15 nov 2010

La Paternitá in Porto Ordaz e San Pietro a Roma


Nel 1992 si inaugurò in Porto Ordaz  il monumento alla Paternità.  Quella scultura mia, secondo mi dissero, era la più grande che si fosse fuso in Venezuela; anche se poi io non sono proprio sicuro che sia certo.  In ogni modo, sia o no meritevole di questo Guinnes  venezuelano,  per la fusione si usarono più di novecento chili  di bronzo  e si superarono felicemente  vari problemi tecnici. E, detto incidentalmente, dovuto alle folcloriste  interpretazioni della  amministrazione dello stato, me la pagarono con molto ritardo  e ancora manca una parte.
Ma non era questo che volevo dire.
Pochi minuti prima dell'  inaugurazione  mi si avvicinò una ragazza, una giornalista di una pubblicazione locale, per farmi un'  intervista.  Chissà perché, forse per via di quello gnomo ridanciano e mattacchione  che alle volte mi  suggerisce bugiette  e  a prendere benevolmente in giro me stesso e gli altri, cominciai a parlarle de certe sculture a Roma.  E mi venne di parlare della statua in bronzo di San Pietro, nella basilica di San Pietro. Le dissi che  era stata fusa  molti secoli addietro e che il suo piede  destro, quasi nudo come è di prassi nei sandali del pescatore, fuoriesce  un poco dal piedistallo, invito ai fedeli perché lo notino. E lo hanno notato tanto che per secoli si sono inginocchiati di fronte alla statua  ed hanno accarezzato e baciato il piede del santo.
-Tutto scorre e con il tempo il piede del santo si è consumato, - dicevo io alla giornalista  che con compunta professionalità  annotava tutto in un suo libriccino, - di modo che adesso il piede del povero san Pietro  quasi non ha più dita.-  
Qui intervenne ancora il mio gnomo mattacchione  che mi obbligò a dire  alla giornalista che qualcosa di simile  succederebbe alla mia statua della Paternità.  La ragazza mi guardò curiosa.  Aveva dei bei capelli biondi che giocavano a rimpiattino con il sole.
-Però la mia non è la statua di un santo, - le chiarii. - Rappresenta un giovane padre, nudo, bello, che mostra la sua forza e la sua virilità; e che si inginocchia  per prendere in braccio il suo figlioletto e lo alza sopra di sé. La statua rappresenta  l´ amore del padre verso il figlio e un invito a popolare queste zone, come un inno alla procreazione, alla fecondità.
La ragazza continuava a scrivere   sul suo taccuino.
- Lei deve aver notato che  nella statua del padre  è bene alla vista il membro virile, - continuai.
 La ragazza ebbe un momento di indecisione, poi continuò a scrivere.
-Secondo certe  tradizioni greche e romane- continuava a suggerire quel mio bugiardo  gnomo mattacchione,- la statua di un uomo che rappresenta la paternità è di buon augurio per le  vergini candidate a nozze.   Quando volevano sposarsi o aver discendenza, si avvicinavano alla statua, toccavano,  accarezzavano e baciavano il  membro virile  - così come in altro contesto fanno col piede le pie donne in San Pietro -  per aver fortuna, trovar marito ed essere prolifiche.-
-La giornalista era sempre più nervosa,  però  continuava a scrivere imperterrita.
- Così che lei, señorita, potrà pubblicare nel giornale che lo stesso succederà alla mia Paternità. Tra qualche tempo quella parte della scultura sarà   più  lucida  e avrà perso la patina iniziale  per tutte le carezze e bacetti  delle ragazze di qui che vogliono sposarsi.  Sarà di un bel colore bronzo oro.-
Poco dopo cominciò la cerimonia ufficiale.

Ttempo fa il mio amico Claudio di Porto Ordaz  mi ha telefonato per dirmi:
-Senti un po`, Aldo.  Cosa è successo con  il pirolino della tua statua? E` come se avesse perso la patina, è di un colore differente,  sembra che abbia il pirolino d`oro... .Sarà che è stato fuso male ?
-Non lo so, Claudio. Non ho idea.-

11 nov 2010

Esperienze (quasi ma non) omosessuali

Primo Episodio:

ANNO 1941,42.- Roma. Appartamento all`ultimo piano che non si diceva penthouse perché a quei tempi si diceva attico, si parlava italiano, la superinneggiata lingua di Dante ed eroica discendente diretta del glorioso Latino dell´ Impero Romano. Erano decisamente proibite e mal viste , o mal sentite espressioni tipo francesismi o gli anglicismi. Non si diceva sweater o pullover, si diceva maglione. E se non si trovava la parola giusta in italiano per uno sport, non si giocava né a tennis né a golf. Non si poteva dire tennis, non si poteva dire golf. Nacque un timido “ andiamo a giocare a pallacorda?” sostitutivo del tennis, però non ebbe successo. Insomma se non si trovava la parola giusta non si giocava né a tennis né a golf e si moriva di freddo perché non potevi usare il golf. Siccome tennis e golf erano due giochi sofisticati, borghesi decadenti, di poca gente e ci si passò sopra. Però, quando venne fuori che non si poteva nemmeno dire football, perché era un anglicismo, fu doveroso scoprire che nel 1500 a Firenze si giocava “al pallone”, gioco e nome tipicamente italiano perché Firenze è sempre stata in Italia; e il grave problema si risolse. Il gioco del pallone era nato in Italia e la prepotente Inghilterra si era appropriata del gioco e lo aveva ribattezzato a modo suo. E finalmente si proibì anche l`OK , espressione che inoltre era una chiara degenerazione di una ibrida mescolanza tra ex colonie inglesi , in quel tempo governate da un degenerato paralitico; tutto il contrario della forte figura virile dominante e maschia dell Uomo Italico che ci governava.
Bene, questo era il quadro nei miei 14/ 15 anni, il periodo delle Leggi Razziali, della cui esistenza io seppi e frammentariamente cercando le corna del demonio nella fronte dei Giudei Romani, dopo aver visto quel film, SUSS L´ EBREO, dei nostri alleati Arii, y tedeschi.

Bene, tornando a bomba, nel nostro palazzo, al secondo piano, piano nobile, si diceva,viveva un generale, probabilmente dell ´ esercito perché di aviazione ce ne era poquina, nonostante la Orgogliosa Traversata Atlantica di Italo Balbo con i suoi aeroplanetti, applauditi anche qui, a quel tempo , da dove scrivo, a Montevideo. La Reale Marina , quasi riservata ai nobili, viveva in altre zone di Roma, eleganti e declassate. In questo secondo piano, nobile o no, il generale in pensione aveva il suo attendente: un soldatino piccoletto, magrolino, senza nemmeno un pelo di barba, pelle liscissima, che faceva quello che un attendente militare non dovrebbe fare: invece occuparsi a dar lustro e sputacchiate agli stivali del generale e “ attenderlo” in quelle cose dove doveva attenderlo, si dilettava in lavori “donneschi e manuali”, si diceva allora, ossia andava al mercato con la sporta e tornava con i broccoli. Aveva tutto meno l’ aspetto marziale del soldato che difende la Grande Patria. Un giorno questo tipo che per ironia del destino si chiamava Guerino, come il famoso e avventuroso paladino di Carlo Magno, mi invitò a visitarlo nella sua stanzetta, nell’ appartamento del generale. Nessuno stava in casa, meno lui ed io, l`innocente. Io ero obbedientre: CREDERE, OBBEDIRE, COMBATTERE diceva Mussolini in uno dei suo tanti slogan scritti a caratteri cubitalissimi nelle strade “ed in ogni luogo” in tutta Italia. Intanto io mi sforzavo in Credere e Ubbidire, mentre il Combattere mi aspettava al varco dei miei valorosi 18 anni.

Mi invitò ad andarlo a trovare nella sua stanzetta, il caro Guerino e mi mostrò delle fotografie che erano esplosivamente erotiche per me. Libidinose,peccaminose, infernali, tremendamente eccitanti. Erano di una contadinetta della campagna romana, di quelle che vendevano la ricotta freschissima nel cestino di rametti intrecciati e foglie di fico, per le strade di Roma alle cinque della mattina. Era semi nuda, con estensioni abbondanti di pelo di vario tipo: l`eccitantissimo e folto vello pubico, que arrivava quasi fino all`ombelico, quello della gambe, qualcosa anche nelle braccia muscolose e sotto le ascelle che si immaginava appiccicosissimo ed odoroso di aromiagresti. Ricordo ancora, benissimo, lunghi pelacci neri che nascevano nei capezzoli, per produrre esilaranti sensazioni di piacere. Sicuramente ne era orgogliosa. Comunque, come sia, tutta quella parafernalia mi eccitò. In quei tempi ero ancora nuovo alle erezioni, che avevo scoperto casualmente in quei giorni. Era la grande emozione del momento.

Certo che mi “emozionai”. Probabilmente avevo anche i pantaloncini corti , chissà l`emozione si notava meglio ed il caro Guerino deve essersi considerato per un momento l ` uomo più felice della terra e con un gesto sorpresivo per me dette una piroletta su se stesso, scese i pantaloni in un lampo e mi mostrò un culo bianchissimo con dei peli lunghissimi e neri. Mi dette la impressione di una pelosissima tarantola. O di quello che io credevo fosse una tarantola. Mi produsse l`effetto contrario. Mi spaventai. Mi apparirono immagini infernali ancora vive nella mia memoria infantile, diavoli, demoni, sentii uno schifo tremendo per quelle natiche che lui cercava di aprire, invitandomi al banchetto che io neppure sapevo in cosa consistesse. Povero Guerino, che delusione!

Così come stavo, alterato, spaventato, con quest `affare grosso tra le gambe che non sapevo ancora bene come si gestisse, con un gran senso di colpa, scappai dalla sua stanza e dall’ appartamento del generale; per fare prima non aspettai l`ascensore per arrivare al piano 11º. Volai per le scale con gli scalini due e tre per volta per arrivare a casa mia, al 11º piano. E questa fu la mia prima esperienza erotica.

Secondo episodio:

E`stato poco prima della caduta del governo Mussolini.
Anno 1943. Nella Gerarchia dei Giovani Fascisti, ero arrivato al grado di capomanipolo ( 40 uomini paramilitari). Avevo fatto il Giuramento: “ Nel nome di Dio e dell’ Italia giuro di eseguire gli ordini del Duce e di servire con tutte le mie forze la Causa della Rivoluzione Fascista.”

Come tutti i ragazzi di quell`età formavo parte della G.I.L. Gioventù Italiana del Littorio che Hitler copiò con la sua Hitlerjugend. Tutti eravamo giovani dai 15 ai 18 anni, più o meno. E il sabato pomeriggio, quello che si chiamava sabato fascista, avevamo marce, sfilate, inni della Patria, canzoni dell `Impero. Non eravamo più Balilla. I Balilla erano ragazzini dagli 8 ai 14 anni. Facevano parte dell `Opera Nazionale Balilla ( O.N.B.), avevano la camicia nera e nel petto un bellissimo medaglione del quale eravamo orgogliosi con la M di Mussolini (mia nonna una volta ironizzò se era la M di Macor ) e un bellissimo fazzolettone di seta azzurro che si metteva intorno al collo, come facevano i cowboy e i ciociari, di un bell´ azzurro che probabilmente voleva ricordare il Blu Savoia della Casa Savoia, a quei tempi felicemente regnando in Italia, Albania ed Imperando in Abissinia, in felice combutta con il fascismo. Sua Maestà il Re Vittorio Emanuele III era il Capo dello Stato e Sua Eccellenza Benito Mussolini era Capo del Governo. Noialtri, del gruppo al quale appartenevo io in quell`anno, eravamo già grandicelli. Eravamo Avanguardisti. Non ancora Giovani Fascisti, che si diventava più o meno coincidendo con il primo anno di Università. Insomma, tutti inquadrati per benino,fieri giovani di Mussolini, in attesa che il Destino ci chiamasse alle grandi azioni. Noi avanguardisti non usavamo ancora i pantaloni lunghi, ma i pantaloni alla zuava, un pugnale bellissimo che era di alluminio perché “ Italia produce moltissimo alluminio nel Monte Amiata, in Toscana”. Di acciaio l`Italia ne aveva pochetto ed era riservato ai soldati veri e alla pancia dell`inglese, cosi si cantava. Armato con questo pugnale, un sweter ( pardon ) un maglione nero decorato con un teschio di morto e i pantaloni alla zuava, ci sentivamo eroici e poderosi.

Un bel pomeriggio , dopo le esercitazioni para-militari e volontariamente obbligatorie del Sabato Fascista per la Gioventù Italiana del Littorio, ma anche per i Figli della Lupa, per i Balilla dell`Opera Nazionale Balilla e per i Giovani Fascisti, me ne andai con il mio amico Ciotti per andare al Cinema Smeraldo di Roma, per vedere il film La Corona di Ferro. Era la storia della prima corona dei primi re d`Italia anche se i Goti o Lomgobardi che fossero erano piú tedeschi che italiani; ma non importava molto perchè nel film tutti parlavano italiano con certo redentore accento romanesco. E nel film si parlava della Corona di Ferro fatta con un chiodo ella Croce di Cristo, ottima garanzia della giustezza del Regno. E si parlava di Teodolinda, di Berengario, di Ostrogoti, di Longobardi ed altri personaggi fulgidi di italico valor dove chiaramente si captava nel dialogo che si profetizzava su di un prossimo Dux, che la propaganda fascista indicava chiaramente in Mussolini. E spesso, nel salone del cinema, vari battimano probabilmente anche sinceri davano la loro approvazione.

Aspetta aspetta, non ricordo come fu. L`amico Ciotti cominció a parlarmi di ragazze, di fichette spellacchiate, diceva lui, indicandomi a due che passavano in quel momento vicino a noi, anche loro con le Uniformi Paramilitari di Giovani Italiane Fasciste, si diceva, con una camicetta bianca, le tettine ballerine e una gonnellina plissettata nera che svolazzava con le loro belle gambette di quindicenni. Avevo anche io 15 anni? Insomma, tra quello che mi insinuava il camerata Ciotti ( si diceva camerata, non si diceva compagno...compagno ero un termine comunisto-anarcoide-bolscevico e disfattista) y el vezzoso giocherellare delle gonnelline che io guardavo con occhi entusiasmati, il mio “ signorino”, il mio fratellino minore, camerataocompagno che fosse, ebbe la sua doverosa erezione, molto comune a quei temi e a quell`etá, cuando se per la stada intravedevo tra due suore vecchiotte una giovane e timidella novizia, me la immaginavo, irrispettosamene, senza il Sacro Manto.

Ma guarda un po’ cosa hai combinato, mi dice Ciotti. Posso toccacrlo?

Seduti quasi stravaccati tutti e due in quella panchina, con le gambe stese, divaricate, ricordo che rimasi incerto ; la mia erezione si notava bene marcata con la tela “ sintetica” , si diceva e di cattiva qualità delle uniformi paramilitari; marcava molto, come una stoffa bagnata. Ricordo molto bene la sensazione di potere ed un certo piacere misterioso e nuovo al constatare per la prima volta che il mio affarino possedeva anche un notevole volume. Si, era piu grande di quello che pensavo. Ma... gli detti permesso a Ciotti? Si o no? Probabilmente non dissi nulla. Io ero ancora tontissimo e timido a quell’ età. Erano anni che mamma mi difendeva ancora da non so quali indefiniti pericoli della strada, non gradiva affatto le poche volte che mi azzardavo giocare con certi amichetti del quartiere... della strada, diceva lei. Non sopportava che io imparassi le parolacce. Cosi diceva: le parolacce. Le parolacce le dicevano solamente la gente “ bassa” ossia un operaio, un contadino, una serva...ma mai uno di noi. L`amico camerata Ciotti continuava con il suo prendi e lascia. Sopra i pantaloni, certamente. Ed io mi eccitavo sempre di più. Sempre di più.... però ad un certo momento si mi presentarono le immagini che ancora fluttuavano nella mia mente di adolescente, immagini di peccati, sensi di colpa, paure,di fare qualcosa che no era buono fare. Era il potere delle proibizioni inculcate con l`Ave Maria da mia mamma, dal parroco Don Ettore...Ma quello che mi impressionò più di tutto, fu la idea di Mussolini. Come se con il suo fulminante sguardo virile ci rimproverasse per dedicarci alle vergognose pratiche della “ plutocrazia anglo giudaico massonica decadente”.

E con tutta la mia emozione, rinunciando alla Corona di Ferro, me ne andai correndo a prendere il tram per andare da mamà.

Terzo Episodio


“ Sono arrivati gli Americani!! ”si sentiva gridare.

Erano arrivate gli Alleati a Roma. In quel periodo , che si chiamò La Liberazione, entrarono festeggiate a Roma le truppe del Generale Clark. Io le vidi alle cinque della mattina svegliato dal frastuono di allegria; e i tedeschi se ne erano andati il giorno prima: Roma, Città Aperta.

Nonostante gli Alleati e le caramelle e il cioccolato dei primissimi giorni di euforia, a Roma si continuava ad avere fame. Mia mamma mi mandò a cercare cose da mangiare con una valigia a Cesano, un paesetto vicino a Roma, dove noi conoscevamo certi contadini parenti della ragazza di servizio.

”Aldo, figlio, riempila con quello che trovi...”

Prendo il tranvetto, arrivo vicino al paesetto, cerco il contadino, pago un prezzo esorbitante però riesco a riempire la mia valigia di fagioli bellissimi. Riprendo a piedi la stradetta di ritorno che in un paio di chilometri di valigia sempre più pesante mi porterà alla fermata del tram-trenino per Roma. Completamente solitaria, la strada. La gente andava in giro il meno possibile. C´erano rischi i più impensati: in tempi di guerra può succedere di tutto. Mentre cammino, arriva un jeep, mi si avvicina, si ferma A.M.G. Governo Militare Alleato. C`erano quattro militari inglesi. Gli unici, insieme a Australiani e pochi Canadesi, a non vestire le uniformi americane. Gli U.S.A. avevano tela e industrie in piena e felice produzione per vestire tutto il mondo. La nazionalità distingueva la caterva di alleati di tutte le razze, con l`uso consentito dei più bizzarri copricapo e per un rettangolino cucino sulla manica sinistra con la bandierina della nazionalità. E chi sapeva, per esempio, quale fosse la bandiera del Nepal? Bene, Gli inglesi si fermarono vicino a me e mi offrirono un passaggio fino a Roma. Immaginare la mia contentezza. Caricai la mia valigia di fagioli e mi fecero posto tra i due militari del sedile posteriore. Cercai di chiacchierare qualcosa con l´ inglese scolastico imparato nella mia scuola inglese di Roma. Ma mi resi conto che i soldatini non avevano il minimo interesse di conversare con me. O chissà il mio inglese era incomprensibile come il loro per me. Forse era qualche dialetto di chissà dove.

Però...però... improvvisamente i due sudditi del Re Giorgio, all’ unisono, cominciarono a palpare le mie gambe ! Era d`estate, avevo pantaloncini corti.Faceva caldo. Ma rimasi di gelo.

“Ma allora questi so´ froci”, pensai.

Però furono anche gentili, dopotutto. Al rendersi conto che non stavo al gioco, terminarono le moine e i sorrisetti, fermarono il jeep, mi fecero cenno di andarmene, e con un “ You may leave anytine, fuck you! “ terminò il passaggio. Con la valigia pesantissima camminai dieci chilometri a piedi per arrivare a Roma, in una stradina senza nulla di traffico, perché quel benedetto jeep si era allontanato dalla strada del trenino, forse per cercare luoghi più appartati.

Ed in quella stradicciola, mi trascinai quel peso dell´ accidente, con il timore di incontrare, non altri inglesi ma qualche gruppetto di italiani morti fame come me, in cerca anche loro di qualcosa da mangiare e che mi avrebbero potuto riempirmi di botte e fregarmi senza tanti complimenti la mia valigia di fagioli.

Quarto episodio: I Marocchini.- Goumiers

Si confermò in anni successivi, ma noi di Roma lo sapevamo già quasi al momento del verificarsi degli eventi. Ci fu un accordo diplomatico tra Americani ( USA ), Tedeschi e Papa Pio XII, Pacelli: la uscita pacifica delle truppe del III Reich e la entrata altrettanto pacifica delle truppe Alleate a Roma, la Città Eterna, per preservarla il più possibile dagli orrori della guerra. I Tedeschi cominciarono a lasciare Roma dalle prime ore del pomeriggio del giorno stabilito. Io li vidi, personalmente, trascinandosi a piedi, avevano come mezzo di trasporto solamente qualche mula per portare carichi più pesanti dei loro zaini; andavano in fila indiana, sui due marciapiedi opposti del Viale Angelico che portava allo storico e antico Ponte Milvio di Costantino, quel ponte del IN HOC SIGNO VINCES., ancora funzionante dopo duemila anni e decine di invasioni. Eravamo abituati a vedere i soldati tedeschi forti, orgogliosi, arroganti. Questi erano giovanissimi, si vedevano stanchi, affranti, vinti, in ritirata e circondati dal silenzio ostile di molti romani. Mio papà, anche lui in strada, vicino a me, ebbe un gesto improvviso ed impensato: Offri sigarette a quei soldati che non avevano nemmeno la forza per ringraziare.
“ Tu, papà? Proprio tu che mi hai sempre detto che, nonostante il Patto di Acciaio Roma-Berlino, i tedeschi ti erano antipatici? Che invasero il tuo Friuli nel 1915 e che sparsero la tua famiglia paterna per tutta Italia?”
“ Si, Aldo “ mi rispose” Però questi sono solamente ragazzi di 16 anni, massimo. Della tua età. Non sanno niente della vita. Sanno solo che vanno a morire...”

Nello sguardo di papà vedevo la delusione di chi, dai suoi 19 anni, come mi disse una volta, aveva ferventemente creduto e partecipato al primo fascismo che si era presentato a lui, giovane disperso rifugiato dagli orrori della prima guerra mondiale, come l´unica strada per rinnovare con entusiasmo i valori nazionali degli italiani contro l`apatrida internazionalismo del socialismo, per difendere la religione e l `ordine contro l`anarchia bolscevica proveniente dalle lontane steppe russe. E che quasi tutto era cominciato a crollare a partire dal 1938, in pochi anni di atteggiamenti ridicoli, fanatismi, vergognose e tragiche e forse inevitabili sottomissioni al nazismo.
Clark e gli alleati entrarono alle cinque della mattina del giorno seguente. Non ci fu un solo sparo di fucile. Nulla di ostilità contro i nemici di ieri. Tutto il contrario. Solamente caramelle, cioccolate e ragazze esuberanti che montavano sui camion e su quegli imponenti carri Armati Sherman, per baciare i Liberatori vincitori ed esultare per quello che si credeva fosse la fine della guerra.

Bene. Peró, insieme agli Alleati veri, gli autentici, ossia i Nordamericani degli U.S.A., gli inglesi della Gran Bretagna ed ai Francesi di Francia, nella sacra e plurimillenaria patria dei Cesari, arrivarono anche una caterva di popoli, genti di paesi lontani e sconosciuti, negri d`africa, di america, marocchini e algerini di Francia, pakistani, il Commonwealth intero, indù della India, meticci da tutte le parti, Australiani, Neozelandesi: una babele di razze e popoli secondo la famosa profetica promessa-minaccia di Sir Winston Churchill all`inizio della guerra: "Riunirò contro di voi ( i Tedeschi) tutto il mondo, se sarà necessario, ma vi distruggiremo!” E tutte queste orde sbarcarono in Italia includendo anche i Marocchini Goumiers. Si seppe subito delle bestialità atroci e di violenze di ogni tipo di questi feroci guerrieri primitivi.

Per i misteriosi casi della vita, mio papà, che era stato fascista, era anche stato gran amico di un generale francese. Avevano studiato insieme non so dove. All`arrivare a Roma, questo generale andò subito a cercare mio papà, pensando di poter essere utile al vecchio compagno di studi, se ne avesse bisogno. E si videro. Il generale venne a casa nostra, vestito in borghese, per un certo rispetto e quella delicatezza che solamente può avere e capire un gentiluomo. Un salumaio avrebbe indossato la sua più bella uniforme.

Ricordo ancora quell`abbraccio. Commoventissimo. Bevemmo tutti un po´ di champagne per festeggiare non si sapeva bene cosa: fu la prima volta che provai il Dom Perignon. Portato da lui, naturalmente. Dopo i vari: “ Ti ricordi quando,,,” rispose a una domanda che mio papà non fece, ma che l´amico gli lesse sul viso E gli rispose in una conversazione destinata solamente a lui ma he io sentii:

“ Amico Titta, a questa gente ( si riferiva a Marocchini, Algerini et similia) non si può chiedere di combattere per la libertà o la democrazia. Non sanno cosa è. Si puó parlare loro solamente di bottino. Se vincerete il bottino sarà vostro e anche le donne, secondo le piú antiche tradizioni guerriere. Sono molto primitivi ma anche ottimi guerrieri, audaci e feroci. Li abbiamo utilizzati qui nella carneficina di Montecassino. E´inutile dire loro di rispettare quelle stesse donne che ieri erano le donne dei nemici. Ossia che ieri erano bottino di guerra ma oggi già non lo sono più. Ma sappiamo che dovremo portarli via di qui. Abbiamo ricevuto molte pressioni. Li porteremo in Grecia, probabilmente. La Grecia non è più la Grecia dei biondi Achei come tristemente constatò Lord Byron. Con secoli di dominio turco , nelle campagne sono ormai mischiati tutti e sono più abituati alle violenze anche sessuali delle truppe Turche e specialmente dai Giannizzeri. Hanno imparato a nascondersi e difendersi meglio. “

Più o meno questo è quello che ricordo di queste conversazioni tra mio papà e l`amico generale. Un film italiano, La Ciociara, con Sofia Loren, parlava vagamente di questo. Pero in realtà queste truppe causarono terrore in Europa. Non fu un caso quasi unico, come in un certo senso fu imposto che sembrasse al Regista; ci furono paesetti del sud Italia dove queste truppe coloniali francesi fecero stragi di donne. E non solo donne, ma ragazzine, ragazzini, adolescenti. E se gli uomini si opponevano, o li ammazzavano lì per lì o tagliavano loro le orecchie o il naso o i testicoli, per farne trofei da portare a casa, macabri souvenir. Così come certi indiani d`america scotennavano il nemico bianco ed appendevano i trofei nella tenda.

Ci furono due paesetti dove nessuno, assolutamente nessuno, si salvo dalla violenza sessuale. Neppure uomini anziani. Probabilmente non poteva essere solo desiderio sessuale. Evidentemente c`era anche l`idea di infliggere vergogna al nemico, di sfregiarlo in qualche maniera. Questo si seppe quasi di immediato in tutta la zona allora occupata dagli alleati, soprattutto nelle zone occupate dai Francesi. E di questo stavamo parlando per una stradina uscendo da Cesano, quel paesetto del quale ho parlato prima. Eravamo in “villeggiatura”; in realtà rifugiati in casa di questa famiglia di contadini dove si mangiava e si mangiava bene. Girovagavamo fuori Cesano, per cercare delle uova, bene preziosissimo e valida moneta di scambio. Già sulla via del ritorno nel tardo pomeriggio, ci vennero incontro due jeep, provenienti da Cesano, stracariche di Marocchini starnazzanti. A parte dalle facce, erano riconoscibili per i turbanti. Eravamo io, mia mamma, di circa 37/ 38 anni, ancora una bella donna, anche se vestita maluccio, dimessa, mia sorellina di 11 anni e la servotta contadina di 18. La nostra casa di “villeggiatura” era in realtà la casa dei suoi genitori, ignorantissimi ma furbi contadini che si lavavano solo quando pioveva. Le due jeep frenarono vicino a noi. Sguardi sorridenti, occhi nerissimi, brillanti. Mia mamma fece finta di niente. Con le sue braccia ci prese come una chioccia e indicando il tramonto, commentava sui colori del sole nelle poche nuvolette estive.

“ Tu signora no paura?” chiese uno di loro” No paura marocchini?”

Mamma fu di un coraggio da madre romana dei tempi della repubblica !

“ Paura? Io? Paura? Perché? Lei due mani... io due mani... Io no paura... “. E continuò a indicarci il tramonto. Mentì, mia mamma, ovviamente, simulando sicurezza , come sanno mentire solamente le donne.Quasi sempre per necessità. Gli uomini....noi uomini mentiamo male e non diamo importanza alla mentira. Continuiamo:

I marocchini se ne andarono, ridacchiando.

Avvicinandoci noi a Cesano, sentivamo grida, urli, che presagivano un ambiente di orrore, de tragedia, di pianti e maledizioni. Un vecchio senza denti sbiascinado nel suo dialetto, ci disse che a Cesano erano arrivate due jeep di Marocchini ed avevano violato non sapevano ancora quante donne e con le pistole si divertivano a minacciare gli uomini. Due donne erano morte. La nostra servotta scappó via, di corsa a vedere cosa era successo alle sue sorelle a casa di sua madre. Sapemmo dopo che si erano salvate nascondendosi in un pozzo secco.

Vari anni dopo, commentando questo episodio, mia mamma ci commentó a noi figli:

“ Siamo stati fortunati. Hanno pagato per noi quelle povere donne di Cesano. Quegli animali erano ormai sazi. Peró,sai Aldo... io non ero tanto preoccupata per me, né per tua sorella. Ero preoccupata per te. Perchè vidi gli guardi di alcuni di loro, quando ti guardavano.”

Ancora un episodio: L`amico ebreo

Quando arrivarono gli americani, con quell`aria di star bene, ben nutriti, ben vestiti , generosi e sorridenti, arrivò anche per noi civili la speranza...e nella speranza che la speranza si concretasse, mio papà ottenne per mezzo di una grande amico suo, anche lui amico di scuola, ebreo genovese, -- che si chiamava Colombo ma non Cristoforo, si chiamava solamente Dino Colombo,-- ottenne, dicevo, che io entrassi a lavorare alla A.C.S. , Allied Censor Service. Questo Servizio di Censura si supponeva che controllasse e sottoponesse a censura una grandissima quantità di lettere, cartoline, foto, biglietti postali, giornali, riviste ecc. Bisognava cancellare, togliere, sopprimere parole o frasi o sottoporli a un più approfondito esame alla Sherlock Holmes, per qualsiasi dato che potesse essere o apparire come informazione di carattere socio, politico, militare, economico utile al nemico Tedesco, ossia alla Germania. Ma in forma molto piú discreta si sottoponeva a censura, piú raffinata e piú attenta, anche ciò che poteva apparire come informazione utile alla Unione Sovietica.

Si, certo, la URSS erano alleati degli Alleati, per questo bisognava agire con i piedi di piombo ed i famosi guanti di velluto. Nell`aria già tirava un certo venticello di fronda.

Alla Censura si lavorava 24 ore. C´erano non so quanti turni.

A me toccó , o lo fece toccare l`amico Dino , il turno dalle otto della mattina fino all `una del pomeriggio. Cosi io potevo frequentare, alle tre, il mio secondo anno di Liceo Classico al Mamiani, in quel privilegiato orario estivo perchè l`edificio della scuola in ore della mattina era per accogliere studenti di altre scuole, distrutte dalla guerra, o per le migliaia si sfollati che venivano dal Sud. Nell`A.C.S. si guadagnava molto bene, . perchè la base per calcolar il nostro stipendio era quello in dollari di un lavoro corrispondente in USA e il risultato era qualcosa di astronomico per noi europei impoveriti, anche se ci pagavano in Lire italiane o con quelle maledette AM-LIRE , una specie di carta moneta stampata molto alla leggera dagli inesperti Nordamericani e che produssero una svalutazione spaventosa. Per dare idea de la svalutazione, dirò solo che con lo stipendio mensile di mio papá, Direttore di Banca, si poteva comprare una bottiglia da due litri di olio di oliva. Come si sopravvisse, fu sempre un mistero. Come sopravvisse Europa fu tutto un mistero.

Bene. Non c`erano molti italiani che lavoravano con gli americani. Indubbiamente io e gli altri italiani eravamo dei privilegiati. Scelti accuratamente dagli americani per provata fedeltà alle stelle e strisce. Molti, dei pochi, erano ebrei. Io non ero ebreo. Mia mamma e mio papà nemmeno. E nemmeno tanto filoamericani. Mio papà tra l`altro era stato fascista e sospeso da poco dal lavoro e stipendio nella banca dove lavorava da vent`anni, per sottoporlo a Epurazione per eventuali Crimini Fascisti.. Quando si accertò, dopo due anni, che papà non era stato criminale di guerra, fu reintegrato al lavoro nella Banca con il pagamento degli stipendi trattenuti e rivalutati. Cosi potemmo mangiare ancora e ritornare alla normalità. Si, certo, mio papà era stato fascista e con molto entusiasmo. Ma nella prima metà del periodo fascista. Dal 1938 in poi cominciò ad avere seri dubbi e delusioni. Contro le direttive del Partito Fascista aveva aiutato ebrei amici o conoscenti suoi, colpiti dalle leggi razziali che considerava ridicole fuori luogo e non sentite in Italia. E questi aiuti erano di notevole rischio, che mia mamma non condivideva appieno si corresse: i tedeschi non scherzavano molto con le leggi razziali. E gli ebrei sanno essere riconoscenti. Quando a sua volta papà si trovò inguaiato , gli amici ebrei lo aiutarono a rimettersi in piedi. Come quel generale francese che lo venne a trovare, come quel Dino Bottone, che per suo mezzo entrai nell A.C.S. e papá lavorò con lui durante tutto il periodo dell`Epurazione, per più di due anni, in affari che solo gli ebrei sanno fare benissimo e papá guadagnò molto di più di quel che avrebbe guadagnato rimanendo in Banca. In realtà il fatto che papà fosse stato obbligato a lasciare il suo lavoro di bancario per un paio d`anni, si trasformò per la famiglia in un grande vantaggio economico.
Ho tergiversato.Ma i ricordi affiorano. E cosi entrai a lavorare per la Censura Alleata. Certo che un ragazzo del secondo Liceo Classico, di buon famiglia borghese quindi un po` allocco a quei tempi, non aveva nessuna esperienza di vita né di altre cose e molto meno di censura Mi feci amico dei colleghi, tutti più grandi di me e con uno specialmente mi sentivo molto bene. Si chiamava Anticoli, tipico cognome ebreo romano. Era quasi un anno che lavoravamo per i Nordamericani e, per inciso, persi un anno di liceo. ( Che recuperai l`anno seguente facendo due anni in uno).

Un bel pomeriggio Anticoli ed io ci vedemmo per andare insieme non ricordo dove, ad una commemorazione di qualcosa culturale o pseudo culturale ed improvvisamente, lì , in quell`ambiente di avanzata, ovviamente di sinistra perché era di moda, cinema letteratura, arte, l`amico mi si rivelò, con molta franchezza,molto direttamente, parlandomi in inglese , lingua che non usavamo mai tra di noi, una specie di imprevista e improvvisa dichiarazione d´amore: IF YOU WANT ME, now, we may go...

Non ricordo assolutamente come terminò la frase. Sicuramente era per propormi di andare a casa sua. La faccenda fu che ci rimasi sorpreso e malissimo. Chissà triste, chissà anche deluso, perché mi resi conto che le sue gentilezze con me avevano un fine ben preciso. Non erano per fare un favore a me, ma perché io contraccambiassi con un favore a lui. Dopo questo episodio non ci vedemmo più da soli. Terminarono le conversazioni e forse anche l`amicizia. Perché ? Non lo so. Non lo seppi mai. Paura, chissà? Timori? Avevamo molti interessi in comune. Era intelligente. Di fatto, eravamo veramente buoni amici. Però ... dopo questa proposta mi sentivo a disagio se gli captavo uno sguardo, guardandomi. La idea che mi vedesse con occhi differenti di quelli degli altri amici miei, dove l `amicizia la sentivo pura, sincera, senza secondi fini. Mi metteva a disagio. Uno sguardo mezzo innamorato, scrutatore, interessato. Sensazioni, certo, come comincerò ad avere un poco più avanti nella vita e addirittura per molti anni. Sensazioni, certo. Non so se si possa comparare. Però mai fui capace di avere una amicizia pura, sincera, senza secondi fini con una donna, se questa donna aveva qualcosa che femminilmente mi attraesse. Mi distraevo con il suo sguardo, come ipnotizzato. Mai ho potuto guardare gli occhi belli di una donna senza che si mi sfumasse tutto l´ intorno. Confesserò adesso forse perché ormai non me ne frega più niente, come il titolo del mio blog, che anche degli occhi bellissimi di uomo mi turbano, ma se sono con certa grazia femminile. Ossia, direi, lo sguardo di uomo bello pero effeminato. E come si può parlare senza guardare negli occhi l`altra persona? E`stato difficile per me trattare, specie nei miei anni di mezza eta, sui 40/ 50, le mogli, sorelle o figlie di amici miei. E´stato un costante sforzo su ne stesso . Ed ancora oggi, a miei 82 suonati, ancora oggi e quasi mi vergogno al dirlo, la conversazione con una donna bella, femminile, attrattiva, anche se è una conversazione intelligente e interessante su qualcosa di valido, mi diventa difficile, al punto che devo distrarre il mio sguardo perché mi si sovrappone, come crudele ricordatorio la immagine che lei potrebbe avere di me, immagine schifosa, lubrica, del vecchio porcaccione bavoso che spero non essere, non voglio essere, ne´ sembrare di essere.