Papa del 1503—1513)

 Era un tipo simpatico, bel ragazzo, alto, di famiglia modesta però nobile di modi, elegante, raffinato, amante delle arti, dei buoni pranzi e delle belle donne: dicono  taluni che alternandole, a volte, con amori proibiti. Era di grande  personalità, carattere forte e a volte con esplosioni d'ira che lo portavano al turpiloquio e alle bestemmie come qualsiasi volgare carrettiere. Aiutò moltissimo artisti come Michelangelo e Raffaello, permettendo loro cose che non permetteva ad altri: ossia alle persone normali. Riconobbe i loro valori in sé, anche perché lui stesso potesse risaltare ancor più con loro. Non era certo una persona umile. Da giovane stava studiando in un convento di Francescani, non per speciale vocazione religiosa, ma come mezzo per istruirsi meglio, quando gli piovve la notizia che un suo zio era stato nominato Papa. Fortuna che tiene uno al avere uno zio Papa, quando i papi contavano qualcosa di più degli altri capi di stato. Per lo meno nell'Europa Cristiana. Ed infatti Sisto IV, ligure anche lui, un della Rovere, uomo serio e competente, buon papa, seguendo le abitudini niente occulte del nepotismo, lo nominò subito Vescovo e poco dopo Cardinale. E i Vescovati, a quei temi, erano motivo di laute rendite. Il buon zio Papa ne fece avere ben otto al caro nipotino includendo quello di Avignone, molto ambito perché ben succulento. Ma questa fu l'unica debolezza di Papa Sisto. Per il resto ricorderò ai turisti per Roma, che la Cappella Sistina si chiama così perché ne iniziò la costruzione questo Papa; e se gli stessi turisti volessero estasiarsi con la bellissima fontana di Trevi e chissà con lo struggente ricordo di Anita Eckberg,  sappiano che fu per volere dello stesso Papa se  quella fontana  serve la famosa acqua di Trevi: per tirarci i soldini dentro.
 Ma questa è un'altra cosa.

Bene. Poco dopo questi eventi di nomine nepotistiche tradizionali nel Papato, Papa Sisto manderà il caro nipotino come Legato Apostolico in Francia. E da lì prese l'avvio per farsi conoscere come uomo  abile e di considerazione ed acquisterà in breve una notevole influenza nel Collegio Cardinalizio. Non solamente perché fosse nipote dl Papa. Ma perché lui veramente era una persona di valore e la sua influenza aumenterà ancora di più con la morte di suo zio.
Gran nemico di Giuliano della Rovere era Rodrigo Borgia, lo spagnolo. Ma il primo che arrivò al Solio fu Rodrigo che si chiamerà Alessandro VI e Giuliano non riuscì mai a rassegnarsi a questa offesa fattagli dallo Spirito Santo. E si affretta a denunciare che Rodrigo Borgia era divenuto Papa non per intervento dello Spirito Santo ma del re di Spagna, di quattrini, di simonia.
Ovvio che lo spagnolo dal sangue caldo diventa furioso: "Queste cose non si divulgano coram populi, pubblicamente," disse in un accesso di ira di stampo mafioso. "Il Gregge potrebbe fraintenderle."
Giuliano, anche lui impulsivo,  comincia a temere il Papa, simoniaco o no; e cerca rifugio ad Ostia. Ostia non è in questo caso la Ostia Santa, come aiuto spirituale, ma il porto di Roma, che si chiama Ostia e lo porterà fuggiasco in Francia e poi a Parigi. Ed a Parigi, cercherà di convincere Re Carlo VIII, l'Affabile, per conquistare affabilmente Napoli, in mano spagnole.Tuttavia, nemmeno Alessandro VI si succiava innocentemente il ditino; e come contro mossa offrì un Bel Cappellino Rosso a un ministro poderoso e corruttibile del Re di Francia. E contrappose le sue machiavelliche macchinazioni alle macchinazioni del Della Rovere.
 Nel 1503 il Papa Alessandro VI Borgia morì, chissà per malaria, chissà per veleno.
Sicuro che Giuliano non lo pianse in un MISERERE.
E in quello stesso anno il Cardinale Giuliano della Rovere si trasformerà in Papa Giulio II.
Il bravo Giuliano, da cardinale o da Papa, aveva seguito le antiche tradizioni Romane e romanesche di vari figlioli i quali, eufemisticamente, si chiameranno NEPOTES, cioè nipoti. Da dove viene la parola Nepotismo per indicare favori a familiari. E ultimamente con una gentildonna Romana ebbe una figliola. Pero Giuliano era un Gentiluomo e come era suo dovere non scritto troverà un buon marito alla sua amante ed in casa di un altro Cardinale Della Rovere, cugino del Papa Sisto.
Tutto in famiglia.
E da San Pietro, più con la spada in mano che con la Croce, governerà il mondo Cristiano imponendo la sua volontà.
Aveva assistito obbligatoriamente impassibile come il Papa Anteriore, il Borgia ed il suo figliolo preferito -- il Cesare Borgia Duca Valentino, il Principe di Machiavelli -- avevano dilapidato il patrimonio di San Pietro in beneficio proprio; cosi che, sia per un certo senso di giustizia o di vendetta o di avarizia, cercò con tutti i mezzi di ricuperare i feudi perduti ed aumentare il patrimonio del Vaticano. Che poi i grandi capi abbiano quasi sempre confuso per distrazione il patrimonio dello Stato con il proprio, sono distrazioni, appunto, delle quali la storia non tiene conto un granché. Accadde con Abramo, con Salomone, con Gengis Kan, con Cesare, con Stalin. Con Re e Imperatori. Con tutti. Con chi, no?
E così Giulio II combatté personalmente, con corazza e spada in mano, contro Perugia e Bologna che pretendevano certa indipendenza. Con la Croce e con la Spada. Ma siccome con la sola Croce non si otteneva un granché, ricorse alle gentilezze della spada. E recuperò per il suo palato ormai raffinato i dolci Perugina e gli affettati di Bologna.
Poi venne il turno di Venezia. Ovvio. La Serenissima era troppo potente. A quei tempi era all'apice della sua potenza in territori italiani. Aparte possedimenti vari in mare, arrivava per terra quasi a Milano e al sud quasi fino Ferrara. Ed allora questo diavolo di Papa, soldato e machiavellico, tanto fece, disfece, disse, confabulò, promise e non promise che riusci a mettere insieme francesi, austriaci, ungheresi, spagnoli, savoiardi e fiorentini e mantovani contro Venezia, formando la Lega di Cambrai. La povera Venezia, anche se poderosa, non resse contro tanta gente e l'anatema del Papa. La Serenissima perse nella guerra-battaglia di Agnadello.

Venezia non fu distrutta, ma indebolita. Ed era quello che voleva Giulio II. Perché una Venezia deboluccia e mezzo scassata avrebbe restituito al Papato ampli territori nel centro Italia.
E “Cosi Sia”, disse il Papa e così fu. Ed ottenuti i suoi obiettivi il bravo Papa uscì dalla Lega che poco dopo si disfece. Naturalmente Giulio II tolse la scomunica a Venezia e  tutti i veneziani potettero andare a Messa con le anime ormai purificate e relativamente obbedienti a Roma.
Chissà, c'è da pensare che se non fosse esistito quel Papa battagliero che era Giulio II, molto probabilmente la Serenissima, poderosa in Italia del Nord e con vari possedimenti in Oriente -- e l' unica a trafficare con vantaggi reciproci con gli Infedeli -- avrebbe potuto conquistare tutta la Penisola. Ossia, considerato un certo punto di vista, avrebbe potuto unificare l'Italia con più di tre secoli di anticipo sui Piemontesi. Ma il destino volle che la lingua italiana fosse il toscano e non il veneto.
Continuiamo con Papa Giulio II.
Questo Papa implacabile pose allora il suo implacabile sguardo su Genova e Milano, sotto potere Francese. Che Luigi XII fosse stato fino a pochi mesi prima il suo fedele alleato contro Venezia non gliene importava un comino. La diplomazia Vaticana inventò allora la Santa Lega integrata da Venezia, già purificata e gli Stati Pontifici, sempre puri per antonomasia.  Ed un'altra volta al grido patriottico e romantico di FUORI LO STRANIERO!, alla Lega Santa si unirono Spagna, Enrico VIII d'Inghilterra, Massimiliano d'Austria e la Svizzera. Lo straniero di turno da cacciare dalla Penisola Italiana era diventato adesso la Francia. E mentre la Lega Santa stava organizzandosi per l' intervento, intanto lui, anticipandosi per suo conto, cominciò a darsi da fare e come Capitano delle sue truppe oltre che Papa conquistò in un santi amen la cittadina di Mirandola che aveva azzardato allearsi con i Francesi.
A proposito della cittadina, mi permetto un fuori tema simpatico. Tutti sanno chi era Pico della Mirandola. Un uomo di formidabile memoria, umanista insigne eccetera eccetera. Ricordava a memoria libri interi. Come un computer. Bene. La prodigiosa memoria di questo signore gli venne a mancare in una sola occasione nella sua vita ed a rischio, appunto, della sua vita. Fu quando si innamorò pazzamente e corrisposto, di una bellissima gentildonna già sposata, una Medici, se non ricordo male; e con lei trattò la fuga d' amore dimenticandosi che era sposata con un altro. Per poco lo ammazzano. Per una dimenticanza.

Riprendiamo il filo.

Il caro Luigi XII visti gli intrallazzi del Papa-Capitano cercò di convocare un Concilio per frenare l'arroganza di questo Papa. Poteva formarsi un altro Scisma. Ma il Concilio non funzionò. Altra vittoria per lo Spirito Santo e Giulio II.
Allora i francesi, delusi, lanciarono il grido : A la guerre !
I Francesi erano molto bene organizzati, allenati, bene equipaggiati e sicuramente avrebbero vinto e facilmente. Ma, chissà per intervento dello Spirito Santo, il comandante in capo delle truppe Francesi, l'abilissimo Generale Gaston de Foix mori ammazzato nel campo di battaglia nei primi momenti e in maniera stupidissima. Senza quel Capo, che era il cervello dell'esercito, i francesi poco a poco cominciarono a retrocedere e con la coda tra le gambe ripassarono le Alpi.

Seguendo con il giochetto gesuitico e machiavellico di barcamenarsi con gli alleati attuali non perdendo di vista mai che saranno futuri nemici al loro turno, Giulio II continuò usando abilmente la spada e gli anatemi con contorno di Bolle Pontificie. Favorì Fernando il Cattolico per l' aiuto che gli aveva dato contro i Francesi e continuò a confabulare per farlo  installare nel Regno di Navarra.

Però... quando calcolò che era arrivato il momento frenarli per non farli diventare i nuovi padroni d'Italia, il caro Giulio macchinò contro di loro.

Macchinò...
Però nulla potè fare contro le macchinazioni delle Parche e a un certo momento dovette morire anche lui come mortalmente succede a tutti i mortali nonostante essere rappresentanti di Dio in Terra e non avendo ancor fatto in tempo a sbrogliare la complicata matassa che aveva tessuto per fregare tutti quanti.

  Fu un gran Papa?

Senza dubbio fu uomo di grandi vedute e capacità, gran monarca, gran guerriero, grande e intelligente mecenate delle arti, in un momento in cui le arti non erano le ultime a rivoluzionare il mondo con il Rinascimento. Come soldato del Vaticano seppe riconquistare terre per la sua Monarchia Autocratica e con possibilità di unificazione i tutta Italia. Aveva ragione Garibaldi. Se non si era ancora pronti per una repubblica democratica con gente civilizzata era meglio accettare un Re per l' unificazione; e poi i Re, quando non servono più, si possono sempre cacciare con un bel calcio nel sedere; per questo il repubblicano Garibaldi apparentemente si era trasfomto in monarchico e appoggiò i Savoia.

Ritornando al papa, si può dire che il nostro Papa Ligure tra le altre cose fu lui che veramente cominciò la costruzione della Basilica di San Pietro più o meno come la si conosce adesso.

E proposito de la Basilica di San Pietro a Roma, credo sia bene ricordare che in varie occasioni si disse "... e si cominciò la costruzione della Chiesa di San Pietro..." Si cominciò e si ricominciò varie volte ma la Chiesa come costruzione è sempre stata una sola. Per lo meno nello stesso posto.

Spieghiamo: la costruzione della Chiesa di San Pietro si rimonta a Costantino. Anno 300 dopo Cristo, all'incirca. E costui volle costruirla dove si supponeva che ci fossero le sacre ossa di San Pietro. Anzi le raccolse, le sacre ossa, in un un bel cofanetto, si disse. Ma San Pietro era morto 300 anni prima e non si sa bene che ossa abbia potuto trovare il grande Imperatore. Però in materia di fede tutto importa e tutto non importa. Il fatto è che si trattava di zona dove c'era una antichissima necropoli, ossia un cimitero romano. L'Autorità Romana dell'epoca non andava certamente  a costruire tombe speciali per i vari condannati a morte. Quindi c’è  da supporre che i becchini romani  tirassero i cadveri per di là alla bene e meglio e senzaltro  senza registrre i nomi.  Ma in 300 anni già il cristianesimo aveva fatto passi da gigante, anche per merito di Costatino stesso e del suo Editto. E per poter costruire una bella Chiesa in onore del Santo e delle presunte ossa  questo Imperatore fece qualcosa che oggi sarebbe un orrore: mandò i Caterpillar del suo tempo, schiavi e pale, per rimuovere tutta la terra e fare un bel piazzale, mischiando sassi, pietre, ossa, fiori e vecchie tombe scassate. E lì stesso mandò a costruire quella che sarà chiamata la Basilica di San Pietro, quella che si chiamerà di Costantino. Anno 300 circa. La Prima chiesa di San Pietro.

Ma poi cadde l'impero di Roma. Ti arriva Alarico, poi il goto Totila e poi, diradati nel tempo, altri visitatori più o meno vandalici con fini non solamente turistici ma che vollero portare con sé souvenir della Sacra Ex Capitale del Mondo. Ma prima si era avvicinato  pericolosamente Attila; però il coraggioso Papa Leone I  era riuscito a fermarlo.  E tre anni dopo questo stesso Papa aveva ottenuto  da Genserico que rubasse tutto quello che voleva ma non assassinasse la popolazione.  E più tardi   arrivarono anche i Saraceni. Mamma li turchi!, gridavano a Roma; ma arrivarono e depredarono. E poi venne il tristissimo periodo del Papato romano, pieno di lotte, corruzioni, sbudellamenti tra fazioni nobiliare romane avverse. Ed allora i coraggiosi buoni Papi, corri corri scappa scappa, lasciarono il gregge e ese ne andarono al sicuro ad Avignone.  Non tutti i Papi erano  leoni come Leone I. 
La cosa sarà ancora piu complicata. C’entreranno   Bonifacio VII, Filippo il Bello e i Templari con le loro maledizioni....ma lasciamo stare.
Cosi che nel tempo di Avignone, chi si interessava di San Pietro a Roma? E la Chiesa di San Pietro di Costantino continuava deteriorandosi per il tempo e per i saccheggi. 

Ma poi i Papi si stufarono di parlare francese e tornarono a Roma; un po' a singhiozzi ma tornarono.

E finalmente arrivo Niccolo V, che veramente era uomo di cultura, saggio, amante delle arti , amico di vari personaggi celebri nel mondo della cultura e con lui si può dire che cominciò il Rinascimento a Roma. La sua attenzione su volse anche alla costruzione-ricostruzione dei miseri abbandonati resti della Chiesa con le Ossa del Grande Apostolo. E` anche vero che poi  'sto Papa andrò a fregarsi poi i pregiati marmi al Colosseo in rovina e per non so che costruzioni. Ma si sa che in Italia il verbo "arrangiarsi" si coniuga in tutti i tempi.
E poi, nel 1505, arrivò quel soldato prepotente e illuminato che era Giuliano della Rovere e che qualche volta faceva anche il Papa con il nome di Giulio II.  E finalmente si dette da fare ben bene con la Basilica di San Pietro, in buona compagnia con Raffaello, Michelangelo, il Bramante e poi i Sangallo che erano due.
Poi certo, nel 1527, ti arrivarono a Roma anche i Lanzichenecchi, truppe Naziste di Carlo V ed una strage e danni feroci di saccheggio li fecero anche loro, rubando a man salva.  Detto per inciso, la strage e sacheggio del Critianissimo Imperatore Carlo V,  fu per Roma, molto peggiore di quelle anteriori dei “barbari“. 
Si dice che poi Carlo V chiese scusa al Papa per gli eccessi commesse dalle sue truppe e si vestì di nero a lutto. Sarà.
 Però per lo meno  i Lanzichenecchi contrassero quella bella malattia, forse per castigo di Dio o vendetta dei Napoletani probabilmente nei bordelli di Napoli, malattia che si riconobbe como Male Francese o Male Napoletano e che non era altro che la Sifilide bella e buona. E la propagarono con meticolosità per l`Europa ignara.
Poi, più avanti, nel 1600, arrivò il Bernini a fare quel bellissimo colonnato.
Più tardi  ancora arrivò un altro tizio, nel 1936, ma non bisogna farne il nome; e si terminò l'accesso monumentale con la Via della Conciliazione, a ricordo del Concordato di aparente pace raggiunta tra il Vaticano e lo Stato italiano.

Stavamo parlando di Giulio II della Rovere. Chiedo scusa per l'intrallazzo turistico. E adesso chiudiamo:

Se si  sapesse quanto bestemmiò e sacramentò  a viva voce tra i sacri incensi questo figlio della Liguria contro il suo amico Michelangelo perché terminasse presto quel disegnetto in Vaticano!

Michelangelo, anche lui con il suo bel caratterino, si vendicò di rimando, rappresentando il Grande Papa con le vesti del diavolo in una parte ben visibile in quell'affresco che sarà il più famoso del mondo: La Cappella Sistina.


Erano due giganti. E ai giganti si permette tutto.























          58/            PAOLO III FARNESE 

                              Papa del 1534-1549

Un altro bel modello di virtù cristiana fu Paolo III Farnese.
Fu un Papa interessantissimo e la lettura della sua vita e delle sue belle azioni dà la idea di come era a Roma la Succursale del Cielo.
Ed in realtà si prova un certo  schifo a parlare di soggetti di questo tipo, veramente impensabili.
Era nobile, di importante famiglia italiana. Si educò a Roma ed il suo maestro fu niente di meno che Pomponio Leto, figlio illegittimo del principe di Salerno, gran latinista, umanista, lettore di Quintiliano, Plutarco, dell'Ars Amatoria di Ovidio. Un tipo capace insomma; e con un maestro cosi il futuro Paolo III non poteva non crescere come un principe dell'Umanesimo. Il giovane Farnese dominerà pertanto il latino, la cultura classica e non poteva non trovare per raffinare ulteriormente  la sua educazione che la corte di Lorenzo de Medici, a Firenze, che gli permise conoscere bene anche un certo Giovanni de Medici, più tardi Papa Leone X.
La carriera ecclesiastica di questo giovane promettente fu di una velocità supersonica. Senza nemmeno essere sacerdote, ai suoi 25 anni, nel 1493, quando Colombo faceva i suoi giretti al Nuovo Mondo, lui fu nominato Cardinale da quell'altro bel virtuoso di Papa Spagnolo che era Rodrigo Borgia, Alessandro VI. Il quale Papa virtuoso aveva posto il suo sguardo appassionato e lubrico nei floridi giovani seni prorompenti di giovinezza della bellissima e provocante Giulia Farnese, sorellina quindicenne del suo omologo Alessandro Farnese. E fu barattato un bel Cappello Cardinalizio. Il Cappello per il Farnese e la vergine fanciulla per il Santo Padre.
Come pettegolezzo si dirà che la Giulia Farnese non era più tanto verginella perché sposata con un Orsini, altra famiglia nobilissima di Roma. Ma la famiglia della Farnese viste le brame di Alessandro VI, insistette moltissimo perché la bellissima Giulia Farnese, sposa del Principe Orsini, si trasformasse in Favorita del poderosissimo papa Alessandro VI.
Il Principe Orsini principescamente abbozzò, da bravo romano. Ed il fratello Paolo se fu felice e si guadagnò poco piu tardi  il titolo dal popolo romano di Cardinale Fregnese.
I romani sanno cosa vuol dire quella parola; altroché Cardinale Enagua-Sottoveste come tradussero  più morigerati gli spagnoli.
Finito il pettegolezzo, vero verissimo.
E dopo ciò, dopo il Cappello dal Papa ed il Titolo dal popolo, il neo Cardinale Alessandro Farnese considerò prudente diventare sacerdote in modo che lo Spirito Santo lo scegliesse con maggior discernimento come favorito nel il prossimo Concistoro. E cosi fu. Ed anche se il Concistoro ha il potere di scegliere il futuro Papa dove voglia e anche tra i non sacerdoti, in questo caso Farnese fu indubbiamente scelto dallo Spirito Santo.
Con il passar del tempo, all'amore all'arte di questo Papa Umanista si aggiunse anche quello per le belle donne, complemento quasi imprescindibile. Si concesse come amante una bella nobile romana con la quale ebbe quattro bei figlioletti che non potevano che essere bastardi. Legalmente bastardi. E questi bastardelli, nonostante la bastardaggine furono dichiarati legittimi dalla volontà quasi divina per intercessione di Papa Giulio II, quando poco dopo arrivò il turno del Ligure.
Amante delle belle cose e di persone specie se di altro sesso, questo Papa non poteva non attenersi ad una vita lussuosa nella casa del modesto pescatore. Ed anche se certamente non lo inventò lui, senz'altro rafforzò e praticò il nepotismo, quella bella dolce umana abitudine mafiosetta di favorire i propri parenti ed amici. Infatti uno dei sui primi atti come rappresentante di Dio in terra fu di nominare Cardinali Guido Sforza ed Alessandro Farnese, nipoti. Si trattava senz'altro di superdotati, perché il Cappello Cardinalizio lo ricevettero rispettivamente ai 16 e 14 anni. Poco più tardi stabili un bel Ducato per suo figlio Pier Luigi, uno dei quattro figli avuti con la bella nobile romana.  Due nipotini Cardinali ed il figlioletto Duca. 
Niente male.
Ma a parte questi due peccatini che a quei tempi si consideravano veniali, cercò di eliminare o almeno ridurre certi brutti peccati mortali nella Corte Papale; riformò in meglio la Camera Apostolica ed il Tribunale della Sacra Rota.
Peró gli fece veramente onore e  questo sia detto senza ironia, che con la Bolla Sublimis Deus riconobbe che gli indigeni del Nuovo Mondo erano persone, cioè che erano esseri umani, che possedevano un'anima, che avevano diritto alla loro libertà e che pertanto potevano praticare, se lo desideravano veramente, la vera fede facendosi cristiani battezzati. Ma che assolutamente non bisognava obbligarli a questo con la forza e nemmeno trattarli con crudeltà.
I negri invece erano tutt'altra cosa.
Erano stati maledetti da Dio stesso, attraverso Noè e si confermò che sarebbero stati schiavi dei loro fratelli-padroni ad aeternum.
Che si fottano! Lo dice la Bibbia...
Quindi si poteva tranquillamente trafficare con loro e Nihil obstat per andare a stanarli in Africa.
Fu generoso con gli artisti, il nostro Papa Farnese. Incaricò vari lavori anche a Michelangelo.
Approvò ad Ignazio di Loyola la fondazione della Compagnia di Gesù, i Gesuiti, insomma; ed autorizzò anche altri Ordini Religiosi.
La sua lotta prioritaria era contro i Protestanti di cui forse seppe prevedere il futuro potere che sbilancerà la Chiesa Romana. Fu in Occasione di questa lotta ai protestanti che inventò il Santo Ufficio, la Inquisizione Romana ed il primo indice di Libri Proibiti. Nonostante il vergognoso baratto della bella Giulia  con il Cappello Rosso, era uomo di stretto rispetto al sacramento del Matrimonio.
Vallo tu a capire.
Perse per sempre l'Inghilterra per la Chiesa Cattolica al negare a Enrico VIII quell'annullamento di Matrimonio per non ricorrere ai vari sotterfugi semi-giuridici già utilizzati dalla Chiesa Romana in tante altre occasioni. Forse è anche vero che quei tempi l'arroganza della Chiesa Romana non dava molta importanza ai Popoli del Nord. E come non accettò i capriccetti matrimoniali di Enrico VIII, cosi non dette troppa importanza a quello che il Papa Medici chiamerà quell'ubriacone di tedesco , alludendo a Lutero.
 Si disse anche e spero che non sia vero, che ebbe relazioni sessuali con sua madre e con con Costanza, una delle sue proprie figlie con la  nobile romana di cui dicevamo prima.
Quindi sua mamma, la sua amante e una delle sue figlie! Se le fece tutte.
Ma non basta. Si disse che mandò ad ammazzare anche una delle sue sorelle, al diventare geloso di uno dei suoi amanti.
Pero considerò una buona azione di carattere amministrativo la creazione di un nuova tassa-imposta al consumo. Il fatto sconvolgente è che la nuova tassa regolava le entrate di 40.000 prostitute a Roma.

Insomma fu un personaggio enormemente sconcertante.
Che ci si sia potuto accorgere di atteggiamenti del genere nella nostra umanità, ci lascia perplessi, pensativi e dubbiosi di tutto. E un certo amaro in bocca.

Come quando un compagnetto maligno burlandosi della nostra ingenuità ci disse che la cicogne non volavano più.

Ed effettivamente non volano piu come credevamo. 

















         59/                     P A O L O    IV


                             Giovanni Pietro Caraffa                           

                             ( Papa dal 1555 al 1559 )

                                        ed anche vari fuori tema. 


Giovanni Pietro Caraffa era di una importante famiglia napoletana. Da giovane il Papa Leone X de Medici lo aveva mandato come ambasciatore (Nunzio apostolico) del Vaticano in Francia ed in Inghilterra. Dopo il Sacco di Roma del 1527, prima permesso e poi lamentato da Carlo V d´Asburgo, il Papa Clemente VII lo incaricherà insieme ad altri funzionari di una bella Riforma nella Corte Papale. Nel 1536 un altro papa, il Papa Paolo III Farnese fonderà il Santo Officio, o Inquisizione Romana ed  il Primo Presidente incaricato dal Papa sarà il Caraffa che rimarrà il Grande Inquisitore per lunghi anni, fino a quando a sua volta sarà lui stesso  nominato Papa: Papa Paolo IV .
Si rimane un po' sconcertati all'apprendere che il Papa Fregnese si sia sentito con il dovere morale di inquisire sui "peccati" altrui. Proprio lui! E nella maniera come si "inquisiva" a quei tempi! Sono sopravvissuti vari disegni o acqueforti che illustrano certi strumenti di tortura: veramente raccapriccianti. E il domenicano osservando, compreso nella sua missione. Ne' serve di consolazione sapere che la tortura è stata denominatore comune ovunque e fin da quando gli uomini credevano  di  essere diventati uomini.
Continuiamo. 
Quando era morto il papa anteriore, il buon Papa Marcello II, di cui essendo virtuoso nessuno ne parla mai, il nostro Caraffa, sempre severo Inquisitore, aveva già ottant'anni e di questi vari come inquisente. Non aveva nessunissima intenzione di competere per la Sacra Tiara. Però, cosa ti succede? Che il bravo Imperatore Carlo V d'Asburgo (Carlo I di Spagna), quello stesso del gentile Sacco di Roma, aveva manifestato una tale avversione all'eventuale candidatura del Cardinale Caraffa che costui si sentì profondissimamente offeso. Lui e tutti i Napoletani con lui. . Caraffa, non ostante il suo fare arcigno però serio, amava la sua città, cosi come tutti i buoni napoletani che vanno in visibilio per il mare azzurro di Capri ed il fumaiolo del Vesuvio. Così che fu felice quando lo Spirito Santo illuminò veramente i Cardinali che lo elessero Papa. Non tanto per sé stesso, quanto per ripicca e perchè i suoi napoletani facessero schiattar di rabbia 'sti fetusi di Lanzichenetti Spagniuoli e 'i loro borie.

In quegli anni era da tempo paralizzato il Concilio di Trento, quello che avrebbe dovuto limare differenze tra Protestanti e Romani. Però Roma continuava ad avere un'aria di superiorità e non tollerava queste insolenze di monachelli tedeschi. Insomma, per Roma non poteva essere un incontro paritetico tra differenti interpretazioni per cercare la verità. Questo concetto non esisteva. Per Roma limare differenze significava che i protestanti si adeguassero a Roma. E Caraffa non aveva nessuna intenzione di rivivere le cosiddette negoziazioni, perché Roma non negoziava nulla e Roma era quella che aveva ragione per principio. Il temperamento dominante del Papa e la mentalità teocratica della stessa Chiesa di Roma non ammettevano nessuna discussione. Il Papa era il Papa e molto più importate di qualsiasi Re o Imperatore essendo il Vicario di Dio. Per gli altri obbedienza o il rogo dell'Eretico.
Utilizzò efficacemente e con molta capacità le funzioni dell'Inquisizione Romana per combattere, reprimere e distruggere i vari tentativi di infiltrazione ed i ragionamenti diabolici di organizzazioni protestanti. Arrivò al punto anche di inquisire il Cardinale Inglese Reginaldo Pole. Questo Cardinale aveva cercato di favorire il ritorno dell'Inghilterra alla Chiesa di Roma durante il periodo di Maria Tudor. E questi erano meriti enormi agli occhi della Curia. Però, poveretto lui, non era completamente d' accordo sulle richieste, sembra esigenti, del Papato affinchè gli inglesi restituissero alla Chiesa di Roma tutti i beni confiscati. E c'erano anche altri vari motivi politici complicati e frammischiati; l' inflessibile Papa Paolo IV Caraffa non esitò a sottometterlo al Santo Uffizio per eretico. Pole morì prima di qualsiasi decisione dell'Inquisizione Romana.
Fu questo severissimo Papa che il 14 luglio del 1555 creò il ghetto di Roma, copia peggiorata del Ghetto di Venezia -- ghetto è una parola del dialetto veneto -- attaccando ebrei, confinandoli, decidendo le loro attività e mestieri, espropriando i loro beni senza risarcimenti, obbligandoli a vestire in modo differente per essere riconoscibili alla "normale" popolazione romana.
E per meglio poter controllare la cultura tre anni dopo di questo ebbe il lampo di inventare anche l'Indice del Libri Proibiti dalla Chiesa Cattolica
Index librorum prohibitorum, che fu legalmente soppresso solamente l'altro ieri, nel 1966, dal Papa Montini, Paolo VI.
Insomma, il Caraffa era senz'altro un uomo serio, onesto, integerrimo che credeva a quello che faceva. E non era un un puttaniere scostumato come certi suoi predecessori, anche se brillantissimi personaggi.
Ma, ci si chiede, est modus in rebus...è questo il pezzo a pagare per l'onestà dei Capi? Il fanatismo?
Parliamo d'altro.

Riprendiamo il discorso sulla fortissima antipatia reciproca di Papa Caraffa contro la Spagna, gli spagnoli ed il loro Re, Carlo I come re di Spagna e Carlo V come Imperatore del Sacro Impero Romano Germanico. E dopo di lui, la stessa antipatia verso il figlio, quello che sarà il Re Filippo II.
Da tempo la Spagna stava dominando il sud d' Italia.
Caraffa cercò di lottarci contro cosi come Giuliano della Rovere, Papa Giulio II, aveva cercato di allontanare gli stranieri dalla penisola al grido di FUORI I BARBARI.
Con lo stesso fine Paolo IV, Papa Caraffa, aspettò e confabulò anche lui perché Francia conquistasse i domini spagnoli in Italia; ma non per tenerseli ma per consegnarli al Papa. Ed i francesi si mossero veramente in questo senso. Pero più rapido fu il Duca d'Alba,  Fernando Alvarez di Toledo, vice-re a Napoli.
E gli spagnoli rimasero nel nostro bel Sud d'Italia, contaminandolo come contaminarono il Sud America. E si dovrà aspettare l' arrivo romantico e folklorico del amatissimo e criticatissimo biondo nizzardo, eroe dei due mondi.

E si mi permetta adesso una considerazione personale, a sopporto della convinzione che i popoli, le masse, le persone ricordano più facilmente e più volentieri, chissà perdonandoli chissà ammirandoli o invidiandoli, i cosiddetti personaggi "cattivi" ma romantici e che innamorano le masse;   e molto di  più degli  uomini virtuosi dei quali tutti parlano bene ma che anche stufano parecchio. 
Come ho raccontato recentemente, questo abile Spagnolo, questo Viceré di Napoli, il duca D' Alba, fu colui che mandò al patibolo, per vendetta, per gelosia e in fondo per giustizia secondo i tempi, un bis bis bis bis-nonno materno mio, un certo Marco Berardi. Secondo il folklore di Trebisacce, questo giovane dagli occhi di fuoco si ribellò agli spagnoli e si mise a fare il bandito, con baffoni, ciocie calabresi, coltellacci e forse uno schioppo. Vuole la solita tradizione che fosse un Robin Hood che rubava ai ricchi spagnoli e distribuiva ai poveri contadini calabresi. Chissà...mi piacerebbe crederlo. Ma quello che è certo che incontrati per la strada  in fatale coincidenza il calabrese con la Duchessa d'Alba, bellissima giovane calabrese sposa o favorita  del Duca, ambedue furono "immantinenti trafitti d'amore". E lì ebbe inizio la loro felicità e la loro tragedia. 
Il Duca cornuto guerreggiava contro il Papa e il focoso bandito guerreggiava felicemente le infinite guerre d'amore..
Però un rompipalle di gesuita gesuiticamente insinuò qualcosa al Duca. E rimossa tutta la boscaglia della Sila, acciuffarono il povero bis bis bis bisnonno, e " gli mozzarono lo capo a tondo! ". Ed alla Duchessa la rinchiusero in Convento, dove divenne Badessa e forse imparò a badar meglio e con prudenza ai fatti suoi. Diciano fatti suoi.
E l'Idalgo Fernando III Duca d'Alba, con corna o senza corna però con l'onore ristabilito, arrivò fino a Roma e il povero Papa, vinto e umiliato, dovette implorare la pace. Poco dopo, nel 1559 si arrivò al famosissimo trattato di Pace di Chateau-Cambrésis tra Filippo II di Spagna e Enrico II di Francia e si pose fine alle tante guerre tra Francia e Spagna che distruggevano Italia. Erano i tempi della Difida di Barletta. E di quei tempi tristissimi era l'espressione dei poveri italiani succubi e dominati dagli uni o dagli altri.
Venga la Francia o venga la España, puarchè se magna”.
Al poco tempo morì il Papa Caraffa.
E il popolino romano, quello stesso popolino che come tutti i popolini di tutti i tempi e di tutti i luoghi lo avevano applaudito alla Coronazione come un nuovo Papa serio e virtuoso, quando arrivò  la sua morte ne sfigurò le effigi, distrusse le statue, dette alle fiamme la Santissima Inquisizione e saccheggiò il ricco convento dei Domenicani.

Saccheggi, senza tanti ragionamenti: l' esplosiva e sporadica rabbia del povero, di chi sempre è dominato da qualcuno.













       60/             BARUK DE ESPINOSA  
                                      Spinoza

Era una persona seria, onesta, ovviamente intelligente,  studioso e assolutamente non fanatico.
Quel tipo di persona che, come già detto molte volte, non fa notizia. Checché se ne dica, l'onesto, il puro, il virtuoso non è interessante. Gli uomini e soprattutto le donne si innamorano dei filibustieri simpatici.
Era nato in Olanda e figlio di marrani ( marranos erano ebrei convertiti al cristianesimo per convenienza od obbligazione). Cominciò gli studi in Amsterdam dove la immigrazione dal Portogallo o dalla Spagna era accettata, nonostante gli eccessi Calvinisti. Studiò classici spagnoli e la filosofia rabbinica del medio evo.
Studiò Cartesio, Hobbes, Lucrezio e Giordano Bruno. I suoi genitori gli permisero e facilitarono lo studio con rabbini ortodossi, ma già dai suoi primi anni se ne distanziò. E nel 1556 fu addirittura allontanato dalla comunità ebrea. Rimasto con problemi economici si dette da fare per avere  sia  pur  dei minimi ingressi e cominciò a pulire lenti. Come un qualsiasi ragazzotto di bottega di un ottico. Fu cosí che conobbe quello che poi fu su grande amico, Huygens, l'inventore del microscopio.
Spinoza, nel suo Trattato Teologico Politico, manifestò chiaramente il suo ripudio alla supremazia della Religione sullo Stato, così come succedeva nella società teocratica ebrea. Credere che una persona determinata, religiosa o laica che fosse, potesse  essere  investita di un potere speciale da parte di Jahvè, aveva prodotto situazioni illogiche e superstiziose. Cosi che, pur non negando il peso che potesse avere la religione sulle masse incolte soprattutto come freno per non cadere in anarchie, tuttavia le sue critiche razionali ai fanatismi religiosi produssero scandali e disaccordi che decise di non pubblicare più nulla su questi argomenti. Rifiutò anche una Cattedra di Filosofia perché l'offerta era condizionata a che non perturbasse la religione stabilita. Volevano censurare i suoi programmi, in altre parole e lui non accettò.
Sembra che già in fin di vita ricevesse la visita del grande Leibniz, uno del tre gradi filosofi razionalisti del secolo XVIII: Leibnitz, Espinosa ( Spinoza) e Descartes ( Cartesio).
Morì molto giovane, di tubercolosi.
Ebbe una vita sfortunata, sempre proscritto ed infelice.
Non ho mai trovato qualche simpatico aneddoto su questo personaggio, per trattarlo con un pizzico di irriverenza come sono solito farem  però quasi sempre con una certa tenerezza perché è dolce cogliere il lato umano ed il meno statuario e tradizionalista possibile di chi ci interessa. Deve aver avuto una vita veramente triste un pover'uomo che non ci possa offrire neppure un appiglio per prenderlo un po' in giro.
Credo che realmente fosse una persona seria, in buona fede, nient'affatto fanatico, sempre un po' triste. Un saggio, come Erasmo, indipendente e come ce ne furono un po' pochetti in questo nostro peregrinare per il mondo.



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