47/
JOHN WICKLIFFE
1320-1384
Sin dai
primissimi tempi cristiani ci furono discussioni, concili, decisioni, per i
vari criteri di diversi pensatori, filosofi e religiosi su quesiti che si presentavano
alla nuova religione; così come generalmente si verifica agli inizi dei grandi
movimenti di opinione. La nuova idea prende forma, si amalgama, si adatta
ai tempi e luoghi, fino ad acquisire un corpo di norme che si considereranno
definitive. Ma niente è statico nemmeno nelle religioni perché anch'esse
prodotte dalla mente dell'uomo, unico essere creativo cosciente nel nostro
universo ed in costante evoluzione. Così che vediamo anche nella storia della
cultura religiosa la mente dell'uomo che la modifica e continua a porsi quesiti
nuovi.
Fu un
inglese, il primo che si azzardò in Europa a criticare l'autorità, fino al
momento quasi indiscussa, della Chiesa Cattolica Apostolica Romana e del suo
massimo rappresentante sulla Terra, il Vescovo di Roma, il Papa, Vicario di
Dio.
Con John
Wickliffe si inizierà la scintilla che dal centro nord Europa darà inizio ad
una grande riforma negli atteggiamenti e nei sentimenti religiosi cristiani.
Questa "protesta" si manifesterà anche come notevole desiderio di
rinnovazione o addirittura di indipendenza dalla teocrazia di Roma
ritenuta troppo mondana. Il tutto con un solido contorno di motivi di peso: i quattrini ed un certo
orgoglio tipico germanico nei confronti del latino.
La
differenza nel modo di agire, pensare e vivere è ancora notevole oggigiorno tra
i popoli del nord e quelli del sud Europa; quasi mille anni addietro era molto
più accentuata.
I buoni
sassoni germanici, più risparmiatori dei mediterranei spendaccioni -- la
cicala e la formica -- cominciarono a stancarsi di pagare l' obolo della
cristianità europea a San Pietro per opere d'arte considerate pressoché inutile
lusso. Per invidia o per quello che fosse, non intendevano continuare ad essere
i finanziatori dello splendore del Rinascimento italiano e della Corte Papale.
Corte che con su Curia romana continuava in quasi appannaggio delle famiglie
principesche italiane. Avevano tutti i torti ?
Così
apparve un inglese, come detto. Ma non un inglesuccio qualsiasi dallo sguardo
scialbo, ma un tipo di carattere, professore molto stimato dell'Università di
Oxford, John Wickliffe, teologo, riformatore e più tardi fondatore del
movimento dei Lollardi e considerato da molti come
l'iniziatore del movimento protestante.
Chissà il
suo enunciato più importante teologicamente fu il negare la transustanziazione.
Ossia negare che il vero sangue ed il vero corpo di Gesù Cristo fossero
presenti nell'Eucarestia, -- l'Ostia della comunione -- ma che si trattava
solamente di un simbolo. Senza dubbio una discussione di questo genere si
presenterebbe ridicola oggigiorno con tanti altri problemi più concreti e
visibili per l'umanità. Però a quei tempi la religiosità nella sua forma
"originaria" o folclorica come nelle sottospecie superstiziose,
permeava il vivere quotidiano. Ed aveva il suo peso.
Altre
considerazioni di carattere teologico furono:
1) La
devozione del sacerdote era imprescindibile per poter realmente somministrare
validamente i Sacramenti (battesimo, cresima, comunione, confessione,
matrimonio...). Se lo stesso sacerdote era in peccato, il sacramento non
poteva considerarsi valido. E questo il nostro inglese lo affermava
decisamente, mentre Roma altrettanto decisamente pensava molto
diversamente. Con la corruzzione e la lussuria imperante nella Santa Roma, dove
si sarebbero potuto trovare sacerdoti puri? D'altro lato, come poteva il
credente essere sicuro che il sacramento a lui somministrato fosse valido? I
suoi figli, se nati con un no-matrimonio perche invalidato da un prete in
peccato mortale, sarebbero stati figli illegittimi ?
Chissà il
concetto del Sacerdos in aeternum della Chiesa era meno puro
ma dettato dall'esperienza. E di questo parleremo chissà un poco più avanti.
2)Altra
considerazione di Wikliffe era ammettere una specie di predestinazione. Il suo
ragionamento, scarnificato era: Se Dio nella sua onnipotenza conosce passato,
presente e futuro di tutto e tutti, sa da sempre chi sia il predestinato
all'inferno, al paradiso o al purgatorio. Se un uomo ha il suo destino segnato
prima ancora di nascere, qualunque cosa possa fare di bene o di male
nella sua vita, dove andrebbe a finire il libero arbitrio ?
3)
Wickliffe non fu il primo in assoluto a tradurre i Sacri Testi, giacché erano
già stati tradotti dall'arameo o ebreo o greco al latino. E furono tradotti,
allora, e con non pochi errori, nel latino della "Vulgata" cioè
della di-vulgata edizione in latino medioevale del IV secolo.
Però mille
anni dopo l'edizione della Vulgata, nel secolo XIV il popolo europeo,
il volgo, non parlava più latino. Ne' il classico di Cicerone ne' quello della
Vulgata e tanto meno il greco o l'arameo. Latino e greco erano riservati agli
eruditi o a certi chierici. Ed il professore di Oxford fu il primo a tradurre i
Sacri Testi nella lingua volgare parlata e quindi comprensibile ai
suoi connazionali: l' inglese della sua terra e della sua epoca, del secolo
XIV.
Non
esisteva ancora la tipografia di Guttemberg ne' le edizioni di Aldo Manunzio.
Non fu quindi una cosa facile. Ma Wikliffe era convinto che la Bibbia doveva poter
essere letta direttamente dal popolo. Quel popolo che a dura pena poteva
leggere in volgare, ma sicuramente non in latino.
Però
mettere a disposizione i Sacri Testi con una edizione in volgare contemporaneo
e quindi comprensibilissimi a tutti gli alfabeti era un atteggiamento
contro la volontà di Roma che pretendeva il monopolio delle Sacre
Scritture. Ed anche di questo parleremo, chissà, un poco più avanti.
4)
Sosteneva anche la esistenza di una relazione diretta tra Dio e l'uomo,
escludendo quindi l'intervento protagonico della Chiesa. E criticò severamente
alcune altre pratiche della Chiesa come contrarie allo spirito cristiano, come
la schiavitù e la guerra.
Altre
considerazioni meno teologiche si riferivano al potere temporale della Chiesa
di Roma.
1) I veri
cristiani dovevano ritornare alla povertà apostolica dei primi tempi. La Chiesa
doveva pagare tasse e imposte per tutti i suoi beni temporali, così come le
pagavano i proprietari laici. Naturalmente l'applauso fu da parte di tutti gli
invidiosi dei beni ecclesiastici e l'anatema scandalizzato da parte dei
chierici chiamati a pagare di imposte.
2) Scrisse
contro gli "attriti" tra Avignon e Roma. Ebbe l'ardire di comparare
lo Scisma ad una lite tra cani per un osso, con lo scopo unico di ottenere
potere ed una alta posizione nella società.
Era
logico che i poderosi ella terra, come l`alto clero, i laici o i principi
condannassero il sognatore di Oxford. Chi sta bene favorisce los STATUS QUO
ANTES e non si avventura in novità pericolose. Finalmente un Tribunale
ecclesiastico non tardó a dichiararlo eretico e fu destituito dalla
cattedra in Oxford. Era il minimo che poteva succedergli e si salvò dal carcere
grazie alle sue importanti conoscenze ed ad un certo atteggiamento del
Parlamento Inglese che in certo senso difese il compatriota dalle pretese
Romane. In qualsiasi altro paese sarebbe stato dato alle fiamme
purificatrici.
Ma circa
trent'anni dopo la sue morte, nel 1414, il Concilio di Costanza esumò quel che
restava del suo corpo, dette alle fiamme purificatrici i libri di Wycliffe e le
sue ossa. E poi il tutto “fu buttato a fiume”, il fiume Swift.
Ma lui non
lo seppe mai. Continuò il suo sonno eterno, forse soddisfatto di aver suscitato
il vespaio.
48/
JAN HUS
1373-1415
Jan Huss,
filosofo, riformatore e teologo era Boemo per il jus soli, ossia
per essere nato in Boemia. Era figlio di contadini poveri, presto orfano di
padre e fatto educare con molto sforzi da sua madre. Si racconta che leggendo
la vita di San Lorenzo fu tanto impressionato per il martirio del Santo
abbrustolito che volle avvicinare la sua mano alla fiamma, per vedere
quanto tempo poteva resistere il martirio del fuoco. Preannunzio premonitore alla
pira?
Quel
desiderio di provare sè stesso, curiosità di conoscenza, in fondo, rivelava
un giovane intelligente che si poneva quesiti. Divenne sacerdote
come la grande maggioranza di quelli che allora volevano “sapere” e non avevano
i mezzi di fortuna per mantenersi negli studi più cari. Arrivò ad essere niente
di meno che il Magnifico Rettore dell'Università di Praga. Era un successo
notevole a quei tempi per un figliolo di contadini poveri. Evidentemente si
trattava di una mente vivace. Però spesso una mente aperta ed uno spirito
critico senza l'appoggio di una famiglia importante potevano soprattutto in
quei tempi produrre inconvenienti seri. Dalla sua altissima posizione di
Rettore rimproverava la ricchezza ed avarizia dell'Alto Clero ed auspicava un
vero ritorno ai principi cristiani iniziali, di purezza e povertà. Ovviamente
non era bene accetto alle alti classi sociali. Si era nell'epoca dello Scisma
di Occidente, il litigio che portò a trasferire la sede papale da Roma ad
Avignone. Ci furono tre papi, allora, che per appropriarsi del Soglio di San
Pietro bisticciavano tra di loro in una vergognosa lite come cani
famelici per un osso , come aveva detto Wickliffe, l'inglese. Uno dei
tre Papi, Alessandro V, regnò per pochi anni ed il suo pontificato si caratterizzò
per aver permesso il rogo del povero boemo. Si racconta. come aneddoto
senz'altro molto improbabile, ma creduto, che già vicino alla pira Hus
commentasse all'incineratone : Adesso farai un bell'arrosto di oca (in
boemo Huss significa Oca) ma tra un po' troverai un cigno che non potrai
arrostire. In realtà Martin Lutero, ai suoi tempi sarà soprannominato
il Cigno. E non sarà mai arrostito.
Come
dimostrazione di vero pentimento e probabilmente anche come calcolo di convenienza al fine
del mantenere in piedi una istituzione con molti
scricchiolii, ultimamente il papa polacco Giovanni Paolo II ha
chiesto scusa pubblicamente per gli eccessi commessi dalla Chiesa
Cattolica, includendo la pira per Huss. Qualunque ne siano stati i motivi,
decisamente è appropriato chiedere scusa per gli eccessi
commessi in generale da chicchessia in qualsiasi campo ed in qualsiasi
tempo.
Ne
prendiamo atto.
Però...
però, siamo franchi: senza minimizzare gli eccessi commessi della Santissima
Inquisizione, certamente gravi, non si può non rilevare che nei nostri 6.000
anni di storia ci sono stati una infinità di tanti altri eccessi dello stesso
tipo ed in ambienti differenti, nelle epoche e geografie. Difetti comuni all`homo
sapiens (... ma non troppo) di
tutti i tempi e luoghi. Come, per esempio, per la chiesa Ordodossa al aver
fatto Santa a una certa Irene Imperatrice che bruciò gli occhi a suo
figlio per disobbedianza.
Dopotutto,
ironizzando, non fu anche un eccesso il supposto castigo eterno ad Adamo per
voler sapere qualcosa di più? Così come lo fu la maledizione del
"giusto" Noè che colpì non solamente il figlio negretto, supposto
peccatore, ma i suoi figli ed i figli dei figli, ad eternum ? A
considerarla bene la eternità, se è vera, deve essere un po' lunghetta...
Ed anche
ultimamente non sono stati eccessi anche i Campi di Sterminio e lo sterminio
epocale con la prima atomica?
Qualcuno ha
chiesto veramente scusa per questo?
Di gente
ammazzata, scorticata o arrostita o mutilata ce ne è stata tanta nel
mondo...perché l'uomo, che io sappia, è il solo essere che non solo ammazza ma
anche gode al torturare i suoi congeneri.
Sarebbe da
sperare che l'unica differenza con oggigiorno fosse che i "popoli
civili" non solamente smettesero di fingere di scandalizzarsi, ma siano
piu bestie e meno uomini.
Sì, proprio
così.
49/
THOMAS
MÜNTZER
1490-1525
La Guerra dei
Contadini
OMNIA SUNT COMMUNIA
Come
abbiamo detto, con Wickliffe si suscitò il vespaio. Furono anni di discussione,
di nascita di movimenti differenti, tutti in generale nel centro o nord Europa.
Ramificazioni anche nei paesi latini, ma soprattutto con caratteristiche germaniche.
Si cominciò a criticare insomma, a protestare e in vari casi a ribellarsi con
accanimento.
Discussioni
di carattere teologico, dubbi su certi sacramenti, ma anche rivendicazioni che
chiameremo sociali, come nei Lollardi, Anabattisti ed un mucchio di convulsioni
per rimuovere la antica struttura della chiesa cattolica di Roma che dettava le
leggi. La religiosità permeava ancora tutti, fatti e persone. Ma si
trattava anche di rivoluzioni non solamente nel pensiero, ma anche nel senso
letterale, armi alla mano, come la rivoluzione dei contadini, o la pazzesca
ribellione di Münster. Ci fu il nascere, crescere, morire di uomini di pensiero
tra i quali primeggeranno personaggi come Lutero, Zuiglio, Calvino, Erasmo...e
altri minori pero numerosi. Insomma, un bel lavoro per la Santissima
Inquisizione e grattacapi per i Papi di Roma che al principio minimizzarono e
non capirono l' importanza della protesta.
Diamo uno
sguardo superficiale a questi signori, ribelli in minor o maggior grado
rispetto a Roma, molti dei quali hanno pagato con la vita il loro diritto di
esprimere le loro idee e tra i quali apparsero santi, seri pensatori e
filosofi, ma anche contastorie, malfattori, fanatici, matti da legare, di tutto
un po'.
Vediamoli.
Tommaso
Müntzer nacque in Germania due anni prima della scoperta d'America. Fu
predicatore della Riforma Protestante ed anche Anabattista e lider
rivoluzionario dei contadini nella cosí chiamata Guerra dei Contadini. Aspirava
a una forte riforma sociale e nei suoi trentanni di età lo nominarono parroco
della Parrocchia Operaia di Santa Caterina. Era Anabattista, ossia non
accettava che il battesimo fosse concesso a bambini o infanti, ma voleva che
fosse riservato solamente alle persone adulte, già con un certo discernimento e
che lo chiedessero. Lo espulsarono dalla Germania. Andò a finire a Praga. Costì
si rese famoso con il Manifesto di Praga, donde sostanzialmente affermava che
era solamente il popolo povero che poteva rinnovare la Chiesa, troppo corrotta
da Chierici ricchi. Poco tempo dopo pronunziò il famoso "Sermone ai
Principi". Sembra impossibile che lo abbia potuto dare, questo sermone,
e veramente lo fece di fronte a certi Principi, nobili laici ed
ecclesiastici: la crème de la crème. Molto probabilmente lo si
autorizzò pensando in una distrazione di corte con un nuovo buffone per
ridere dei principi assurdi del pretino. Pero non fu un buffone che parlò loro.
Cominciarono a preoccuparsi. Müntzer infatti era un uomo deciso, oltre che
intelligente e preparato e non il pretino con il timor reverentialis per la Corte; non si faceva
spaventare. La cosa di maggior impatto nel suo discorso-sermone fu che quando
le autorità non compiono con il proprio dovere si deve loro togliere il
comando, bisogna destituirle. Si doveva togliere loro l'uso della spada.
E bisognava
ritornare veramente alla primitiva comunità comunistica evangelica.
I nobili si
resero conto immediatamente di aver preso un tremendo abbaglio, che non si
trovavano di fronte a un buffone di Corte ma a un personaggio serio e
pericolosissimo. Ne presero atto ma non reagirono.
Poco dopo
questo avvenimento volle dare il suo supporto alla famosa ribellione contadina.
Ne fu lider importante. Ma probabilmente i tempi non erano ancora maturi e
questo primo grido di ribellione terminò, nel 1525, con la morte di 6.000
poveri contadini affamati, che non sapevano bene neppure quello che volevano,
pieni di entusiasmo ma armati solamene di armi di legno: i loro forconi.
Cosi tutti, assolutamente tutti morirono recisi dalle spade d'acciaio, nella
tristemente celebre battaglia-strage di Frankenausen.
50/
LA RIVOLTA DI MÜNSTER
Il Panettiere e il
Sarto
1535
Pochissimo
tempo prima del fatidico anno 800, secolo IX della nostra Era, la crème della cristianità si emozionava per la
"rinascita" dell'Impero Romano, sia pure come Sacro Romano Impero
Germanico con Carlo Magno, Re dei Franchi, incoronato dal Papa con tutti i
santissimi crismi di obbligo. E in quel tempo in Sassonia un piccolo monastero
cominciò a trasformarsi in una piccola città, la città di Münster. La quale
piccola città in realtà non interessava a nessuno e dormì sogni tranquilli fino
al 1500, secolo XVI. Settecento anni senza novità, nella tranquillità del non
protagonismo. Contadini a lavorare la terra, qualche artigiano, tutti senza
idee bislacche per la testa, ubbidienti, forse anche un po' testoni, qualche
lusso con un po' di birra e poi il nascere, crescere, far figli e morire
tranquillamente. Alle volte qualche sopruso da parte del nobile, ma tutto
sommato il tran tran delle abitudini. Pero un bel giorno questa
cittadina si mise in testa di diventare famosa. E terminò la calma. Pochissimo
tempo dopo il massacro dei 6000 contadini in Frankenhusen che volevano chissà
cosa, arrivarono dei tipi di fuori nel paesetto città. E cominciarono a dire
cose strane. E i contadinotti giù a sentirli come gli imbonitori dei mercati.
Erano gli Anabattisti. Prima cominciarono a dire che il battesimo non si doveva
dare ai bambinetti, ai piccolini, agli infanti, ma doveva essere somministrato,
secondo loro, a persone già adulte con un certo grado di raziocinio. Forse
tanto raziocinio quei semplici tedescotti di Sassonia non ne avevano molto ne'
da neonati ne' da adulti. E fino lí la cosa non sembrava grave. Quello che
diceva il prete andava sempre bene. Ma dopo un po' si cominciò a parlare anche
di altre cose, stravaganti, come la idea che gli uomini fossero tutti uguali,
che era meglio abolire la moneta, i soldi, i talenti... e si diceva che era
meglio avere tutti i beni in comune, cosi che ognuno poteva avere tutto secondo
i suoi bisogni. Come gli antichi Apostoli di Nostro Signore Gesù Cristo. Come
loro. Insomma una specie di comunismo cristiano. Ci furono molte incertezze.
Non tutti erano d'accordo con queste idee, molti non le capivano e molti
se ne andarono a vivere in altri paesetti dei dintorni. Però ci fu anche
molta gente che da fuori veniva a vivere a Münster, perché entusiasti di queste
nuove idee politico religiose.
Ma che
succede qui? Cosa è tutto questo vociferare? deve essersi chiesto a un
certo momento il Vescovo di Münster. Cosa succede al mio gregge?
Preoccupato dalle notizie di queste idee strampalate, decide di raccogliere un
specie di esercito e mette assedio alla città effervescente. Come si ricorderà
a quei tempi la caricha di Vescovo non era solamente di carattere religioso, ma
spesso rappresentava anche il potere temporale. Di chi? Del Papa?
dell'Imperatore? del nobile ? Non si sa bene, i casi variano....Ma insomma nel
caso di Münster si trattava si un vescovo battagliero e all`occasione
armato di spada e non di sole Ave Marie. Mette assedio alla
cittadina. E questa, con un guizzo imprevisto di ribellione, nomina un certo
Jan Mattijz, panettiere come capo della Città. Certo, il panettiere è un uomo
importante, un tipo che sa il fatto suo, perché è lui che ci da il pane tutti i
giorni: il famoso panem
nostrum cotidianus. Forse anche lui come il prete è uno strumento di
Dio? Però quando questo bel panettiere trasformato in lider sente l' obbligo di
cominciare ad arringare la folla, i sicari del Vescovo lo fanno fuori. Morto
ammazzato, subito. Un bel putiferio, allora, ma il potere passò subito a mani
di un altro personaggio che la mani le sapeva usar perché era il sarto
del paese. Un'altra persona che risaltava. Si chiamava Jan Van Leiden. Ed era
un tipo stranissimo ed originale. E, come vedremo, squilibrato matto. Appena
nominato capo della città, volle coronar se stesso come Re Anabattista di
Münster! E si coronò. Poi si autonominò Nuovo Davide. E lo accettarono
senza sapere bene cosa fosse 'sto Davide. Confidò agli accoliti più
vicini che aveva della rivelazioni dal Cielo su come introdurre nuove forme di
vita. E gli credettero. Tra queste nuove forme di vita incluse la
poligamia, in rispetto alle abitudini dei tempi biblici. E i maschietti si
ringalluzzirono. E dopo un po' la dichiarò obbligatoria. Chi non la accettava
lo schiaffava in carcere, se gli andava bene. E se non gli andava bene, decapitatio!
Gli uomini,
be', si sa come siamo noi uomini...ma le donne tutte contrarie! Forse perchè si
trattava di poligimia e non di poliandria.
Finalmente
una delle sue tante concubine lo criticò in pubblico. denunciando la sua vita
lussuosa e lussuriosa. Il Re di Münster, offeso per la mancanza di
ripetto, lì stesso, in piazza, le tagliò la testa....e cominciò a ballare
intorno all'orrendo corpo mutilato. E con questi eccessi la città cominciò a
reagire e facilitò l' entrata alle truppe vescovili assedianti. Finì la luna di
miele con i rivoluzionari. I capi degli anabattisti furono ammazzati subito
tutti e alcuni dei corpi, dei più importanti, furono collocati dentro gabbie ed
appese al campanile della Chiesa, a
monito, ad esempio della giustizia divina.
Ed
ancora oggi quelle tre gabbie sono lì, ancora.... attaccate al campanile....ma
non più i cadaveri, trasformati in fumo.
Quissà come pre-edizione del folkore locale.
51/
MARTIN LUTERO
1483-1546
Martin
Luder, o Martin Luther o Martin Lutero, come tutti i buoni tedeschi sono soliti
fare, era nato in Germania. E come quasi tutti i tedeschi era una persona
seria. Credeva in quello che faceva, credeva nei suoi Superiori, credeva
nell'Autorità, credeva seriamente in tutto quello che credeva. Veniva da un
ambiente semi contadino, suo padre muratore e basta osservare qualcuno dei suoi
ritratti per capirne il carattere: mandibola quadrata tipo bulldog che
non lascia la presa, tratti somatici forti di contadino teutonico ma con occhi
da sognatore, di uomo che crede.
Nonostante
la sua famiglia non fosse di grandi possibilità economiche, suo padre voleva
che Martin avesse una buona educazione. Aveva capito che il ragazzo era di una
intelligenza speciale e che meritava qualcosa di più. Ai suoi 17 anni comincio
a frequentare l'Università. Cosa imparò? A suonare il liuto e cominciò a
studiare Diritto.
Però un bel
giorno, cosi dice la storia o la leggenda, Martin fu "fulminato" da
una visione del suo futuro. Ritornando a casa, un bel fulmine cadde molto
vicino a lui. Nonostante fosse tedesco ed appartenente alla cosiddetta razza
superiore, ebbe paura. Ed implorò aiuto, chissà perché, a Santa Anna, la nonna
di Gesù Cristo, la mamma di Maria. Per inscrutabili disegni del destino, o
forse per lo scampato pericolo della saetta del cielo, decise di farsi monaco.
Vendette tutti i suoi libri, meno quelli di Virgilio, chissà perché ed entrò in
un Convento Agostino, ai 22 anni. Ed essendo, come già detto, una persona
seria, volle mettere in pratica veramente tutte le dottrine del cristianesimo.
Dedicava un tempo al digiuno, alle flagellazioni, molte ore alla preghiera e
riflessione. Ma soprattutto si dedicava a compiere opere buone a favore del
prossimo. Era un monachello buono, caritatevole come si suppone debbano essere
i veri monaci. Col tempo fu ordinato sacerdote e poi gli chiesero che
insegnasse teologia nell'Università di Wittemberg. Insegnò ed a un certo
momento decise di andare o lo mandarono fino a Roma, a Roma Santa si diceva, in
pellegrinaggio.
E lì,
in Roma Santa, ebbe la gran disillusione della sua vita.
Non fu
tanto e solamente per la vendita delle indulgenze della quale si parlerà e che
sarà il cavallo di battaglia dei Protestanti. Ma fu per qualcosa di più
profondo che lo scandalizzò e gli dette una gran tristezza. Si deluse per lo
spirito tutt'altro che cristiano della Roma Papale del Rinascimento. Se la
immaginava cristiana e pura ed incontrò una città pagana. E il popolino
sguaiato.
Dopo tutto
era quasi un contadino, tedesco, di provincia e non poteva giustificare e
nemmeno capire il lusso, il desiderio di cultura umanistica, tanto amore per
l'arte e meno che meno quella abitudine alle cospirazioni politiche con
contorno di veleni, di nepotismi, corruzioni, costumi rilassati della Corte di
Roma. Si rese conto che Roma era cristiana solamente di nome, con Corte fastosa
e peccaminosa come qualsiasi corte di Principe italiano illuminato del Rinascimento.
Non era
l'ambiente che cercava e immaginava.
Ritornò
schifato al paesello. Schifato e addolorato perché lui davvero credeva ed amava
la Chiesa.
Da allora
in avanti tutti i suoi sforzi saranno perché quella Chiesa alla quale si
sentiva tanto legato potesse ritornare agli insegnamenti della Bibbia e dei
Vangeli con il vero spirito d'amore del suo Fondatore e dei primi anni del
cristianesimo.
Ovviamente
ebbero peso su di lui personaggi come Wickliffe di Inghilterra, Huss di Boemia
nonché eventi come le pazzie di Münster. Ma altri eventi ce ne
furono, diciamo laici, attribuibili a Lutero ed importantissimi per le
conseguenza nella società tedesca ed europea in generale.
Ma chissà
la scintilla dell'incendio, lo spunto della protesta fu la vendita delle
indulgenze ed il crescere di certo nazionalismo quasi razziale conto il
predominio latino di Roma.
La vendita
delle indulgenze significava pagare alla Chiesa perché questa potesse
garantire una più veloce ascesa al Paradiso dell'anima di qualche defunto con
problemi nell'aldilà. Ed i proventi servivano per la costruzione della
magnifica Basilica di San Pietro a Roma e non lasciare alle
intemperie le ossa dei Santissimi Apostoli Pietro e Paolo.
Ma questo
costante invio di fondi tedeschi alla Città Eterna, quasi sempre amministrata
da Papi Italiani che di fatto erano più Capi di Stato che Capi Religiosi,
cominciò a produrre sempre più malumori tra i tedeschi che
stavano cominciando a sentirsi orgogliosi della loro razza germanica e da
sempre preoccupati per le loro borse. Anche Lutero era contrario alla vendita
delle indulgenze e remissione dei peccati, secondo i casi. Ma la obiezione di
Lutero non era solamente pecuniaria, ma più profonda e di principio:
temeva che il comune fedele peccatore potesse confondersi e credere che fosse
più efficace ottenere un perdono ecclesiastico pagando in contanti e sonanti
quattrini invece di pentirsi realmente con una normale confessione.
Così che
al ritorno deluso da Roma, dopo averci un po' pensato su, il nostro
Lutero affisse, inchiodandole alla porta della chiesa di Wittemberg, le
famosissime e storiche 95 tesi, condannando la avara esosità ed il paganesimo
della Chiesa Cattolica Apostolica Romana.
Si armò il
gran putiferio.
In
quindici giorni tutta la Germania sapeva di questo e in due mesi tutta Europa
cominciava a riempirsi di copie tradotte delle 95 tesi di Lutero. La stampa,
recentissima novità in Europa, dimostrò per prima volta il suo potere.
Il Papa fu
informato di questi eventi ; era Leone X, figlio del gran umanista Principe
Lorenzo de Medici, quello che sarà chiamato Lorenzo il Magnifico, personaggio
di spicco nella letteratura e storia rinascimentale. Per la sua maniera di
essere, per l'ambiente , per la sua cultura aristocratica il Papa Leone X non
poteva dare importanza ad un evento insignificante in un paesello
insignificante, lassù tra i rustici insignificanti tedeschi.
Non vi
preoccupate, si tratta solamente di un tedesco ubriaco di birra. Quando sarà
sobrio, si ritratterà.
Ma Lutero
era tutt'altro che un insignificante tedesco ubriaco di birra.
A rimarcare
e ironizzare il problema delle indulgenze a pagamento e della corruzione in
generale, cominciò anche a circolare con il gran potere della stampa un certo
documento, chissà allarmistico, chissà sornione, chissà irriverente, di dubbia
autenticità, molto discusso o chissà esagerato, ma che comunque voglio riferire
in parte per curiosità ma anche perché probabilmente qualcosa di vero doveva
pur esserci. E ammettere questo mi rattrista perché anche se non sono più il
bambino "buono" che faceva occasionalmente il chierichetto nella
scuola-ginnasio religiosa per personcine bene, questa benedetta Chiesa
Cattolica la sento ancora come una cosa mia, nostra, italiana, alla quale non
credo più, come purtroppo non si crede più alle favole ne' agli eroi politici
di allora. Eppur dispiace sentir parlar male di qualcosa o di qualcuno
che adoravamo da bambini e giovinetti. E' un vecchio amore al quale non si
crede più, ma il cui ricordo è sempre dolce, perché quello che si infila dentro
il nostro animo di giovanissimi, forse un po' svanisce ma non si perde mai.
Il
documento di cui parlo è la TAXA CAMARAE, ossia alcune penitenze o
tasse o tariffe autorizzate dal Papa da esigere a tutto il gregge cristiano per
ricevere il perdono dei peccati. Non erano però solamente le solite 4 Avemarie
e 5 Paternostri; ma anche un pagamento contante e sonante. Ovviamente par la
costruzione della grande Basilica di San Pietro, a Roma.
Riporto qui
alcuni esempi.
1)
L'Ecclesiastico che incorre in peccato carnale, sia con monache, con cugine,
nipoti, o ragazze adottate e in fine con qualsiasi donna, sarà assolto con il
pagamento di 67 libbre e 12 soldi.
2) Se
l'ecclesiastico , oltre al peccato di fornicazione, vuole essere assolto da un
peccato contro natura o di bestialità, deve pagare 219 libbre e 15 soldi. Ma se
ha commesso il peccato con bambini o con bestie e no con donne, pagherà
solamente 131 libbre e 15 soldi.
3) Il
sacerdote che deflora una vergine deve pagare 2 libbre e 8 soldi.
6) Per
qualsiasi peccato di lussuria commesso da un laico, la assoluzione costerà 27
libbre e 1 soldo. Se si tratta di incesto, in coscienza si aggiungeranno 4
libbre.
7) La
donna che chiede assoluzione per essere liberata da qualsiasi processo e
ottenere ampie dispense per continuare con la su relazione illecita, pagherà al
Papa 87 libbre e 3 soldi. In caso uguale, il marito pagherà la stessa somma. Se
hanno commesso incesto con i loro figli, in coscienza si aggiungeranno 6
libbre.
10) Se
un assassino dà morte a due o più persone nello stesso giorno, pagherà come se
avesse assassinato una sola persona.
11) Se
il marito bastona sua moglie, pagherà nelle Case della Cancelleria 3 libbre. Se
la ammazza, 17 libbre e 15 soldi. Se la ha ammazzato per sposarsi con un 'altra
donna pagherà in piu 32 libbre e 9 soldi. Quelli che hanno aiutato il marito a
ammazzare la moglie, pagheranno 2 libbre a testa.
13) Se
una donna ammazza il proprio figlio che ha ancora nel ventre e il padre che ha
contribuito all'atto criminale, pagheranno 17 libbre e 15 soldi ciascuno. Chi
faciliterà l'aborto di una creatura che non sia suo figlio, pagherà una libbra
meno.
14) Per
l'assassinato di un fratello, sorella o madre o padre si pagheranno 17 libbre e
5 soldi.
15) Chi ammazza
un Vescovo pagherà 131 libbre, 14 soldi e 6 denari.
16) Se
l'assassino ammazza molti sacerdoti in varie occasioni, pagherà 137 libbre e 6
soldi per il primo assassinato e la metà per i successivi.
25) Il
frate che voglia passare la sua vita in eremitaggio in compagnia di una donna,
pagherà 45 libbre e 19 soldi
28) Il
figlio bastardo di un prete che voglia fare il curato di suo padre, pagherà 27
libbre e un soldo.
29) Il
bastardo che voglia diventare prete e ricevere i sacri ordini, pagherà 15
libbre, 18 soldi e 6 denari.
30) Il
figlio di padre sconosciuto che voglia entrare negli ordini, pagherà 27 libbre
e 1 soldo.
33) Gli
eunuchi che vogliano entrare negli ordini pagheranno 310 libbre e 15 soldi.
Lasciamo
questo argomento perché comincia ad avere un fastidioso sapore di pettegolezzo.
Abbiamo già
detto, lo ripetiamo, che c'erano già stati conati di ribellione alla Chiesa di
Roma, come nel caso dei Lollardi di John Wickliffe in Inghilterra e di Huss in
Boemia.
L'uno fu
condannato trent'anni dopo morto e le sue povere ossa puzzolenti riesumate
furono buttate con disprezzo al fiume. L'altro, che era vivo quando lo
condannarono, fu morto sulla pira. "PULVIS ES ET IN PULVEREM
REVERTERIS"
La
grande polemica dalla quale nacque poi la Riforma Protestante & Soci
scoppiò avendo come protagonisti il Papa umanista Leone X de Medici
e il figlio di muratore Martin Lutero, sassone.
Quest'ultimo,
da bravo tedesco, agiva sempre molto seriamente e le sue famosissime 95 tesi,
in quel formidabile J'Accuse a Roma, furono esposte
pubblicamente nella porta della Chiesa di Wittemberg, nel 1517, come detto
prima. Ed il Papa, un anno dopo, resosi finalmente conto che non si
trattava solamente di fantasie di un tedesco ubriaco, ordinò al colto
frate domenicano Silvestre Mazzolini di andare in Germania ad investigare. Il
Mazzolini parte, investiga, ritorna a Roma, informa il Papa e il papa dà alle
fiamme i libri di Lutero e lo scomunica.
Costui, di
rimbalzo, con gesto drammatico, però efficace, ricorre alla coreografia teatrale
stile italiano e a sua volta dà pubblicamente alle fiamme la Bolla Papale di
Scomunica.
La
questione passò alle mani di Carlo V. Ma l'Imperatore del Sacro Romano Impero
Germanico era allora molto giovane e inesperto a decidere su una controversia religiosa
superiore alle sue forze. Convoca una Dieta a Worms ed ordina a Lutero di
presentarsi a discutere le sue tesi, per sapere se le conferma o le
retratta. Lutero è dubbioso se presentarsi. Gli amici lo sconsigliano: gli
ricordano che Worms ha tanti diavoli quante sono le tegole delle case e
che non dimentichi Wickliffe e Huss. Però Lutero era una persona seria e
coraggiosa. Decide presentarsi anche se sa che ci potrebbero esserci tanti
diavoli quanto tegole. Si presenta. C'è un mucchio di ecclesiastici
arcigni, l' Imperatore in persona e lui, solo, nel banco degli imputati. Lo
accusano, lanciano accuse, le più astute, le più insidiose. Ma Lutero resiste.
Non si ritratta. Battibecchi. Rinvii. Ma non si ritratta.
E Carlo V
lo dichiara eretico.
Lutero
riesce a scappare, letteralmente, da Worms, dalle sue tegole e dai suoi
demoni, grazie a certi uomini mascherati in una azione rocambolesca degna
di Robin Hood. Arriva in Turingia dove lo ospita il Principe Federico, il
Saggio, nel suo splendido castello. E rimane lì nascosto per un po' il serio e
austero tedesco; per nascondersi meglio si farà crescere la barba fingendo
essere un certo Cavaliere Junker Jörg. E tranquillamente continuò con il suo
lavoro nella traduzione della Bibbia al tedesco della sua epoca che lui stesso
stava formando. Perché questo fu il grande lavoro di Lutero per facilitare la
sua Riforma: tradurre la Bibbia e inventare il tedesco. I due eventi,
traduzione della Bibbia e questa traduzione farla in una lingua -- come il
tedesco -- che ancora non esisteva, sembrerebbe impossibile. E Lutero lo fece.
Le antichissime versioni in arameo, greco latino e la VETUS LATINA
convogliate poi nel IV secolo nella VULGATA di San Geronimo ed il tutto poi
ritrasformato ancora al latino elegante di Erasmo, fu ciò che Lutero
tradusse. E la traduzione fu un amalgama dei vari dialetti tedeschi
nel tedesco volgare del suo tempo, del XV secolo. Così che questo Monaco
Agostiniano può con ragione essere considerato, con i suoi amalgami dialettali,
il fondatore-unificatore della lingua tedesca. Così come all'incirca era
successo con il nostro Dante Alighieri per l' italiano. Con la differenza che
il nostro Dante, forse più pretenzioso, non amalgamò i vari dialetti italiani,
ma li ignorò sdegnosamente ed impose il suo, il toscano di Firenze, che
diverrà la lingua italiana, del bel paese là dove il sì suona.
Dopo un
anno circa, ringraziato il Principe Federico, Lutero, previa rasatura
della barba, ritornò nella sua Wittemberg. E lì fu con-protagonista di una
divertente fatto che riferisco per il suo lato comico. Tra le varie regole che
voleva apportare alla Chiesa Cattolica, della quale continuava a sentirsi
parte, ma che voleva modificare, c' erano, a mo' d'esempio, proposte di
carattere pratico, ma di un peso enorme e di impensabile attuazione: come
eliminare certi abusi del Clero, diminuire il numero dei Cardinali, abolire o
almeno ridurre moltissimo le entrate economiche del Papa, riconoscere come
validi anche i Governi laici. Chiedeva inoltre la rinuncia del Papa al Potere
Temporale, le eliminazione di certi tipi di pellegrinaggi che considerava poco
utili, la riduzione dei troppi giorni dedicati ai Santi ma tolti al lavoro;
inoltre riforma delle Università ed in generale una riforma seria e a fondo
della morale pubblica. Ma una cosa che fece moltissimo scalpore fu quando
disse, in più di una occasione, che il più bel regalo che poteva fare Dio
all'uomo era quello una moglie allegra, simpatica, rispettosa di Dio,
dedicata alla casa, con la quale poter vivere in pace ed alla quale poter
affidare i propri figli, i propri beni, il corpo, la vita. Logico che
auspicasse la soppressione dei conventi di monache. E di conseguenza la
eliminazione del celibato del clero. Immaginarsi le emozioni specie nelle
monache giovani. E fu a conseguenza di questo che successe l'evento comico che
ebbe come protagonista il serio riformatore tedesco e nove monachelle
emozionate, spaventate, speranzose e puzzolenti di pesce che volevano scappare
dal convento. E scapparono.
Scapparono
nonostante a quei tempi rinunciare alla vita religiosa da parte di una monaca
poteva significare un castigo nientedimeno che fino alla pena di morte!
Il Buon
Lutero, quando seppe di queste intenzioni di fuga dal Monastero delle
giovani monachelle innocenti innamorate dell'amore, per poter
salvarle contratta un venditore di pesce affumicato, con il suo bel
carrettone, il suo cavallo y vari barilotti di pesce puzzolente per simulare. E
una bella tela sopra per coprire tutto. Le monachelle, spaventatissime, ma più
spaventate ancora dall'idea di rimanere sempre vergini, si ammucchiano di notte
in una porta secondaria del Monastero, tremanti di freddo e di paura. Arriva
finalmente il carrettiere e le carica su tutte, in silenzio, felici ed
emozionate, nascondendosi tra i barili puzzolenti di pesce affumicato. E tra
cento segni di croce, sognano con il loro principe azzurro profumato.
E vanno
cammino alla libertà.
Tre di loro
andranno direttamente a casa dai loro genitori. E le altre sei si presenteranno
a Wittemberg in casa di Lutero! Immaginarsi il povero monaco ribelle ! Colto di
sorpresa, perplesso... previa grattatina in testa , si organizza da bravo
tedesco che è. E le accomoda trovando un impiego per tutte e persino marito per
qualcuna ! Tutte, meno una. Meno una certa Caterina von Bora, nientedimeno che
di famiglia nobile senza quattrini che si incapricciò con Lutero e voleva
sposarsi con lui. Al principio Lutero non voleva, chissà perché. Ma poi, si sa,
anche una monaca è donna e conosce le sue arti di seduzione, così che
finalmente il buon Riformatore rimase riformato lui stesso e innamorato per
giunta! Si sposarono, vissero felici e contenti e la unione fu allietata dalla
bellezza di sei figli.
Pur
tuttavia, non andiamo a credere che Lutero fosse un gran modernista in ogni
campo.
Ricordiamo:
lui amava la Chiesa Cattolica. Voleva solamente toglierle quel manto di peccato
e corruzione che la corrompeva. Voleva aiutarla nella sua resurrezione. Voleva
che fosse più seria. Meno Rinascimentale. Meno pagana e più cristiana. Forse
anche più tedesca e meno latina.
Ma anche
lui come tutti era figlio del suo tempo. Ed alcuni pregiudizi di antica data
rimasero anche in un uomo del suo stampo. Così che in lui c'era l'antisemitismo
tipico dei germanici. Antisemitismo feroce come scrisse nel 1543 nel suo Von
den Juden und ihren Lügen ( Sui Giudei e le loro menzogne). Scriveva
che bisognava bruciare le loro Sinagoghe, distruggere i loro libri di
preghiera, impedire che i Rabbini predicassero la loro religione, distruggere le
loro case, espropriare i loro beni, confiscare il loro denaro ed obbligare
quei vermi vergognosi ai lavori forzati o espellerli per sempre. Niente
male come propedeutico a Hitler.
E poi
Lutero credeva nelle streghe come ci credevano i cattolici e tutti gli altri.
Ma credere nelle streghe non era mascherarsi per l'Halloween. Significava la
vera caccia alle streghe, la tortura e il rogo purificatore per cacciare il
demonio. Era pieno compartecipe della superstizione medioevale ed era logico
che fossero perseguitate sia da Cattolici come da Luterani.
Che
significa questo? Come più volte già detto, anche i più alti ed indipendenti intelletti
sono soggetti alle abitudini del secolo in cui vivono.
Cosa
penserà di noi l'uomo tra mille anni ? Della nostra morale, delle nostre
guerre, della nostra famiglia, delle nostre religioni ?
Sarà con la
stessa bonomia di superiorità come noi adesso giudichiamo le folli
superstizioni dell'uomo del MILLE E NON PIÙ MILLE?
52/
ERASMO DA ROTERDAM
1469-1536
Erasmo di
Rotterdam era nato in Olanda. Intellettuale. Si fece prete non perché folgorato
dalla grazia divina, ma semplicemente per sbarcare il lunario e cercare di
risolvere il problema economico della sua vita, giacché era figlio illegittimo
di un modestissimo prete e della sua insignificante perpetua. ( la
serva-domestica del prete)
La
terribile epoca della peste europea, anche quella da annoverarsi
tra i vari regalini dall'Oriente, lo prese ai suoi 14 anni. Così, per
mettersi sotto difesa di qualcosa che si considerava solido, entrò nel
seminario dei Monaci di San Agostino. Lì scoprirono la sua notevole
intelligenza. Poco dopo lo fecero sacerdote e... mai esercitò la
"professione".
In realtà,
poi attaccherà la vita dl Monastero che considererà uno dei mali della Chiesa
Cattolica. Al poco di essere dichiarato sacerdote chiese ed ottene di poter
andare a studiare nell'università di Parigi. A spese dell'Ordine, ovviamente.
Era quello che sperava. A quei tempi Parigi era ben influenzata dalla cultura
del Rinascimento. E sotto il cielo grigio di Parigi respirò la nuova aria
dell'ambiente culturale che arrivava, per loro, da oltralpe. E così si formò
Erasmo: libero pensatore, senza legami a culture o religioni che significassero
imbrigliare la sua indipendenza. Era per natura inquieto e curioso e sempre con
insofferente avversione a tutto ciò che fosse routine o soggiacenza all'autorità
costituita; però mai con la forma quasi sempre violenta dell'anarcoide, ma con
la calma del saggio.
In
Inghilterra sarà titolare della Cattedra di Teologia e niente di meno che in
Cambridge, che non era cosa da poco. E sia detto incidentalmente,
diventerà un gran amico di Tommaso Moro, altro bel capoccione di quei
tempi. E sempre durante il suo periodo inglese scriverà i famosissimi adagi -
aforismi - apoftegmi che si spargeranno rapidamente per tutta Europa e non
avranno assolutamente nessuna connotazione religiosa. Erano i tempi di Enrico
VIII e poco dopo gli offrirono dei lucrosi incarichi vitalizi nel Collegio
della Regina, sempre nell'Università di Cambridge. Ma il nostro indipendente ad
oltranza disse No thank you, per non avere legami con
chicchessia.
Dopo di
questo se ne andò bel bello a Venezia, nella prima casa editrice del Mondo,
quella di Aldo Manunzio ( Aldus
Manuntius). Stando colà gli piovvero molte offerte di lavoro, di
impieghi interessanti e con buona remunerazione come educatore. Le rifiutò
tutte dicendo che anche se Aldo Manunzio lo pagava pochettino perché spilorcio peggio di un giudeo ( cosi disse ), quello era
sufficiente per vivere e non doveva essere soggetto a nessuno. Dopo un po'
decise di andarsene anche da lì, andò a Basilea in Svizzera, dove si sentiva al
riparo da "persecuzioni". Ed in Svizzera cominciò a scrivere
relativamente tardi nella vita, perché prima voleva riuscir a dominare lo stile
narrativo del latino, la lingua colta dell'epoca.
Si commentò
più di una volta che le polemiche di Erasmo dovevano interpretarsi come
anticattoliche. Non era vero. Erasmo non era ne' anti-tutto ne' anti-niente.
Voleva innanzi tutto fare i fatti suoi e rispetto alla chiesa voleva solamente
liberalizzarla e scuoterla dalla paralisi che la aveva inchiodata per non
sapere o non volere adattarsi ai tempi. La nuova cultura del Rinascimento non
era un fenomeno marginale ed era la Chiesa che doveva riconoscere i valori del
Rinascimento e non viceversa.
Il Medio
Evo era passato ed Erasmo auspicava che le nuove menti vedessero la realtà con
occhi differenti. Nel suo periodo in Inghilterra aveva cominciato gli studi del
Nuovo Testamento ( I Vangeli) per raggiungere una buona e moderna
traduzione in latino delle Scritture. Intorno a quei decenni si direbbe che c'
era una mania diffusa di voler tradurre Bibbia e accessori in una lingua più
accessibile. A parte la recente versione all'inglese di Wickliffe, che sappiamo
come finì, certamente della Bibbia c'erano già state da secoli tante versioni,
in arameo, in greco, in latino, quella dei Settanta e nei primi secoli del cristianesimo
quella poi chiamata la Vetus
Latina ( la Vecchia Versione
Latina), a sua volta sparsa in parecchie versioni e con vari errori. Però era
arrivato il V secolo dopo Cristo ed un Papa al quale piaceva l'ordine aveva
incaricato uno studioso serio, quello che poi sarà San Girolamo -- sempre
rappresentato in pitture ascetico magro come un'acciuga perché eremita che
macerava se stesso e certe giovani penitenti dell'aristocrazia romana --
affinché facesse un compendio di tutte queste versioni. Il bravo San Girolamo
studia e studia e se ne era andato per la bellezza di 10 o quindici anni a
vivere a Gerusalemme e a Betlemme, per imparare qualcosa della lingua del posto
e poter leggere veramente gli " originali o presunti tali". E dopo
tanto anni di studio aveva scritto quella che si chiamerà la VULGATA, cioè la
Versione in un "latino" che non era più quello di Cicerone -- che
ormai capiva solo Girolamo, forse perché era santo, e pochi altri saggi
sofisticati -- ma nel latino trasformato durante quattrocento anni in quello
che il volgo europeo del IV-V secolo mezzo parlava e mezzo capiva: ed era già
molto se mezzo lo intendeva. Era il "latino" che si parlava in Italia
ai tempi dei Goti di Teodorico. Altroché la consecutio
temporum ! E questo
"latino" della VULGATA di Geronimo fu adattato da Erasmo, mille anni
più tardi, nel secolo XVI, in nuovo adattamento. Ma sempre in latino. E a
questo nuovo adattamento di Erasmo si adattò Lutero per la sua versione nel SUO
volgare-germanico che, incidentalmente, come già detto, contribuirà ad
unificare la lingua tedesca dai cento dialetti. Così come anche anteriormente
detto, aveva fatto il nostro Benemerito Dante Alighieri con la sua Commedia,
unificando i nostri dialetti senza ricorrere alle Tragedie di roghi e
persecuzioni. I Latini sono sempre più attratti dalle Commedie e i Tedeschi
dalle Tragedie.
E questa
nuova versione latina di Erasmo fu tanto impattante nell'ambiente colto europeo
che immediatamente si cominciarono a pubblicare edizioni, con la novità della
stampa, nelle lingue volgari ossia non nel "latino", anche detto
volgare, dal 300 dopo Cristo ma addirittura nel Volgare delle neo-lingue
di ogni nazione. Cosi si rese possibile la lettura diretta dei Sacri Testi a
tutto il "gregge" che sapesse leggere e scrivere ma che non aveva
nessuna conoscenza del latino classico ne' delle varianti volgari. C'è da
ricordare che sin dagli inizi del Cristianesimo Romano fino alla Riforma, la
Chiesa cattolica si era opposta ferocemente alla lettura libera dei testi per
tutti, senza l' intervento del sacerdote. Soprattutto per la Bibbia, il
Pentateuco; forse perché puzzava di ebreo. E le pene potevano essere le
quisquilie della forca o rogo.
Con ironia
finissima il nostro Erasmo dedicò la sua versione al Papa Leone X Medici.
Quello stesso Papa che con la famosa Bolla aveva scomunicato Lutero e, agli
inizi, lo aveva sprezzantemente "bollato" come tedesco
sbronzo di birra. Ed era anche il Papa che notoriamente rappresentava tutto
quello che l'olandesino non sopportava nella Chiesa ne' nello Stato. Il Papa
Medici, dall'alto del Suo Sacro Solio, non intese l' ironia e ringraziò
sinceramente Erasmo.
Lutero
aveva tradotto al suo tedesco "unificato" la elegante versione latina
di Erasmo. E il Luteranesimo accese tutta Europa all'anno dalla pubblicazione e
diffusione in una lingua ancora dichiarata volgare, il " Volgare Tedesco
unificato".
Da allora
cominciarono problemi seri per il nostro saggio indipendentista. Luterani e
Cattolici, tutti assillavano Erasmo affinchè si dichiarasse esplicitamente
favorevole agli uni o agli altri. Era un personaggio di cultura, molto
importante e stimato e ognuno lo voleva per sé. Però “ Erasmus est homo
per se”, come esplicitamente
si definì a sé stesso. Ed il per
se acquisisce una
connotazione diversa. Cioè che non si dava ne' all'uno ne' all'altro, se non a
sé stesso. Un po' arrogante la affermazione, sicuramente mal accettata dall'uno
e dall'altro, perché è impossibile per il fanatico capire la indipendenza
intellettuale del saggio.
La
Inquisizione censurò parecchie affermazioni dei suoi scritti.
Pero mai,
mai, assolutamente mai osò qualcosa di concreto contro di lui per l'enorme
lavoro teologico che secondo la Inquisizione rivelava la sua vera fede. Era in
personaggio invidiato ed ammirato da tutti. Anche Lutero lo apprezzava
moltissimo ed il saggio olanese ed il rivoluzionario tedesco furono anche molto
amici. Si scrivevano molto, tra di loro. C'era amicizia vera, basata
sull'affetto e sulla stima. Indubbiamente nel suo foro interno, il più intimo, era
ovvio che Erasmo simpatizzasse più con Lutero che con l'edonista Leone X.
Ma Erasmo
sapeva anche molto bene distinguere tra un personaggio ed un istituzione. Con
il tempo il Papa lo accusò con una frase che diventò famosa:
Si, è
vero, lei non è luterano. Però lei ha messo l'uovo e Lutero lo ha covato!
Al che
Erasmo rispose:
Si, è
vero. Pero io speravo che nascesse un pollo diverso!
Così che
fino agli ultimi anni della sua vita, fu sempre assillato e amareggiato sia
dagli uni che dagli altri.
Il motto
della sua vita fu:
Quando
ho un po' di soldi compro dei libri, Se avanza qualcosa compro vestiti e cose
da mangiare.
Forse
diceva così perché la sua veste di chierico gli assicurava un tozzo di pane ed
una tunica.
Il nostro
Erasmo non provò mai la vera fame di pane. Perché si fece prete senza averne
nessuna vocazione e senza mai esercitare la professione di sacerdote? Mai andò
in giro di notte a piedi, d' inverno, tra le stradicciole fredde e pericolose
di Rotterdam, con il turibolo ondeggiante per dare la Estrema Unzione a qualche
vecchio poveraccio moribondo nella sua stalla ...TU ERES SACERDOS IN
AETERNUM...
Però è
anche vero che nulla di questo scalfisce i suoi meriti di saggezza e cultura
che sono veramente enormi.
Se si ha
fame veramente, tutto il resto salta. E fu anche un gran furbetto, quindi, il
nostro Erasmo. E chissà qui mi piace un po' meno. Come certi impiegati che
marcano la entrata al lavoro e poi se ne vanno pei fatti loro.
Però è
anche difficile distinguere tra il mantenersi intellettualmente indipendente e
il barcamenarsi tra i flutti senza affrontare gli ostacoli ma aggirandoli.
Forse, alle
volte anche gli eroi hanno paura. O sarà che esistono solo se ci crediamo.
Ecco qui
alcuni adagi di Erasmo e che ancora si sentono oggigiorno dopo tanti secoli:
Non
possiamo vivere con loro (le donne) ne' senza di loro.
E` meglio
prevenire che curare
Nel paese
dei ciechi il guercio è Re
Sta
combattendo contro la sua ombra
Ha un piede
nella tomba
Non lasciò
pietra su pietra
Un po' di
tosse per nascondere una scoreggia
Più facile
dirlo che farlo
Lacrime di
coccodrillo
Una rondine
non fa primavera
L'erba è
sempre più verde nel campo del vicino
Chi lo
direbbe che nella nostra vita quotidiana utilizziamo frasi di questo olandesino
di 500 anni fa?
Insomma era
di intelligenza superiore, un gran furbo e un gran saggio che fece sempre
quello che voleva. Prese in giro molti. E di questo molti, molti non se ne
accorsero nemmeno.
53/
JUAN CALVINO
1509-1564
"Adesso che il Buon
Dio ci ha dato il Papato, cerchiamo di godercelo! "
Può essere vero o non
vero che l'Ambasciatore della Serenissima Repubblica di Venezia presente alla
incoronazione del Papa Leone X abbia riferito che il neo Eletto al Solio lo
avrebbe privilegiato con questa confidenza. Cosi come anche può essere certa o
non certa o parzialmente certa la famosa TAXA CAMARAE dello stesso Papa Medici;
il medesimo della scomunica a Lutero. Però senza alcun dubbio l'ambiente
eccessivamente mondano-pagano della Corte Papale, con tutti i meriti e difetti
di qualsiasi altra corte Rinascimentale specialmente in Italia, poco aveva a
che vedere con i profondi ma umili insegnamenti di Cristo o Santo Francesco. La
qual cosa fu origine delle proteste dei Protestanti. Le Indulgenze e l'Orgoglio
Germanico ne furono solamente concause.
Pur tuttavia le azioni
del Monsieur Jean Cauvin, latinizzato Calvinus, furono decisamente ancora più
estremiste ed in senso contrario. Fanatismo ascetico vs corruzione mondana. Una
critica, una buona critica, è sempre utile. In fondo, quando ci guardiamo allo
specchio e cerchiamo di migliorare il nostro aspetto, facciamo giornalmente una
critica estetica a noi stessi ma con fini di miglioramento. Gli estremismi sono
pazzie. Indici di ignoranza o deviazioni psichiche. Il caro amico Cauvin, dal
viso arcigno e fanatico, era certamente convinto e in buona fede di essere
l'Unico Interprete della Volontà Divina. E questi sono i personaggi più
pericolosi perché generalmente riscuotono le simpatie degli sciocchi. Lo
sciocco è pigro. Non si domanda. Vuole credere. E` meno faticoso. E sicuramente
di gran lunga è da preferire il bugiardo al fanatico. Il bugiardo è senz'altro
in mala fede mentre il fanatico è un puro. Pero il bugiardo può ammettere la
sua colpa. Il fanatico mai.
Per questo è pericoloso,
perché ammalia. Come è successo con i Grandi del secolo passato. Non credevano
in Dio perché erano Dio loro stessi. In buona fede.
Il caro Monsieur Cauvin
voleva reprimere con l' intransigenza dell'Inquisitore tanto aborrito alcune
condotte che certamente erano peccaminose dal punto di vista della imperante
religione Cristiana in Europa, ma che, dopo tutto, fanno parte intrinseca della
natura umana. Il bello e il brutto, l'onesto e il disonesto, il santo ed il
peccatore son tutte qualifiche amalgamate nell'uomo. L'uomo, nel top della
graduatoria del regno animale, non ne è esente come lo sono tutti gli altri
congeneri. E ci auto imponiamo delle regole, imbrigliando spesso condotte
decisamente gradevoli di cui i congeneri molto meno fortunati generalmente non
ne usufruiscono; non sanno farlo. La nostra cara cugina scimmietta non ama, fa
solamene sesso, non gode dell'arte, della musica, di un panorama, non gode di
Dio. E noi vogliamo autolimitarci contro il volere della Natura-Demiurgo.
Cosa fece questo signore
quando ebbe potere politico?
Perseguitò l'adulterio e
passi: può essere equa norma di convivenza. Perseguitò la fornicazione, cioè
l'amore e il sesso fuori del matrimonio: e su questo ci sarebbe molto da
ridire; comunque in pochi gli fecero caso. Anche proibì il gioco, il
vino, il ballo, le canzoni oscene ( poveri CARMINA BURANA) , obbligò ai servizi
religiosi portando i recalcitranti alla Santa Messa presi per la collottola.
Volle semplificare i
rituali della chiesa cattolica. Però anche qui esagerò, perché con la semplificazione
li ridusse all'estremo: proibì la musica, organo o piano o liuti; e addio ai
bellissimi Canti Ambrosiani. Addio ai bei vetri colorati con episodi religiosi.
Nemmeno volle sentire più il rintocco delle campane, quel dolcissimo din don
dan ovattato dei Mattutini che si spargevano nella campagna ancora scura e
sonnacchiosa. I canti ambrosiani venivano dalla peccatrice Italia e le campane
qualche scemo deve avergli detto che le suonavano quelli del Catai, i cinesi,
popolo barbaro e senza Dio.
Pretese anche sopprimere
qualsiasi forma di arte nelle chiese. Niente quadri, niente affreschi, niente
sculture, niente di arte. In qualche chiesa si arrivò all'estremo di sopprimere
anche gli altari, perché un lusso. Tutto, assolutamente tutto doveva ridursi alla
sola scarna preghiera e recitare Salmi, in ambienti assolutamente austeri e
grigi. Immaginarsi che razza di Burka dovessero indossare le floride bionde
contadinelle tedesche o francesi, per le quali la Messa significava l'unica
occasione per sbirciare i giovanottelli ansiosi e timorosi con il cappelloccio
tra le mani, forse a occultare certe emozioni.
E ritornato a Ginevra
impose la sua bella Dittatura Teocratica per la bellezza i 25 anni, senza
ammettere critiche.
Però ad un certo momento
volle distinguersi dai giochi pirotecnici dei roghi cattolici per gli eretici.
Bisognava fare giustizia certo, pero " magnanimamente".Ipse
dixit... sed non fecit...
Ma arrivati qui non si
può non ricordare il caso di Miguel Servet ( Miguel Serveto), spagnolo. Era
costui uno scienziato, che viveva e studiava in Svizera: non un fesso qualunque
ma un tipo che aveva scoperto per primo nel mondo la circolazione del sangue
dal cuore ai polmoni e viceversa. Ma, guarda caso, un giorno sfortunato per
lui, scrisse qualcosa sulla Santissima Trinità che non piacque a Calvino. Non
piacque nemmeno ai cattolici, come vedremo. Forse c'era della vecchia ruggine
da parte di Calvino verso lo scienziato. Forse considerava con sospetto
gli studi anatomici come qualcosa molto vicino alla magia. Forse. O era solo
invidia. Fatto sta che l' illuminato e smemorato Calvino dimenticandosi ella
"magnanimità" perorata poco prima, lo schiaffò il galera con i suoi
alambicchi e poi lo mandò al rogo come eretico. Ed il povero Servet rese l' anima
a Dio, anche se un po' abbrustolita, senza avere la inutile soddisfazione di
saper del suo Primato Guinnes per essere bruciato vivo per due volte, sia dai
Luterani come, dopo, anche dai Cattolici.
Perché i Cattolici,
consultati i sacri Testi dei Padri della Chiesa, convinti del NIHIL OBSTAT per
applicare il rogo a Servet per seconda volta, lo condannarono al rogo anche se
solamente in effige per motivi ovvi; ma anche perché il rogo dei Luterani non
poteva liberare l'anima di Servet dal dominio del Demonio come solo poteva fare
un rogo cattolico. Sic. E cosi i Cattolici furono magnanimi. E gli salvarono
l'Anima, il bene più prezioso.
Ma non è finito qui.
Perché commentando la
condanna di Servet, un altro studioso, francese, che anche viveva in Svizzera,
Monsieur Sebastian Châtellon, si permise scrivere chissà dove che "ammazzare
un uomo non è difendere una dottrina ma solamente ammazzare un uomo".
E il povero Sebastian dovette scappar a rotta di collo in Francia , per evitare
un'altra bella pira.
Le sue teorie sulla religione
il dotto Calvino le aveva enunciate nel Institutio
religionis Christianae e la
sua influenza non si limitò geograficamente come nel Luteranesimo al Nord
Germania e ai Paesi Scandinavi. Ma si sparse moltissimo di più, in Svizzera, in
Francia con gli Ugonotti, in Scozia con i Presbiteriani, in Inghilterra e Stati
Uniti con i Puritani. Ed ebbe anche la sua bella influenza in Ungheria, Polonia
e il resto della Germania. Un po' dappertutto, come si vede, meno che
nell'Europa Mediterranea, sempre più godereccia. Certo, quelle
guglie misteriose, a punta nelle chiese gotiche germaniche, mezzo
nebbiose, severe, somigliavano di più a Calvino e male si adattavano agli
aperti cieli azzurri del Mediterraneo, dove le chiese latine spagnole italiane
sfavillavano di ori, forse di allegria e forse, anche, ancora paganeggianti.
Calvino non volle mai
nemmeno parlare dell'eventualità di unificazione tra le varie forme Protestanti
per formare una falange contro la odiata chiesa peccatrice di Roma. Chissà non
voleva rinunciare al suo protagonismo ascetico né accettare che si osasse
discutere sulla sua teoria della predestinazione: era inspirata, secondo lui,
da San Paolo ed in realtà si rimontava addirittura al Fato dei Greci, degli
Stoici, dai Cinici, dall'uomo con la lanterna che viveva in una botte. Ma fu
trattata, la predestinazione, anche dai Padri della Chiesa come Agostino.
Insomma, la Chiesa Cattolica "uscì pazza", direbbero a Napoli,
per conciliare Predestinazione con il Libero Arbitrio. Ovviamente non lo faremo
in questa sede. Ma in poche parole la "predestinazione di Calvino"
era una predestinazione presa in serio, germanicamente, dove si affermava che
dagli inizi dei tempi o dall'eternità -- nonostante la contradictio in terminis,
perché se ha un inizio non è eterna -- Dio, Massimo Fattore Eterno, aveva
deciso chi si salverà e chi non si salverà. ERGO il Paradiso lo raggiungeranno
solo i predestinati, gli eletti, gli uomini superiori che saranno scelti dalla
Grazia di Dio ma non per le loro azioni; ed il tutto secondo un calcolo di
necessità di osannanti nel Cielo le glorie del Signore. E quelli che
avanzavano, una specie di gleba, avanzavano e basta. Erano esuberi e che se ne
andassero per i fatti loro, magari all'Inferno. Nietzsche?
Un'inattesa
caratteristica delle sue idee era accettare il prestito ad interesse, proibito,
teoricamente, dai cattolici. E proibito anche agli ebrei, tra di loro.
Ed in questo
caratteristica si volle vedere in Calvino il propedeutico al Capitalismo.
Insomma se sei un morto di fame significa che a Dio non interessi. Se sei uomo
di successo, sei toccato dalla Grazia.
Pur tuttavia dal punto di
vista personale Calvino non era come la stragrande maggioranza dei predicatori
che predicavano bene e razzolavano male. Non si limitava ad esigere
ordine e serietà. Era lui stesso ordinato e serissimo. Accettò uno stipendio
molto esiguo, di solamente 100 corone durante tutta la vita senza chiedere
indenità di caro vita. I suoi eredi ricevettero solamente 300 miserabili
corone, equivlenti a tre stipendi mensili.. Mai accettò incarichi speciali che
avrebbero significato un maggior ingresso economico. Mai cercò posti onorifici
per sé o per i suoi familiari. Niente di nepotismo, favoritismo, mai nessuno
scivolone. Me lo immagino facendo all'amore con la sua sposa Idelette de Burè,
unicamente con fine riproduttivi. L'unico che produsse furono tre figli che
morirono ai pochi mesi di vita.
Un'altra cosa
interessante rivelatrice del carattere di questo soggetto: Come si innamorò
Calvino ? Come si sposo? Chi lo accettò? Lui non scelse la moglie da solo, per
suo conto, per innamoramento o per i soliti dolci giochetti di gioventù. La
incaricò. Si, una specie di compera per Internet. Si rivolse a un amico ed
immaginiamo già il tipo. Gli chiese che gli trovasse una moglie che fosse
""gentile, pura, economica, modesta, paziente e la cui maggiore
preoccupazione nella vita fosse prendersi cura del
marito"". L'amico scelse Idelette, dicendogli in gran
confidenza che aveva tutti i requisiti.
E con tante virtù non
poteva che essere uno scorfano.
Aggiungiamo un'alta
caratteristica: mai, mai nella vita il nostro Calvino si prese un giorno di
vacanza.
Sarà andato per lo meno
in luna di miele?
Allora siamo franchi,
poteva essere simpatico un tipo così?
Chi se lo sposerebbe?
Appunto: uno scorfano.
( c.v.d.)
54 /
ALESSANDRO VI
Rodrigo
Borjas (Papa dal 1492 al 1503)
Basta
accennare a un Borgia, in Italia, che subito si pensa a un Papa corrotto,
simoniaco, libidinoso, peccatore, puttaniere, con figli sparsi qua e là ed
anch'essi della stessa risma del padre: con contorno di veleni, confabulazioni,
dalle mille maniere di fare politica sporca, a proprio vantaggio o della
propria famiglia o amici o cortigiani.
E tutto
questo è vero. E' il quadro perfetto di un Borgia. E non solo del Papa Borgia,
Alessandro...ma anche dei suoi, soprattutto il favorito, il Cesare Borgia fatto
cardinale giovanissimo dal potente padre, poi marito di non ricordo chi nobile
spagnola figlia di Re e suggerita come sposa dal Re di Francia che lo nominò
Duca del Valentinois.
Il Duca
Valentino, il prototipo del Principe del Rinascimento, è astuto, amorale,
crudele, traditore, bugiardo, abilissimo soldato conquistatore, descritto
mirabilmente dal Machiavelli che macchiavellicamente dá una lezione di
comportamento politico a chi vuole emergere, comandare e reggere i destini di
uno stato, fregandosene di tutto. E nel quadro della famiglia forse potrebbe
entrarci anche la bella Lucrezia Borgia, della quale si parlò tanto male e
anche tanto bene ed alla fine si preferisce non parlarne affatto. Forse le
donne sono sempre state più astute dei loro uomini, fratelli o padri o sposi
che siano. Ed ella seppe adattarsi ai principi senza principi dei Principi
italiani, terminando la sua avventurosissima vita in fama di virtuosa e colta
Duchessa d'Este, tenera, sposa fedele e mamma amata dai suoi sudditi.
Però, c'è
un però grande come un castello.
Cioè che
anche gli altri erano tutti così,...o quasi tutti. E per "altri" non
si intende solo principi del Bel Paese, Papi compresi -- forse addirittura in
prima fila -- ma anche altri principi e duchi e nobili e imperatori sparsi per
il mondo. E quelli che erano i virtuosi, erano i poveretti forzosamente
virtuosi e che avrebbero voluto esserci loro al posto dei privilegiati, ma non
ne avevano le forze. Mancavano di quelle mali qualità necessarie
all'uopo. Intelligenza, astuzia, amoralità, fingere buone virtu e fottersene
degli altri. E sapere ammaliare. E magari in fin di vita pentirsi veramente
delle malefatte e con un momento di contrizione, da furbi, entrare nel
paradiso per il buco ella serratura.
Quindi,
alla fine dei conti, nessuno si scandalizzava poi tanto al rendersi conto che
un determinato Papa non era un santo. C'erano abituati.
Ma come era
veramente questo Borgia? Questo bel Papa Alessandro VI ossia il valenziano -
catalano Rodrigo Borja?
Arrivò al
Triregno con l'appoggio del Re di Spagna e non del Re del Cielo. Non per
preghiere e l'aleggiare di Colombe Bianche, ma per pagamenti a Cardinali. Era
il delitto-peccato di Simonia, così chiamato a ricordo perenne di Simon Mago
che offri denaro a San Pietro per ottenere doni speciali dallo Spirito Santo.
Uomo di
forti appetiti sessuali, libidinoso; prima e dopo essere nominato
Papa, ebbe la bellezza di otto figli e con diverse belle romane sposate o non
sposate, nobili o popolane seguendo la moda del nepotismo-paternalismo.
Nominò
Cardinale il nobile Alessandro Farnese, più tardi Paolo III. Fu un altro esempio
di "riconoscenza" cristiana da parte del Borgia, perché il Farnese,
per appagare la sensualità del vicario di Cristo, aveva offerto alle sua brame
l' innocente sorellina di 15 anni, Giulia Farnese. E il Papa Borgia, per
riconoscenza cristiana, come dicevo, lo nominò Cardinale.
Però,
l'antipatia del popolo romano, più plebe che popolo, si dimostrò subito alla
elezione del Borgia. E poi, più avanti nel tempo, con sollievo o addirittura
allegria, ebbe la notizia della sua morte, probabilmente avvelenato. Ma non lo
avevano accettato obtorto
collo per i suoi eccessi virtuosi, o per lo meno non solamente per
quelli : con secoli di porcherie politiche e amoralità ormai i romani erano di
pelle dura.
Non era
loro simpatico perché era un papa straniero e non lo sentivano come Vescovo di
Roma; perché era straniero e continuava a parlare il suo diletto, mescolanza
tra il valenziano, il catalano e forse anche un tantinello di quella pronuncia
che rivelava qualcosa di ebreuccio.
Che
successe?
La Fama
Nera di questo Papa & Flia ,con il Duca Valentino e la misteriosa Lucrezia,
angelo o demonio, impedì ai contemporanei riconoscere i meriti del suo
pontificato. Como statista, naturalmente, non come uomo di chiesa.
Perché fu
un gran Statista.
Nei suoi
diedi anni di pontificato seppe organizzare finalmente il disordine
spaventoso nel governo temporale. Ed anche con il trattato di Tordecillas,
partorito in due tempi, voluto da lui, seppe evitare guerre tra Cristiani,
Spagna e Portogallo, famelici per dividersi le scoperte del nostro bravo
Colombo, un po' ebreo un po' spagnolo, un po' genovese: tirchio da matti, anhe
lui, come gli altri. Per questo mai pagò i 10.000 maravedi promessi a
Rdrigo de Triana.
Fu anche un
gran Mecenate delle arti, il Borgia e senza di lui forse oggi non esisterebbe
la pietà di Michelangelo.
Inoltre - e
questo non era cosa da niente - non era solamente il vecchio libidinoso a
caccia de ragazzine, cosa che alla storia non interessa affatto; ma seppe
dettare leggi giuste, sapeva come amministrare i suoi territori, dette sviluppo
all'industria, al commercio e riusci a restaurare la pace; e dimostrò buona
dose di tolleranza aiutando colonie di ebrei scacciati dalle fanatiche folle
iberiche. Cercò anche di formare uno stato tutto italiano, senza predominio ne'
di spagnoli ne' di francesi. Naturalmente sperava di ottenerlo come regno a sé,
con lui a la testa, come ci speravano anche gli altri pretendenti. Chi ci provò
molto più tardi con i suoi entusiasmi popolari fue quel simpatico arruffone
eroico di Garibaldi, ma non ci riusci completamente.. Forse aveva scelto il
candidato peggiore, che nemmeno parlava italiano.
E tornando al Papa Borgia, questi che abbiamo raccontato furono senz'altro i suoi meriti come statista. Era ebreo anche lui? Si sussurrò anche questo. Discendente di Aharon Cybo, nobile famiglia di ebrei genovesi, forse anch'essi legati al Colombo quasi nostrano? Genova e Catalogna non sono tanto lontane. E se ci prendiamo il bizzo di comparare i due ritratti, dove spiccano quei due bei nasi... di Borgia e Colombo, se si guardano e comparano i due ritratti, con quel bel naso semita, a scimitarra, la domandina ce la facciamo. Il Papa Borgia e Cristoforo Colombo sembrano due fratellini gemelli.
Però,
insomma, nasi o non nasi, i tre Borgia, il Padre Santissimo e i due figli,
continuavano a parlarsi nel loro peculiare dialetto. E chissà questo fu per i
romani il più grande oltraggio. Il Papa della Chiesa di Roma doveva essere
Romano, sennò, che razza di Papa era? La maggioranza di loro nemmeno sapeva che
Gesù Cristo e san Pietro erano ebrei circoncisissimi.
E nun je aveva chiesto Gesu a Pietro, qui a Roma, QUO VADIS? Ndo' vai? E nun era latino? Certo che Gesu parlava latino, 'a linguaccia zozza che parlavano li preti e li mortacci nostra, l'antenati nostra. E mo'...?? 'sto papa, che parla?
E per
giunta qualcuno disse che il folklorico popolo romano non perdonò mai a Papa
Borgia che bestemmiasse. Non fu per la bestemmia in sé. Non gliene fregava un
bel niente. E infatti tutti rideranno a sentire tra qualche anno le parolacce
scurrili del Papa Giulio II che sacramentava con il suo amico
Michelangelo nella Sistina. Ma non gli perdonarono a Sua Santità le
bestemmie perché il tradizionalista Borgia lo faceva nel suo dialetto,
che i romani non assaporavano e questo toglieva gusto alle sue effervescenze.
Avrebbe dovuto usare il dialetto romanesco, quello folklorico e strafottente
del VAFFANCULO... e che i romani s'intercalavano tra lezzi durante le
tante feste religiose di Roma Santa; e dove, grazie a Dio, si abbuffavano di
porchetta pagata dal Obolus
Sancti Petri degli altri cristiani al di là delle
Alpi. E il tutto con le stornellate popolari, le pacche del Volemose bbene e tiramo a campá... e Con
le fontane dei Castelli che davano vino.
Francamente,
siamo seri, doveva parlare romanesco, altrimenti, che razza di Papa era?
Per questo tutti sventolavano i suoi peccati.
Pe'
sfregio! si dice a Roma
55/
/
LUCREZIA BORGIA
LUCRECIA BORJAS
(1480—1519)
Su Lucrezia Borgia si è scritto
moltissimo. Un personaggio intrigante del quale si potrebbe sapere tutto e
niente. Figlia illegittima di un Papa peccaminoso, con tre mariti, non si sa
bene con quanti amanti, donna bellissima, colta, con tutte le caratteristiche
per essere famosa nel bene o nel male. Forse vittima innocente di uno Stato e
in un periodo tra i più scostumati del Rinascimento nella Curia Romana. E che terminerà
la sua vita come virtuosa Duchessa D'Este a Ferrara, amata e stimata e colta
dama.
Era figlia -- e non lei solamente
-- del Valenzano-Catalano Rodrigo Borgias, Papa Alessandro VI e della sua
amante principale, la contessa Vannozza Cattanei. Ed anche la Cattanei non era
nemmeno una donnarella qualsiasi. Apriamo una piccola parentesi. Le sue
avventure, affari, attività, amanti e mariti li ebbe anche lei, oltre che figli
vari. Era nobile di Mantova, la città di Virgilio. Di antica nobiltà però
venuta a meno, arrivò a Roma dove si mise a fare la locandiera, ristorante
trattoria, con camerierette tutto fare dove andavano nobili e preti, da
Monsignori in su. Un posto VIP. Era una donna che sapeva il fatto suo. Anche
bella, esuberante e per varie circostante che astutamente seppe approfittare,
fece anche quattrini a palate. Diventò amante del Cardinale Rodrigo Borgia e
spodestò tutte le altre concubinette. E con il Borgia conviverà in piacevole e
simpatica relazione anche di affetto e stima. Quando il suo importante amante
diventerà Papa Alessandro III, la relazione amoroso - sessuale terminerà, però
rimasero amici ed ambedue con sincero affetto per i figli comuni. Rimasero
amici, al punto che il Papa si preoccupò di trovarle un buon marito, per
lasciarla sistemata,
insomma.
Bene, ci sarebbe tanto da dire
ancora su questa contessa di Mantova. Ma lasciamo stari lì. Accontentiamoci di
dire che fu la mamma di Lucrezia Borgia e del Famoso Cesare Borgia, il principe
di Macchiavelli, il Duca Valentino.
Che poi, nel tempo, l'ex
cardinale Borgia, trasformato in Papa Alessandro VI, abbia accettato di buon
grado dall'ecclesiastico Alessandro Farnese il dolce suggerimento di sverginare
la sua innocente sorellina di 15 anni, Giulia Farnese, questo non ha a che
vedere ne' con la Vannozza ne' con Lucrezia.
E che poi questo favore, in un
mirabile DO UT DES , abbia posto un bel Cappello Rosso sulla capoccia
dell'ecclesiastico per trasformarlo in Cardinale ed in più con la possibilità,
una parolina di favore allo Spirito Santo per farlo diventare il Papa Paolo
III, Paolo III Farnese; anche questo, lo ammetto, si direbbe un poco fuori
tema.
Però tutto questo serve per
rivelare meglio dettagli, caratteristiche e intrallazzi e nefandezze di certe
famiglie di cristiani in Roma Santa, tanto per descrivere meglio l'ambientino.
Se fosse apparso Gesù Cristo...
altroché frustatine come ai mercanti del Tempio, la qual cosa, che io sappia,
fu l'unico episodio riportato dove l'Uomo del perdono, il Messia, abbia perso
le staffe.
Sono arcisicuro che non andò a
Roma, poverino, per non perderle del tutto.
E sarebbe caduta irrimediabile la
teoria dell'altra guancia!
Continuiamo.
Senz'altro a Lucrezia Borgia non
si possono attribuire le responsabilità per le azioni violente, peccaminose,
simoniache e immorali del suo bel Fratellino nonché del suo bravo papà Papa e
nemmeno quelle, molto meno gravi, di su mamma, la polifacetica contessa
mantovana. La punibilità delle cattive azioni non dovrebbe considerarsi
estensibile a parenti come pretese Noè incolpando tutti i futuri negretti
innocenti, per i secoli dei secoli, con la sua famoa maledizione. E nemmeno la
disobbedienza di un certo mangiatore di mele dovrebbe punirsi ad aeternum, castigo estensibile a tutti i
posteri.
Però la Volontà Divina è imperscrutabile. Chiniamo la fronte al Massimo
Fattor. come esortò il
Manzoni.
Ma, a proposito di Lucrezia,
nemmeno si può affermare con sicurezza tutto il contrario.
Era ancora una ragazzina ed anche
molto bellina, poco più che bambina quando entrò nel turbinio della corte di
Roma. E addio innocenza.
In generale si può dire di lei
che si cominciò ad utilizzarla come merce di scambio a favore del papa Borgias,
AlessandroVI, suo padre. Fu consegnata da lui come sposa a personaggi diversi
secondo le convenienze politiche del momento.
Prima la fecero sposare con
Giovanni Sforza, Condottiero, uomo d'armi.
Dopo un po' non ci fu più
necessità di quell'alleanza con gli Sforza e il buon Papa Alessandro volle
tenerla a disposizione per altre future alleanze più vantaggiose. Che ti fece
'sto bel Papa? Ordinò l'assassinato di suo genero.
Però sembra che il cattivo
fratellino Cesare Borgia, intelligentissimo ma poco di buono e scostumato,
fosse innamorato della sorellina. Chissà come mai le svela il complotto. Non
vogliamo chiedercelo. Perchè la ragazzina intanto si era innamorata del
Giovanni Sforza, marito voluto non da Dio ma dal suo Vicario, il Papa. Si
innamorò. Succede a volte. E come disobbediente figlia ma come buona
sposa, aiutò il marito a scappare. Scappò da Roma e da morte sicura.
Ma il Papa non rinuncia
facilmente ai sui propositi. Chiese allora al Cardinale Ascanio Sforza, zio di
Giovanni, il favore di persuadere il nipote a chiedere l'annullamento del
matrimonio. Giovanni, che ancora stava scappando, non solamente si oppose ma
accusò allora suocero e cognato di incesto con Lucrezia. E per imbrogliare
ancora di più la vergognosa matassa, si affermò da parte di chissà chi che il
matrimonio non era mai stato consumato perché il Condottiero di gran rinomanza era forse eroe nel campo di battaglia
ma non eroico nelle battaglie d'amore. Impotentia
Coeundi. Lo abbiamo scritto
in latino ma tutti i miei lettori lo capiranno. Allora Papa Alessandro VI, uomo
saggio, giurista e latinista, insistette con il presunto genero che si trattava
di un matrimonio invalido perché non consumato: il matrimonio non c'era mai
stato perché non suggellato dalla unione carnale tra i due nubendi. Cosi
sentenzia il Codice Canonico. E quindi il Tribunale Ecclesiastico della Sacra
Rota poteva tranquillamente dichiararlo nullo, a richiesta di parte. Ed ognuno
per i fatti suoi.
Il gran Condottiero, esausto per
le tante pressioni, finalmente accedette alla richiesta, si autoproclamò
impotente e la sballottata Lucrezia fu "libera" per altri compromessi.
Come divertentissima pennellata
di folklore romano, romano inteso sia in senso laico come religioso, poco prima
del suo secondo matrimonio, questa volta con Alfonso d'Aragona, la ormai
diciassettenne Lucrezia ebbe un bel bebè: passò alla storia come Il Bebè di
Roma, l'Infante di Roma, perché non si sapeva chi fosse il padre.
E qui si scopre un'altra cosetta
bella di quei tempi. Sembra che il buon Papa Alessandro, una volta fatta
dichiarare la nullità del matrimonio di sua figlia Lucrezia con il Condottiero,
in attesa di nuove disposizioni matrimoniali per sua figlia, sempre preziosa
merce di scambio da conservarsi con attenzione, la mandò a rinchiudersi in un
Convento, a difesa di tutti i pericoli. Nessuno poteva vederla o vistarla, con
la sola eccezzione di tre persone: suo papà il Papa; suo fratello Cesare, il
Duca Valentino; e naturalmente il suo vigilante-carceriere, un certo Perotto,
uomo di assoluta fiducia del Papa.
Dei tre maschietti, chi poteva
essere il padre del bimbo? Conoscendo l'ambientino e le abitudini, poteva
essere qualsiasi dei tre. Poteva ribellarsi un ragazzetta di 17 anni agli
eventuali tre pretendenti? Un padre Papa, un fratello senza scrupoli e il suo
aguzzino?
E così continua la novella
Boccaccesca.
Il Papa Alessandro emise due Bolle
Pontificie a proposito di questo bambinello innocente di tutto. Nella prima
Bolla pontificia riconobbe il bambino come figlio di sua figlia Letizia con suo
figlio Cesare, ammettendo implicitamente l'incesto. E nella seconda Bolla
mantenuta in segreto per anni riconobbe il bambino come suo, avuto con sua
figlia Lucrezia.
Nell'intrallazzo tra una Bolla e
l'altra apparve anche la dichiarazione del tal Perotto dicendo che Lucrezia era
stata sua amante e il bambino era frutto della relazione tra aguzzino e
prigioniera.
Come furono in realtà gli eventi?
Tutto possibile.
Possibile che ciascuno dei tre,
in buona fede, abbia creduto ognuno di essere il padre del bambino: cosa che
spesso accade agli ignari mashiettini. E magari poi si viene a sapere che è
stato un altro, magari il frate confessore.
E può anche darsi che la bella
giovane ed inesperta Lucrezia sia stata abusata da ciascuno dei tre personaggi.
La leggenda nacque ed ormai non
si saprà più la verità.
Però, per la verità, c'é da dire che Alessandro VI e i Borgia in generale erano pieni di nemici rabbiosi da tutte le parti e che volevano disprestigiarli al massimo, dicendone sempre di cotte e di crude, vere o inventate o esagerate.
Poco dopo questo evento, del bebè
di Roma, a Lucrezia fu imposto altro matrimonio con Alfonso d' Aragona, nuovo
alleato dei Borgia.
Ma poco dopo, resasi già
superflua questa nuova alleanza, il nuovo alleato fu mandato tranquillamente a
assassinare. Da chi? Dal Papa, secondo una versione.
Così come cercò di difendere
il primo sposo, così Lucrezia aveva cercato di difendere il secondo.
Ma non le fu possibile. La giovane donna apparentemente si affezionava ai
mariti sia pure imposti dalla politica. Chissà, forse proprio come mezzo per
sfuggire alle grinfie della famiglia. Chissà...
Pero c'è anche un'altra versione,
niente affatto politica.
Cesare Borgia, libidinoso e
peccatore sempre innamorato anche di sua sorella, cominciava ad essere geloso
di Alfonso d'Aragona, molto un bel ragazzo, del quale si diceva che Lucrezia si
fosse adesso sinceramente innamorata. E si disse che per questo Lucrezia non
voleva più rispondere alle esigenze sessuali del fratellino. Il quale
fratellino, intanto, era diventato bruttissimo per uno scoppio di sifilide che
aveva spaventosamente deturpato quello che prima era un bel volto di giovane.
Il Duca Valentino cercò di nascondere le fattezze del viso butterato con una
barba spaventosa. E si disse che, rabbioso di gelosia, abbia ammazzato il suo
cognato.
E può darsi anche questo.
Pero la vita continua per la
nostra eroina. Al poco tempo di inizio della vedovanza sarà nominata
Amministratrice della Chiesa e del Vaticano. Siccome il Papa Borgia macchinava
adesso un matrimonio-alleanza con i Duchi d’Este, una delle nobltà piu antiche
e prestigiose d`italia, voleva che la figliola Lucrezia aggiungesse fama di
abile aministratrice alla sua già nota fama di bellezza govanile. Questo
incarico di enorme responsabilità fu molto criticato per la sua gioventù
ed inesperienza. Pero Alessandro VI insistette tanto con il Re di Francia,
preannunciadoli favori speciali per le sue aspirazioni su Napoli, con tal
che Parigi facesse pressioni a Ferrara per celebrarsi il matrimonio
voluto dal Papa. E i Duchi di Ferrara che al principio non volevano,
abbozzarono e dissero di sì al matrimonio pero esigettero una dote
immensa che il Papa pagò e i Duchi d'Este contarono moneta a
moneta.
E si arriverà alla terza
disposizione di Lucrezia con conseguente nozze con Alfonso; un altro Alfonso,
ma Alfonso d'Este.Ma fu da allora che la vita di Lucerzia cambiò. Alfonso
rimase impressionato tanto dalla bellezza di Lucrezia, capelli biondissimi ed
occhi neri, al punto che un ficcanaso di cameriere privato del Duca ebbe
a commentare che il suo principe nella notte di nozze volle consumare il
matrimonio cattolico per ben tre volte di seguito.E la nostra Lucrezia andrà
vivere a Ferrara.
Metamorfosi?
Anche lei si innmorerà del
marito; e come Duchessa d'Este a Ferrara la si ricorderà come magnifica moglie,
come dama raffinata amante delle arti, amica platonica di illustri
intellettuali tra i quali emergerà il Bembo; ed anche la si ricorderà come
mamma preoccupata per i suoi figli, donna intelligente ed ancora
intramoltabilmente bella. Tutte doti positive anche se si seppe
riconoscere che nella sua prima gioventù fu utilizzata per le ambizioni
politiche del suo caro papà e del suo fratellino. E con i sei figli che
ebbe con il Duca d’Este fu possibile che alquante gocce del suo sangue
Borgia arrivassero con il tempo a tutte le case regnanti d’Europa, fino al
seolo XX.
Senza ancora aver superato la
soglia dei 40 anni, morì a conseguenza del suo ultimo parto. Aveva avuto la
bellezza di otto figli in totale tra maschi e femine: Giovanni Borgia, il
bimbo di Roma; Rodriguito d'Aragon; ed i sei come Duhessa
d'Este. Erano tempi molto difficili, specialmente per una donna, ma la sua
dipartita fu tranquilla. E volle, per ultima veste, quella umile della
Francescana.Se ci si chiedesse se fu angelo o demonio, la risposta sarebbe
difficile da dare.
Indubbiamente fu una vittima dei
suoi tempi.
E soprattutto nell'ambiente in
cui crebbe: di incensi e di peccati, di culture e crudeltà, di bellezze, di
arti e di sozzure.
56/
LEONARDO
DA VINCI
(1452-1519)
Si è
scritto tanto su Leonardo di Ser Piero da Vinci, che se riunissimo tutti i
libri, tra i molti buoni ed i moltissimi cattivi, ci sarebbe da riempire una
biblioteca.
Mi riferirò
quindi a uno dei pochi episodi della vita di Leonardo poco, molto poco
conosciuto. Il Leonardo alchimista di veleni, al servizio di Casare Borgia, il
Duca Valentino, che è lo stesso Principe, diciamo "amorale", del
Machiavelli.
C'era una
volta una bella Italia del Rinascimento dove non esistevano solamente opere
d'arte in pittura, scultura, architettura e una nuova visione di vedere il
mondo, ma anche una bella maniera per eliminare i nemici. Le lotte aperte in
campo di battaglia, con cavalleria fanti, arcieri, tamburi e stendardi non presentavano
ormai nulla di interessante per i Principi italiani che cominciavano ad
incaricare questa forma volgare e pacchiana di sbudellarsi a truppe mercenarie
normalmente straniere. I sempre più raffinati Principi preferivano ricorrere ai
veleni, dove il genio e la fantasia si mischiavano in maniera che l'assassinato
raggiungesse la bellezza della creatività dell'Arte. Si potrebbe forse anche
dire che ci fosse quasi una concorrenza tra Principi. E per rifulgere in
questo, il bello e astutamente crudele Cesare Borgia, il Duca Valentino, volle
contrattare niente di meno che al grande Leonardo d Vinci.
Leonardo,
uomo dal multiforme ingegno, era curioso di tutto ed amava anche cercare e
divertirsi con strane ricette di cucina, nuovi sapori e salse misteriose.
Il Duca lo
contrattò, come ingegnere, perché aveva dimostrato eccellenti qualità nella
costruzione di fortificazioni per il suo padrone anteriore, il Duca Sforza di
Milano. La sua fama stava velocemente spandendosi ovunque. Il Valentino sapeva
che Leonardo era praticamente esperto in tutto, tutto inventava, a tutto
apportava nuove idee di realizzazione, nelle cose più diverse, come esperto in
preparare cene speciali, festeggiamenti, robe da sbalordire le Corti allegre
pagane e fastose del Rinascimento Italiano. E realmente Leonardo, lo sapiamo
tutti, fu uno dei cervelli più privilegiati nel mondo. Probabilmente l'unico
che ebbe tante intuizioni. Uomo universale.
E per
questo, però, è anche vero che causa un malessere morale, parlare di un genio
come artefice di veleni sapendo che con la sua invenzione si sarebbe ammazzata
un persona. Complice?
Poi si
pensa a tanti altri scientifici che con le loro scoperte hanno prodotto armi
letali dove non una persona ma cento e mille e milioni di persone possono
trovare e hanno trovato la morte. Complici?
Ma i fatti
sono i fatti. Ed anche se Leonardo avesse inventato veleni o bombe per
distruggere tutta una città, la sue realizzazioni e intuizioni geniali non
sarebbero scalfite da considerazioni morali.
Nel caso
specifico, il Cesare Borgia e lo stesso Papa Alessandro VI Borgia, suo padre,
volevano far fuori un nemico. Ammazzarlo ma senza risultare colpevoli. A
Leonardo arrivò l'incarico, lautamente pagato, di inventare un veleno
sofisticato che assolutamente passasse la prova del "provatore di
cibo" e che la persona morisse il giorno dopo, simulandosi un attacco di
cuore.
I gentiluomini italiani normalmente usavano per
questi casi la Cantarella , o Acquetta
di Perugia, una bella mescolanza tra rame, fosforo ed arsenico. Però qualsiasi
buon Provatore la avrebbe individuata.
Chi era il
Provatore? Quella del Provatore era un professione molto ben pagata però anche
con alti rischi, in auge nel Contraddittorio Rinascimento soprattutto Italiano
ed in Spagna, tra nobili, laici ed ecclesiastici. Tutti VIP, per intenderci.
Prima che
l'invitato d' onore cominciasse a mangiare, il Provatore personale
dell'Invitato provava lui stesso il cibo nel piatto dell'Invitato. Tutti a
guardarlo. E lui provava un pochettino per vedere se riusciva a individuare
sapori dei veleni conosciuti. Se non individuava, mangiava un po' di più fino
ad individuare, o veniva colto dai dolori del veleno, spesso mortali. Si usava
così. Nessuno si offendeva ed il nobile andava a pranzo da chi lo invitava
accompagnato dal suo Provatore, come se fosse un normale cameriere del suo
seguito. In Spagna questo si chiamava Fare Salvo il Cibo ( hacer salva la comida ) ed era anche un segno di grande
onore per l' Invitato. Come esempio aneddotico dirò che quando il Grande Marinaio
tornò festeggiatissimo dal suo primo viaggio dalla Indie Occidentali, carico di
onori e pappagalli, i Reali di Spagna vollero concedere il grande onore a
Colombo facendogli salva la
comida. Ossia lo stesso
Provatore delle loro Maestà provò il cibo nel piatto di Colombo. La qual cosa,
essendo un gradissimo onore mai concesso a un plebeo, contribui a provocare
invidie e antipatia tra i nobili spagnoli presenti.
Grande
Ammiraglio del Mar Oceano, ma forse pirata genovese, forse di origine ebrea
spagnola, sefardita. ¡Que vergüenza!...Salva la comida para un plebeyo!
Bene,
continuiamo.
Il nostro
Leonardo riceve l'ordine dai Borgia di trovare un veleno speciale nel termine
perentorio di cinque giorni. Attraverso un marinaio di ritorno dal terzo
viaggio di Colombo da Trinidad, ottiene un'erba speciale, Ichigua o un nome
simile. E comincia a lavorare e alambiccare con questa ore e ore per togliere
ogni possibile sapore all'intruglio pero preservando intatta la qualità
mortifera a scadenza di un paio di giorni, simulando un bel colpo apoplettico
di cui nessuno sarà responsabile. Invitati al banchetto di Cesare Borgia
c'erano suo papà, il Papa Alessandro VI, nonché il Cardinal Minetto, futuro
Candidato al Soglio Pontificio, in questi momento con l'incarico preciso di
combattere la sempre più dilagante corruzione nella corte del Papa e nel
Concistoro.
Presenti
anche il Vescovo di Santiago di Compostella e il Monsignore di Salamanca. E
c'era anche invitata la giovanissima Lucrezia Borgia, figlia del Papa, bella, dolce,
bionda, occhi nerissimi che giocherellava con suo gattino bianco.
Il severo
ed apparentemente onesto Cardinale Minetto sapeva molto bene -- e come si
rumoreggiava anche già da tempo in Vaticano -- che Alessandro era un Gran Capo
di stato ma assolutamente corrotto come Capo della Chiesa. Conosceva gli
eccessi "mondani" del Papa, dei suoi vari amori sensuali e li
sospettava anche con la sua figlioletta. Sospettava anche incesto tra Cesare e
Lucrezia.
E il
Cardinale Minetto sapeva anche del famoso ballo delle castagne, la Castagnata
in uso ancora oggigiorno in parecchi paesi italiani. Pero allora si celebrava
nelle stanze riservate del Papa e terminava in una franca orgia pagana.
Oggigiorno non è più cosi. Qualcuno forse ne avrebbe ancora nostalgia. O tempora o mores direbbe ancora quel qualcuno.
Cosicchè
mentre i commensali si preparavano per la cena, il nostro Leonardo stava
preparando la sua salsa misteriosa, condimento a delle bellissime trote. Cuando
tutto era pronto, lo stesso Maestro provò una goccia di salsa del piatto
avvelenato senza notare assolutamente nessun sapore estraneo. Però bisognava
provare un po' più abbondantemente quando improvvisamente il gattino di
Lucrezia, con intenzioni suicide, si avvicinò strusciandosi goloso alle gambe
del Maestro che avevano qualche odore di trota. Leonardo era un tipo sveglio,
prese il gattino e gli dette da mangiare un bel pezzo di trota, ovviamente
avvelenata. Il gattino ringraziò con un tenerissimo miagolio. e si allontanò. A morire tra un po' in qualche angolo
del giardino... deve aver
pensato il Divino Maestro.
Si
servirono le bellissime trote ai commensali, ovviamente dopo la tradizionale e
indiscussa approvazione del Grande Provatore del Cardinale Mileto.
Cesare
Borgia guardò con riconoscenza e ammirazione il grande Maestro alchimista.
Però
improvvisamente il Cardinale si alza dalla sua poltroncina. Si porta le mani
alla gola, gli occhi quasi gli escono dalle orbite, e cade morto in pochi
secondi. Il terribile sguardo di Cesare Borgia, con ira repressa, fulminò il
divino Maestro. Evidentemente l' effetto del veleno si era prodotto
immediatamente e non al giorno seguente come ordinato a Leonardo.
Però....
Però,
improvvisamente, in questione di secondi, passa per di lì, in un angolino, i
gattino di Lucrezia, miagolando.
Cesare e
Leonardo si scambiarono un'occhiata interrogativa...Si precipitano a vedere il
cadavere di Sua Eccellenza, i commensali tutti intorno al corpo senza vita e
Leonardo, con la tranquillità che gli era normale, osserva e fa osservare una
enorme spina della trota che si era infilzata nella gola del Cardinale. Il
principe della Chiesa era morto per asfissia. Nessun'altra causa.
Ed il
giorno seguente, il Papa Alessandro VI, il duca Cesare Borgia ed il divino
Maestro assistettero compunti e sollevati ad una bella Messa di Miserere.
57/
GIULIANO DELLA ROVERE
PAPA JULIO II
(Papa del 1503—1513)
Era
un tipo simpatico, bel ragazzo, alto, di famiglia modesta però nobile di modi,
elegante, raffinato, amante delle arti, dei buoni pranzi e delle belle donne:
dicono taluni che alternandole, a volte, con amori proibiti. Era di
grande personalità, carattere forte e a volte con esplosioni d'ira che lo
portavano al turpiloquio e alle bestemmie come qualsiasi volgare carrettiere.
Aiutò moltissimo artisti come Michelangelo e Raffaello, permettendo loro cose
che non permetteva ad altri: ossia alle persone normali. Riconobbe i loro
valori in sé, anche perché lui stesso potesse risaltare ancor più con loro. Non
era certo una persona umile. Da giovane stava studiando in un convento di
Francescani, non per speciale vocazione religiosa, ma come mezzo per istruirsi
meglio, quando gli piovve la notizia che un suo zio era stato nominato Papa.
Fortuna che tiene uno al avere uno zio Papa, quando i papi contavano qualcosa
di più degli altri capi di stato. Per lo meno nell'Europa Cristiana. Ed infatti
Sisto IV, ligure anche lui, un della Rovere, uomo serio e competente, buon
papa, seguendo le abitudini niente occulte del nepotismo, lo nominò subito
Vescovo e poco dopo Cardinale. E i Vescovati, a quei temi, erano motivo di
laute rendite. Il buon zio Papa ne fece avere ben otto al caro nipotino
includendo quello di Avignone, molto ambito perché ben succulento. Ma questa fu
l'unica debolezza di Papa Sisto. Per il resto ricorderò ai turisti per Roma,
che la Cappella Sistina si chiama così perché ne iniziò la costruzione questo Papa;
e se gli stessi turisti volessero estasiarsi con la bellissima fontana di Trevi
e chissà con lo struggente ricordo di Anita Eckberg, sappiano che fu per
volere dello stesso Papa se quella fontana serve la famosa acqua di
Trevi: per tirarci i soldini dentro.
Ma
questa è un'altra cosa.
Bene. Poco
dopo questi eventi di nomine nepotistiche tradizionali nel Papato, Papa Sisto
manderà il caro nipotino come Legato Apostolico in Francia. E da lì prese
l'avvio per farsi conoscere come uomo abile e di considerazione ed
acquisterà in breve una notevole influenza nel Collegio Cardinalizio. Non
solamente perché fosse nipote dl Papa. Ma perché lui veramente era una persona
di valore e la sua influenza aumenterà ancora di più con la morte di suo zio.
Gran nemico
di Giuliano della Rovere era Rodrigo Borgia, lo spagnolo. Ma il primo che
arrivò al Solio fu Rodrigo che si chiamerà Alessandro VI e Giuliano non riuscì
mai a rassegnarsi a questa offesa fattagli dallo Spirito Santo. E si affretta a
denunciare che Rodrigo Borgia era divenuto Papa non per intervento dello
Spirito Santo ma del re di Spagna, di quattrini, di simonia.
Ovvio che
lo spagnolo dal sangue caldo diventa furioso: "Queste cose non si
divulgano coram populi, pubblicamente," disse
in un accesso di ira di stampo mafioso. "Il Gregge potrebbe
fraintenderle."
Giuliano,
anche lui impulsivo, comincia a temere il Papa, simoniaco o no; e cerca
rifugio ad Ostia. Ostia non è in questo caso la Ostia Santa, come aiuto
spirituale, ma il porto di Roma, che si chiama Ostia e lo porterà fuggiasco in
Francia e poi a Parigi. Ed a Parigi, cercherà di convincere Re Carlo VIII,
l'Affabile, per conquistare affabilmente Napoli, in mano spagnole.Tuttavia,
nemmeno Alessandro VI si succiava innocentemente il ditino; e come contro mossa offrì un Bel Cappellino Rosso a un
ministro poderoso e corruttibile del Re di Francia. E contrappose le sue
machiavelliche macchinazioni alle macchinazioni del Della Rovere.
Nel
1503 il Papa Alessandro VI Borgia morì, chissà per malaria, chissà per veleno.
Sicuro che
Giuliano non lo pianse in un MISERERE.
E in quello
stesso anno il Cardinale Giuliano della Rovere si trasformerà in Papa Giulio
II.
Il bravo
Giuliano, da cardinale o da Papa, aveva seguito le antiche tradizioni Romane e
romanesche di vari figlioli i quali, eufemisticamente, si chiameranno NEPOTES, cioè nipoti. Da dove viene la parola
Nepotismo per indicare favori a familiari. E ultimamente con una gentildonna
Romana ebbe una figliola. Pero Giuliano era un Gentiluomo e come era suo dovere
non scritto troverà un buon marito alla sua amante ed in casa di un altro
Cardinale Della Rovere, cugino del Papa Sisto.
Tutto in
famiglia.
E da San
Pietro, più con la spada in mano che con la Croce, governerà il mondo Cristiano
imponendo la sua volontà.
Aveva
assistito obbligatoriamente impassibile come il Papa Anteriore, il Borgia ed il
suo figliolo preferito -- il Cesare Borgia Duca Valentino, il Principe di
Machiavelli -- avevano dilapidato il patrimonio di San Pietro in beneficio
proprio; cosi che, sia per un certo senso di giustizia o di vendetta o di
avarizia, cercò con tutti i mezzi di ricuperare i feudi perduti ed aumentare il
patrimonio del Vaticano. Che poi i grandi capi abbiano quasi sempre confuso per
distrazione il patrimonio dello Stato con il proprio, sono distrazioni,
appunto, delle quali la storia non tiene conto un granché. Accadde con Abramo,
con Salomone, con Gengis Kan, con Cesare, con Stalin. Con Re e Imperatori. Con
tutti. Con chi, no?
E così
Giulio II combatté personalmente, con corazza e spada in mano, contro Perugia e
Bologna che pretendevano certa indipendenza. Con la Croce e con la Spada. Ma
siccome con la sola Croce non si otteneva un granché, ricorse alle gentilezze
della spada. E recuperò per il suo palato ormai raffinato i dolci Perugina e
gli affettati di Bologna.
Poi venne
il turno di Venezia. Ovvio. La Serenissima era troppo potente. A quei tempi era
all'apice della sua potenza in territori italiani. Aparte possedimenti vari in
mare, arrivava per terra quasi a Milano e al sud quasi fino Ferrara. Ed allora
questo diavolo di Papa, soldato e machiavellico, tanto fece, disfece, disse,
confabulò, promise e non promise che riusci a mettere insieme francesi,
austriaci, ungheresi, spagnoli, savoiardi e fiorentini e mantovani contro
Venezia, formando la Lega di Cambrai. La povera Venezia, anche se poderosa, non
resse contro tanta gente e l'anatema del Papa. La Serenissima perse nella
guerra-battaglia di Agnadello.
Venezia non
fu distrutta, ma indebolita. Ed era quello che voleva Giulio II. Perché una
Venezia deboluccia e mezzo scassata avrebbe restituito al Papato ampli
territori nel centro Italia.
E “Cosi
Sia”, disse il Papa e così fu. Ed ottenuti i suoi obiettivi il bravo Papa
uscì dalla Lega che poco dopo si disfece. Naturalmente Giulio II tolse la
scomunica a Venezia e tutti i veneziani potettero andare a Messa con le
anime ormai purificate e relativamente obbedienti a Roma.
Chissà, c'è
da pensare che se non fosse esistito quel Papa battagliero che era Giulio II,
molto probabilmente la Serenissima, poderosa in Italia del Nord e con vari
possedimenti in Oriente -- e l' unica a trafficare con vantaggi reciproci con
gli Infedeli -- avrebbe potuto conquistare tutta la Penisola. Ossia,
considerato un certo punto di vista, avrebbe potuto unificare l'Italia con più
di tre secoli di anticipo sui Piemontesi. Ma il destino volle che la lingua
italiana fosse il toscano e non il veneto.
Continuiamo
con Papa Giulio II.
Questo Papa
implacabile pose allora il suo implacabile sguardo su Genova e Milano, sotto
potere Francese. Che Luigi XII fosse stato fino a pochi mesi prima il suo
fedele alleato contro Venezia non gliene importava un comino. La diplomazia
Vaticana inventò allora la Santa Lega integrata da Venezia, già purificata e
gli Stati Pontifici, sempre puri per antonomasia. Ed un'altra volta al
grido patriottico e romantico di FUORI LO STRANIERO!, alla Lega Santa si unirono
Spagna, Enrico VIII d'Inghilterra, Massimiliano d'Austria e la Svizzera. Lo
straniero di turno da cacciare dalla Penisola Italiana era diventato adesso la
Francia. E mentre la Lega Santa stava organizzandosi per l' intervento, intanto
lui, anticipandosi per suo conto, cominciò a darsi da fare e come Capitano
delle sue truppe oltre che Papa conquistò in un santi amen la cittadina di
Mirandola che aveva azzardato allearsi con i Francesi.
A proposito
della cittadina, mi permetto un fuori tema simpatico. Tutti sanno chi era Pico
della Mirandola. Un uomo di formidabile memoria, umanista insigne eccetera
eccetera. Ricordava a memoria libri interi. Come un computer. Bene. La
prodigiosa memoria di questo signore gli venne a mancare in una sola occasione
nella sua vita ed a rischio, appunto, della sua vita. Fu quando si innamorò
pazzamente e corrisposto, di una bellissima gentildonna già sposata, una
Medici, se non ricordo male; e con lei trattò la fuga d' amore dimenticandosi
che era sposata con un altro. Per poco lo ammazzano. Per una dimenticanza.
Riprendiamo
il filo.
Il caro Luigi XII visti gli intrallazzi del Papa-Capitano cercò di
convocare un Concilio per frenare l'arroganza di questo Papa. Poteva formarsi
un altro Scisma. Ma il Concilio non funzionò. Altra vittoria per lo Spirito
Santo e Giulio II.
Allora i francesi, delusi, lanciarono il grido : A la guerre !
I Francesi erano molto bene organizzati, allenati, bene equipaggiati e
sicuramente avrebbero vinto e facilmente. Ma, chissà per intervento dello Spirito
Santo, il comandante in capo delle truppe Francesi, l'abilissimo Generale
Gaston de Foix mori ammazzato nel campo di battaglia nei primi momenti e in
maniera stupidissima. Senza quel Capo, che era il cervello dell'esercito, i
francesi poco a poco cominciarono a retrocedere e con la coda tra le gambe
ripassarono le Alpi.
Seguendo
con il giochetto gesuitico e machiavellico di barcamenarsi con gli alleati
attuali non perdendo di vista mai che saranno futuri nemici al loro turno,
Giulio II continuò usando abilmente la spada e gli anatemi con contorno di
Bolle Pontificie. Favorì Fernando il Cattolico per l' aiuto che gli aveva dato
contro i Francesi e continuò a confabulare per farlo installare nel Regno
di Navarra.
Però...
quando calcolò che era arrivato il momento frenarli per non farli diventare i
nuovi padroni d'Italia, il caro Giulio macchinò contro di loro.
Macchinò...
Però nulla potè fare contro le macchinazioni delle Parche e a un certo
momento dovette morire anche lui come mortalmente succede a tutti i mortali
nonostante essere rappresentanti di Dio in Terra e non avendo ancor fatto in
tempo a sbrogliare la complicata matassa che aveva tessuto per fregare tutti
quanti.
Fu
un gran Papa?
Senza
dubbio fu uomo di grandi vedute e capacità, gran monarca, gran guerriero,
grande e intelligente mecenate delle arti, in un momento in cui le arti non
erano le ultime a rivoluzionare il mondo con il Rinascimento. Come soldato del
Vaticano seppe riconquistare terre per la sua Monarchia Autocratica e con
possibilità di unificazione i tutta Italia. Aveva ragione Garibaldi. Se non si
era ancora pronti per una repubblica democratica con gente civilizzata era
meglio accettare un Re per l' unificazione; e poi i Re, quando non servono più,
si possono sempre cacciare con un bel calcio nel sedere; per questo il
repubblicano Garibaldi apparentemente si era trasfomto in monarchico e appoggiò
i Savoia.
Ritornando
al papa, si può dire che il nostro Papa Ligure tra le altre cose fu lui che
veramente cominciò la costruzione della Basilica di San Pietro più o meno come
la si conosce adesso.
E
proposito de la Basilica di San Pietro a Roma, credo sia bene ricordare che in
varie occasioni si disse "...
e si cominciò la costruzione della Chiesa di San Pietro..." Si cominciò e si ricominciò varie
volte ma la Chiesa come costruzione è sempre stata una sola. Per lo meno nello
stesso posto.
Spieghiamo:
la costruzione della Chiesa di San Pietro si rimonta a Costantino. Anno 300
dopo Cristo, all'incirca. E costui volle costruirla dove si supponeva che ci
fossero le sacre ossa di San Pietro. Anzi le raccolse, le sacre ossa, in un un
bel cofanetto, si disse. Ma San Pietro era morto 300 anni prima e non si sa
bene che ossa abbia potuto trovare il grande Imperatore. Però in materia di
fede tutto importa e tutto non importa. Il fatto è che si trattava di zona dove
c'era una antichissima necropoli, ossia un cimitero romano. L'Autorità Romana
dell'epoca non andava certamente a costruire tombe speciali per i vari
condannati a morte. Quindi c’è da supporre che i becchini
romani tirassero i cadveri per di là alla bene e meglio e senzaltro
senza registrre i nomi. Ma in 300 anni già il cristianesimo aveva fatto
passi da gigante, anche per merito di Costatino stesso e del suo Editto. E per
poter costruire una bella Chiesa in onore del Santo e delle presunte ossa
questo Imperatore fece qualcosa che oggi sarebbe un orrore: mandò i
Caterpillar del suo tempo, schiavi e pale, per rimuovere tutta la terra e fare
un bel piazzale, mischiando sassi, pietre, ossa, fiori e vecchie tombe
scassate. E lì stesso mandò a costruire quella che sarà chiamata la Basilica di
San Pietro, quella che si chiamerà di Costantino. Anno 300 circa. La Prima
chiesa di San Pietro.
Ma poi cadde l'impero di Roma. Ti arriva Alarico, poi il goto Totila e poi,
diradati nel tempo, altri visitatori più o meno vandalici con fini non
solamente turistici ma che vollero portare con sé souvenir della Sacra Ex Capitale del Mondo. Ma
prima si era avvicinato pericolosamente Attila; però il coraggioso Papa
Leone I era riuscito a fermarlo. E tre anni dopo questo stesso Papa
aveva ottenuto da Genserico que rubasse tutto quello che voleva ma non
assassinasse la popolazione. E più tardi arrivarono anche i
Saraceni. Mamma li turchi!,
gridavano a Roma; ma arrivarono e depredarono. E poi venne il tristissimo
periodo del Papato romano, pieno di lotte, corruzioni, sbudellamenti tra
fazioni nobiliare romane avverse. Ed allora i coraggiosi buoni Papi, corri corri scappa scappa, lasciarono
il gregge e ese ne
andarono al sicuro ad Avignone. Non tutti i Papi erano leoni come
Leone I.
La cosa sarà ancora piu complicata.
C’entreranno Bonifacio VII, Filippo il Bello e i Templari con le
loro maledizioni....ma lasciamo stare.
Cosi che nel tempo di Avignone, chi si interessava di San Pietro a Roma? E
la Chiesa di San Pietro di Costantino continuava deteriorandosi per il tempo e
per i saccheggi.
Ma poi i Papi si stufarono di parlare francese e tornarono a Roma; un po' a
singhiozzi ma tornarono.
E finalmente arrivo Niccolo V, che veramente era uomo di cultura, saggio,
amante delle arti , amico di vari personaggi celebri nel mondo della cultura e
con lui si può dire che cominciò il Rinascimento a Roma. La sua attenzione su
volse anche alla costruzione-ricostruzione dei miseri abbandonati resti della
Chiesa con le Ossa del Grande Apostolo. E` anche vero che poi 'sto Papa
andrò a fregarsi poi i pregiati marmi al Colosseo in rovina e per non so che
costruzioni. Ma si sa che in Italia il verbo "arrangiarsi" si coniuga
in tutti i tempi.
E poi, nel 1505, arrivò quel soldato prepotente e illuminato che era
Giuliano della Rovere e che qualche volta faceva anche il Papa con il nome di
Giulio II. E finalmente si dette da fare ben bene con la Basilica di San
Pietro, in buona compagnia con Raffaello, Michelangelo, il Bramante e poi i
Sangallo che erano due.
Poi certo, nel 1527, ti arrivarono a Roma anche i Lanzichenecchi, truppe
Naziste di Carlo V ed una strage e danni feroci di saccheggio li fecero anche
loro, rubando a man salva. Detto per inciso, la strage e sacheggio del
Critianissimo Imperatore Carlo V, fu per Roma, molto peggiore di quelle
anteriori dei “barbari“.
Si dice che poi Carlo V chiese scusa al Papa per gli eccessi commesse dalle
sue truppe e si vestì di nero a lutto. Sarà.
Però per lo meno i Lanzichenecchi contrassero quella bella
malattia, forse per castigo di Dio o vendetta dei Napoletani probabilmente nei
bordelli di Napoli, malattia che si riconobbe como Male Francese o Male
Napoletano e che non era altro che la Sifilide bella e buona. E la propagarono
con meticolosità per l`Europa ignara.
Poi, più avanti, nel 1600, arrivò il Bernini a fare quel bellissimo
colonnato.
Più tardi ancora arrivò un altro tizio, nel 1936, ma non bisogna
farne il nome; e si terminò l'accesso monumentale con la Via della
Conciliazione, a ricordo del Concordato di aparente pace raggiunta tra il
Vaticano e lo Stato italiano.
Stavamo
parlando di Giulio II della Rovere. Chiedo scusa per l'intrallazzo turistico. E
adesso chiudiamo:
Se si
sapesse quanto bestemmiò e sacramentò a viva voce tra i sacri
incensi questo figlio della Liguria contro il suo amico Michelangelo perché
terminasse presto quel disegnetto in Vaticano!
Michelangelo,
anche lui con il suo bel caratterino, si vendicò di rimando, rappresentando il
Grande Papa con le vesti del diavolo in una parte ben visibile in
quell'affresco che sarà il più famoso del mondo: La Cappella Sistina.
Erano due giganti. E ai giganti si
permette tutto.
58/ PAOLO III FARNESE
Papa del 1534-1549
Un altro
bel modello di virtù cristiana fu Paolo III Farnese.
Fu un Papa
interessantissimo e la lettura della sua vita e delle sue belle azioni dà la
idea di come era a Roma la Succursale del Cielo.
Ed in
realtà si prova un certo schifo a parlare di soggetti di questo tipo,
veramente impensabili.
Era nobile,
di importante famiglia italiana. Si educò a Roma ed il suo maestro fu niente di
meno che Pomponio Leto, figlio illegittimo del principe di Salerno, gran
latinista, umanista, lettore di Quintiliano, Plutarco, dell'Ars Amatoria di Ovidio. Un tipo capace insomma; e
con un maestro cosi il futuro Paolo III non poteva non crescere come un
principe dell'Umanesimo. Il giovane Farnese dominerà pertanto il latino, la
cultura classica e non poteva non trovare per raffinare ulteriormente la
sua educazione che la corte di Lorenzo de Medici, a Firenze, che gli permise
conoscere bene anche un certo Giovanni de Medici, più tardi Papa Leone X.
La carriera
ecclesiastica di questo giovane promettente fu di una velocità supersonica.
Senza nemmeno essere sacerdote, ai suoi 25 anni, nel 1493, quando Colombo
faceva i suoi giretti al Nuovo Mondo, lui fu nominato Cardinale da quell'altro
bel virtuoso di Papa Spagnolo che era Rodrigo Borgia, Alessandro VI. Il quale
Papa virtuoso aveva posto il suo sguardo appassionato e lubrico nei floridi
giovani seni prorompenti di giovinezza della bellissima e provocante Giulia
Farnese, sorellina quindicenne del suo omologo Alessandro Farnese. E fu
barattato un bel Cappello Cardinalizio. Il Cappello per il Farnese e la vergine
fanciulla per il Santo Padre.
Come
pettegolezzo si dirà che la Giulia Farnese non era più tanto verginella perché
sposata con un Orsini, altra famiglia nobilissima di Roma. Ma la famiglia della
Farnese viste le brame di Alessandro VI, insistette moltissimo perché la
bellissima Giulia Farnese, sposa del Principe Orsini, si trasformasse in
Favorita del poderosissimo papa Alessandro VI.
Il Principe
Orsini principescamente abbozzò,
da bravo romano. Ed il fratello Paolo se fu felice e si guadagnò poco piu tardi
il titolo dal popolo romano di Cardinale Fregnese.
I romani
sanno cosa vuol dire quella parola; altroché Cardinale Enagua-Sottoveste come tradussero più morigerati
gli spagnoli.
Finito il
pettegolezzo, vero verissimo.
E dopo ciò,
dopo il Cappello dal Papa ed il Titolo dal popolo, il neo Cardinale Alessandro
Farnese considerò prudente diventare sacerdote in modo che lo Spirito Santo lo
scegliesse con maggior discernimento come favorito nel il prossimo Concistoro.
E cosi fu. Ed anche se il Concistoro ha il potere di scegliere il futuro Papa
dove voglia e anche tra i non sacerdoti, in questo caso Farnese fu
indubbiamente scelto dallo Spirito Santo.
Con il
passar del tempo, all'amore all'arte di questo Papa Umanista si aggiunse anche
quello per le belle donne, complemento quasi imprescindibile. Si concesse come
amante una bella nobile romana con la quale ebbe quattro bei figlioletti che
non potevano che essere bastardi. Legalmente bastardi. E questi bastardelli,
nonostante la bastardaggine furono dichiarati legittimi dalla
volontà quasi divina per intercessione di Papa Giulio II, quando poco dopo
arrivò il turno del Ligure.
Amante
delle belle cose e di persone specie se di altro sesso, questo Papa non poteva
non attenersi ad una vita lussuosa nella casa del modesto pescatore. Ed anche
se certamente non lo inventò lui, senz'altro rafforzò e praticò il nepotismo,
quella bella dolce umana abitudine mafiosetta di favorire i propri parenti ed
amici. Infatti uno dei sui primi atti come rappresentante di Dio in terra fu di
nominare Cardinali Guido Sforza ed Alessandro Farnese, nipoti. Si trattava senz'altro
di superdotati, perché il Cappello Cardinalizio lo ricevettero rispettivamente
ai 16 e 14 anni. Poco più tardi stabili un bel Ducato per suo figlio Pier
Luigi, uno dei quattro figli avuti con la bella nobile romana. Due
nipotini Cardinali ed il figlioletto Duca.
Niente
male.
Ma a parte
questi due peccatini che a quei tempi si consideravano veniali, cercò di
eliminare o almeno ridurre certi brutti peccati mortali nella Corte Papale;
riformò in meglio la Camera Apostolica ed il Tribunale della Sacra Rota.
Peró gli
fece veramente onore e questo sia detto senza ironia, che con la Bolla Sublimis Deus riconobbe che gli indigeni del
Nuovo Mondo erano persone, cioè che erano esseri umani, che possedevano
un'anima, che avevano diritto alla loro libertà e che pertanto potevano
praticare, se lo desideravano veramente, la vera fede facendosi cristiani
battezzati. Ma che assolutamente non bisognava obbligarli a questo con la forza
e nemmeno trattarli con crudeltà.
I negri
invece erano tutt'altra cosa.
Erano stati
maledetti da Dio stesso, attraverso Noè e si confermò che sarebbero stati
schiavi dei loro fratelli-padroni ad
aeternum.
Che si
fottano! Lo dice la Bibbia...
Quindi si
poteva tranquillamente trafficare con loro e Nihil
obstat per andare a stanarli
in Africa.
Fu generoso
con gli artisti, il nostro Papa Farnese. Incaricò vari lavori anche a
Michelangelo.
Approvò ad
Ignazio di Loyola la fondazione della Compagnia di Gesù, i Gesuiti, insomma; ed
autorizzò anche altri Ordini Religiosi.
La sua
lotta prioritaria era contro i Protestanti di cui forse seppe prevedere il
futuro potere che sbilancerà la Chiesa Romana. Fu in Occasione di questa lotta
ai protestanti che inventò il Santo Ufficio, la Inquisizione Romana ed il primo
indice di Libri Proibiti. Nonostante il vergognoso baratto della
bella Giulia con il Cappello Rosso, era uomo di stretto rispetto al
sacramento del Matrimonio.
Vallo tu a
capire.
Perse per
sempre l'Inghilterra per la Chiesa Cattolica al negare a Enrico VIII
quell'annullamento di Matrimonio per non ricorrere ai vari sotterfugi
semi-giuridici già utilizzati dalla Chiesa Romana in tante altre occasioni.
Forse è anche vero che quei tempi l'arroganza della Chiesa Romana non dava
molta importanza ai Popoli del Nord. E come non accettò i capriccetti matrimoniali
di Enrico VIII, cosi non dette troppa importanza a quello che il Papa Medici
chiamerà quell'ubriacone di
tedesco , alludendo a Lutero.
Si
disse anche e spero che non sia vero, che ebbe relazioni sessuali con sua madre
e con con Costanza, una delle sue proprie figlie con la nobile romana di
cui dicevamo prima.
Quindi sua
mamma, la sua amante e una delle sue figlie! Se le fece tutte.
Ma non
basta. Si disse che mandò ad ammazzare anche una delle sue sorelle, al
diventare geloso di uno dei suoi amanti.
Pero
considerò una buona azione di carattere amministrativo la creazione di un nuova
tassa-imposta al consumo. Il fatto sconvolgente è che la nuova tassa regolava
le entrate di 40.000 prostitute a Roma.
Insomma fu
un personaggio enormemente sconcertante.
Che ci si
sia potuto accorgere di atteggiamenti del genere nella nostra umanità, ci
lascia perplessi, pensativi e dubbiosi di tutto. E un certo amaro in bocca.
Come quando
un compagnetto maligno burlandosi della nostra ingenuità ci disse che la cicogne
non volavano più.
Ed effettivamente non volano piu come credevamo.
59/
P A O L O IV
Giovanni Pietro
Caraffa
( Papa dal 1555 al
1559 )
ed anche
vari fuori tema.
Giovanni Pietro Caraffa era di una importante famiglia napoletana. Da
giovane il Papa Leone X de Medici lo aveva mandato come ambasciatore (Nunzio
apostolico) del Vaticano in Francia ed in Inghilterra. Dopo il Sacco di Roma
del 1527, prima permesso e poi lamentato da Carlo V d´Asburgo, il Papa Clemente
VII lo incaricherà insieme ad altri funzionari di una bella Riforma nella Corte
Papale. Nel 1536 un altro papa, il Papa Paolo III Farnese fonderà il Santo
Officio, o Inquisizione Romana ed il Primo Presidente incaricato dal Papa
sarà il Caraffa che rimarrà il Grande Inquisitore per lunghi anni, fino a
quando a sua volta sarà lui stesso nominato Papa: Papa Paolo IV .
Si rimane un po' sconcertati all'apprendere che il Papa Fregnese si sia sentito con il dovere morale di
inquisire sui "peccati" altrui. Proprio lui! E nella maniera come si
"inquisiva" a quei tempi! Sono sopravvissuti vari disegni o
acqueforti che illustrano certi strumenti di tortura: veramente
raccapriccianti. E il domenicano osservando, compreso nella sua missione. Ne'
serve di consolazione sapere che la tortura è stata denominatore comune ovunque
e fin da quando gli uomini credevano di essere diventati uomini.
Continuiamo.
Quando era morto il papa anteriore, il buon Papa Marcello II, di cui
essendo virtuoso nessuno ne parla mai, il nostro Caraffa, sempre severo
Inquisitore, aveva già ottant'anni e di questi vari come inquisente. Non aveva
nessunissima intenzione di competere per la Sacra Tiara. Però, cosa ti succede?
Che il bravo Imperatore Carlo V d'Asburgo (Carlo I di Spagna), quello stesso
del gentile Sacco di Roma, aveva manifestato una tale avversione all'eventuale
candidatura del Cardinale Caraffa che costui si sentì profondissimamente
offeso. Lui e tutti i Napoletani con lui. . Caraffa, non ostante il suo fare
arcigno però serio, amava la sua città, cosi come tutti i buoni napoletani che
vanno in visibilio per il mare azzurro di Capri ed il fumaiolo del Vesuvio.
Così che fu felice quando lo Spirito Santo illuminò veramente i Cardinali che
lo elessero Papa. Non tanto per sé stesso, quanto per ripicca e perchè i suoi
napoletani facessero schiattar
di rabbia 'sti fetusi di Lanzichenetti Spagniuoli e 'i loro borie.
In quegli anni era da tempo paralizzato il Concilio di Trento, quello che
avrebbe dovuto limare differenze tra Protestanti e Romani. Però Roma continuava
ad avere un'aria di superiorità e non tollerava queste insolenze di monachelli
tedeschi. Insomma, per Roma non poteva essere un incontro paritetico tra
differenti interpretazioni per cercare la verità. Questo concetto non esisteva.
Per Roma limare differenze significava che i protestanti si adeguassero a Roma.
E Caraffa non aveva nessuna intenzione di rivivere le cosiddette negoziazioni,
perché Roma non negoziava nulla e Roma era quella che aveva ragione per
principio. Il temperamento dominante del Papa e la mentalità teocratica della
stessa Chiesa di Roma non ammettevano nessuna discussione. Il Papa era il Papa
e molto più importate di qualsiasi Re o Imperatore essendo il Vicario di Dio.
Per gli altri obbedienza o il rogo dell'Eretico.
Utilizzò efficacemente e con molta capacità le funzioni dell'Inquisizione
Romana per combattere, reprimere e distruggere i vari tentativi di
infiltrazione ed i ragionamenti diabolici di organizzazioni protestanti. Arrivò
al punto anche di inquisire il Cardinale Inglese Reginaldo Pole. Questo
Cardinale aveva cercato di favorire il ritorno dell'Inghilterra alla Chiesa di
Roma durante il periodo di Maria Tudor. E questi erano meriti enormi agli occhi
della Curia. Però, poveretto lui, non era completamente d' accordo sulle
richieste, sembra esigenti, del Papato affinchè gli inglesi restituissero alla
Chiesa di Roma tutti i beni confiscati. E c'erano anche altri vari motivi
politici complicati e frammischiati; l' inflessibile Papa Paolo IV Caraffa non
esitò a sottometterlo al Santo Uffizio per eretico. Pole morì prima di
qualsiasi decisione dell'Inquisizione Romana.
Fu questo severissimo Papa che il 14 luglio del 1555 creò il ghetto di
Roma, copia peggiorata del Ghetto di Venezia -- ghetto è una parola del
dialetto veneto -- attaccando ebrei, confinandoli, decidendo le loro attività e
mestieri, espropriando i loro beni senza risarcimenti, obbligandoli a vestire
in modo differente per essere riconoscibili alla "normale"
popolazione romana.
E per meglio poter controllare la cultura tre anni dopo di questo ebbe il
lampo di inventare anche l'Indice del Libri Proibiti dalla Chiesa Cattolica
Index librorum prohibitorum, che fu legalmente soppresso solamente
l'altro ieri, nel 1966, dal Papa Montini, Paolo VI.
Insomma, il Caraffa era senz'altro un uomo serio, onesto, integerrimo che
credeva a quello che faceva. E non era un un puttaniere scostumato come certi
suoi predecessori, anche se brillantissimi personaggi.
Ma, ci si chiede, est
modus in rebus...è questo il pezzo a pagare per l'onestà dei Capi? Il
fanatismo?
Parliamo d'altro.
Riprendiamo il discorso sulla fortissima antipatia reciproca di Papa
Caraffa contro la Spagna, gli spagnoli ed il loro Re, Carlo I come re di Spagna
e Carlo V come Imperatore del Sacro Impero Romano Germanico. E dopo di lui, la
stessa antipatia verso il figlio, quello che sarà il Re Filippo II.
Da tempo la Spagna stava dominando il sud d' Italia.
Caraffa cercò di lottarci contro cosi come Giuliano della Rovere, Papa
Giulio II, aveva cercato di allontanare gli stranieri dalla penisola al grido
di FUORI I BARBARI.
Con lo stesso fine Paolo IV, Papa Caraffa, aspettò e confabulò anche lui
perché Francia conquistasse i domini spagnoli in Italia; ma non per tenerseli
ma per consegnarli al Papa. Ed i francesi si mossero veramente in questo senso.
Pero più rapido fu il Duca d'Alba, Fernando Alvarez di Toledo, vice-re a
Napoli.
E gli spagnoli rimasero nel nostro bel Sud d'Italia, contaminandolo come
contaminarono il Sud America. E si dovrà aspettare l' arrivo romantico e
folklorico del amatissimo e criticatissimo biondo nizzardo, eroe dei due mondi.
E si mi permetta adesso una considerazione personale, a sopporto della
convinzione che i popoli, le masse, le persone ricordano più facilmente e più
volentieri, chissà perdonandoli chissà ammirandoli o invidiandoli, i cosiddetti
personaggi "cattivi" ma romantici e che innamorano le masse; e
molto di più degli uomini virtuosi dei quali tutti parlano bene ma
che anche stufano parecchio.
Come ho raccontato recentemente, questo abile Spagnolo, questo Viceré di
Napoli, il duca D' Alba, fu colui che mandò al patibolo, per vendetta, per
gelosia e in fondo per giustizia secondo i tempi, un bis bis bis bis-nonno
materno mio, un certo Marco Berardi. Secondo il folklore di Trebisacce, questo
giovane dagli occhi di fuoco si ribellò agli spagnoli e si mise a fare il
bandito, con baffoni, ciocie calabresi, coltellacci e forse uno schioppo. Vuole
la solita tradizione che fosse un Robin Hood che rubava ai ricchi spagnoli e
distribuiva ai poveri contadini calabresi. Chissà...mi piacerebbe crederlo. Ma
quello che è certo che incontrati per la strada in fatale coincidenza il
calabrese con la Duchessa d'Alba, bellissima giovane calabrese sposa o favorita
del Duca, ambedue furono "immantinenti trafitti d'amore".
E lì ebbe inizio la loro felicità e la loro tragedia.
Il Duca cornuto guerreggiava contro il Papa e il focoso bandito
guerreggiava felicemente le infinite guerre d'amore..
Però un rompipalle di gesuita gesuiticamente insinuò qualcosa al Duca. E
rimossa tutta la boscaglia della Sila, acciuffarono il povero bis bis bis
bisnonno, e " gli
mozzarono lo capo a tondo! ". Ed
alla Duchessa la rinchiusero in Convento, dove divenne Badessa e forse imparò a
badar meglio e con prudenza ai fatti suoi. Diciano fatti suoi.
E l'Idalgo Fernando III Duca d'Alba, con corna o senza corna però con
l'onore ristabilito, arrivò fino a Roma e il povero Papa, vinto e umiliato,
dovette implorare la pace. Poco dopo, nel 1559 si arrivò al famosissimo
trattato di Pace di Chateau-Cambrésis tra Filippo II di Spagna e Enrico II di
Francia e si pose fine alle tante guerre tra Francia e Spagna che distruggevano
Italia. Erano i tempi della Difida di Barletta. E di quei tempi tristissimi era
l'espressione dei poveri italiani succubi e dominati dagli uni o dagli altri.
“Venga la Francia o venga la España, puarchè se magna”.
Al poco tempo morì il Papa Caraffa.
E il popolino romano, quello stesso popolino che come tutti i popolini di
tutti i tempi e di tutti i luoghi lo avevano applaudito alla Coronazione come
un nuovo Papa serio e virtuoso, quando arrivò la sua morte ne sfigurò le
effigi, distrusse le statue, dette alle fiamme la Santissima Inquisizione e
saccheggiò il ricco convento dei Domenicani.
Saccheggi, senza tanti ragionamenti: l' esplosiva e sporadica rabbia del
povero, di chi sempre è dominato da qualcuno.
60/ BARUK
DE ESPINOSA
Spinoza
Era una persona seria, onesta, ovviamente intelligente, studioso e
assolutamente non fanatico.
Quel tipo di persona che, come già detto molte volte, non fa notizia.
Checché se ne dica, l'onesto, il puro, il virtuoso non è interessante. Gli
uomini e soprattutto le donne si innamorano dei filibustieri simpatici.
Era nato in Olanda e figlio di marrani ( marranos erano ebrei convertiti al
cristianesimo per convenienza od obbligazione). Cominciò gli studi in Amsterdam
dove la immigrazione dal Portogallo o dalla Spagna era accettata, nonostante
gli eccessi Calvinisti. Studiò classici spagnoli e la filosofia rabbinica del
medio evo.
Studiò Cartesio, Hobbes, Lucrezio e Giordano Bruno. I suoi genitori gli
permisero e facilitarono lo studio con rabbini ortodossi, ma già dai suoi primi
anni se ne distanziò. E nel 1556 fu addirittura allontanato dalla comunità
ebrea. Rimasto con problemi economici si dette da fare per avere sia
pur dei minimi ingressi e cominciò a pulire lenti. Come un
qualsiasi ragazzotto di bottega di un ottico. Fu cosí che conobbe quello che
poi fu su grande amico, Huygens, l'inventore del microscopio.
Spinoza, nel suo Trattato Teologico Politico, manifestò chiaramente il suo
ripudio alla supremazia della Religione sullo Stato, così come succedeva nella
società teocratica ebrea. Credere che una persona determinata, religiosa o laica
che fosse, potesse essere investita di un potere speciale da parte
di Jahvè, aveva prodotto situazioni illogiche e superstiziose. Cosi che, pur
non negando il peso che potesse avere la religione sulle masse incolte
soprattutto come freno per non cadere in anarchie, tuttavia le sue critiche
razionali ai fanatismi religiosi produssero scandali e disaccordi che decise di
non pubblicare più nulla su questi argomenti. Rifiutò anche una Cattedra di
Filosofia perché l'offerta era condizionata a che non perturbasse la religione
stabilita. Volevano censurare i suoi programmi, in altre parole e lui non
accettò.
Sembra che già in fin di vita ricevesse la visita del grande Leibniz, uno
del tre gradi filosofi razionalisti del secolo XVIII: Leibnitz, Espinosa ( Spinoza)
e Descartes ( Cartesio).
Morì molto giovane, di tubercolosi.
Ebbe una vita sfortunata, sempre proscritto ed infelice.
Non ho mai trovato qualche simpatico aneddoto su questo personaggio, per
trattarlo con un pizzico di irriverenza come sono solito farem però quasi
sempre con una certa tenerezza perché è dolce cogliere il lato umano ed il meno
statuario e tradizionalista possibile di chi ci interessa. Deve aver avuto una
vita veramente triste un pover'uomo che non ci possa offrire neppure un appiglio
per prenderlo un po' in giro.
Credo che realmente fosse una persona seria, in buona fede, nient'affatto
fanatico, sempre un po' triste. Un saggio, come Erasmo, indipendente e come ce
ne furono un po' pochetti in questo nostro peregrinare per il mondo.
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